Sono i primi giorni di marzo e mi trovo all’aeroporto di Francoforte in attesa di imbarcarmi sul volo per Nur-Sultan. Vado a comprare qualcosa al duty-free e la giovane cassiera, evidentemente rilassata dato lo scarso numero di clienti, nel prendere in mano la carta d’imbarco legge a voce alta “TSE”, guardandomi con aria interrogativa. “Nur-Sultan”, rispondo con un sorriso, aggiungendo rapidamente… “Kazakistan”. Mi sono oramai abituato a scorgere sguardi perplessi quando menziono il nome della città nella quale ho il privilegio di vivere attualmente. Perplessità ben comprensibile, dal momento che Nur-Sultan esiste di fatto solo da un anno, vale a dire da quando nel marzo scorso il Parlamento ha deciso di ribattezzare Astana, la capitale del Kazakistan, in onore del “padre storico” della nazione, Nursultan Nazarbayev, pochi giorni dopo che lo stesso decise, dopo quasi trent’anni, di lasciare il potere e “accontentarsi” dei titoli di Chairman of the Security Council of Kazakhstan e First President of the Nation, “Elbasy” in lingua kazaka.

In questo Paese, ancora poco conosciuto pur essendo, per estensione, il nono più grande al mondo, nonché il vero motore economico dell’Asia Centrale, il Covid-19 è arrivato, come quasi tutto il resto, di soppiatto, quasi come se in queste terre steppose e semi-desertiche non gli andasse proprio di attecchire. Non a caso una delle battute che circolavano prima che, il 12 marzo, fosse reso pubblico il primo caso di contagio era che nemmeno il Coronavirus sapesse esattamente dove si trova il Kazakistan. Una volta riscontrati i primi contagiati ad Almaty, la vecchia capitale del Paese, oltre mille chilometri a Sud di Nur-Sultan, da noi si voleva esorcizzare l’arrivo imminente e inevitabile del virus scherzando sul fatto che nemmeno il virus sarebbe stato così stupido da avventurarsi al Nord durante il lungo periodo di gelo polare invernale (Nur-Sultan è la seconda capitale più fredda al mondo, dopo Ulan Bator, con un inverno che di fatto dura oltre sei mesi a temperature che possono toccare i 50 gradi sottozero).

E invece è arrivato anche qui. Per il momento, va detto, timidamente. Deve avere aiutato il fatto che il Paese non è, men che meno in questo periodo, una meta turistica. E anche il fatto che già in febbraio, quando le prime avvisaglie della gravità del virus cominciavano a circolare, il governo guidato da Kassym-Jomart Tokayev avesse provveduto a chiudere i posti di frontiera con la Cina, misura presa di comune accordo con il potente vicino, al quale non dev’essere comunque dispiaciuto mettere in naftalina per un po’ il fascicolo relativo alle problematiche legate al trattamento dei musulmani, nello specifico quelli appartenenti alla diaspora kazakistana, in Xinjiang.

A oggi in tutto il Paese ci sono 229 persone positive al Covid-19 test (135 dei quali a Nur-Sultan). La prima e al momento unica vittima è stata confermata il 26 marzo. Dal 16 marzo il Kazakistan è entrato in una sorta di isolamento “dolce”, che ha comportato la chiusura delle scuole, la cancellazione di tutti gli avvenimenti sportivi e culturali, la chiusura dei centri commerciali (al di fuori dei supermercati e delle farmacie al loro interno) e dei ristoranti, che possono solo offrire consegna a domicilio. Inizialmente la popolazione è stata solo invitata a evitare gli assembramenti e a uscire solo in caso di necessità. Dalla mezzanotte del 28 marzo le restrizioni si sono allargate. La popolazione è autorizzata a lasciare l’abitazione solo per fare acquisti di generi alimentari o medicinali e per recarsi al lavoro. Dal 30 marzo si sono fermati anche i mezzi di trasporto pubblici ed è consentito andare al lavoro solo a determinate categorie. Per ora questa ulteriore stretta è in vigore almeno fino al 5 aprile.

Premesso che non è ovviamente possibile fare grandi osservazioni confinati nel proprio appartamento, da un paio di escursioni per fare approvvigionamenti e da qualche scambio di informazioni con conoscenti e non, grazie ai social media, penso di poter affermare che la popolazione, almeno qui a Nur-Sultan, sembra rispettare diligentemente le disposizioni. Il traffico stradale è diminuito sensibilmente e i marciapiedi, a dire il vero quasi mai affollati nonostante il milione di abitanti, sono pressoché deserti, se si eccettuano le preesistenti “ronde a tre” della polizia. Difficile capire quanto questo sia frutto della disciplina e del forzato rispetto per l'autorità instillato da oltre settant’anni di sottomissione alla forma sovietica di socialismo (il Kazakistan è indipendente dal dicembre 1991).

Il governo ha predisposto un sito web (in kazako e russo) dove, in aggiunta a tutte le informazioni circa le precauzioni da prendere, le disposizioni adottate del governo per contenere la diffusione del virus, e addirittura una rubrica nella quale il pubblico può porre domande specifiche, vengono periodicamente forniti aggiornamenti sul numero degli infetti. Un altro strumento abbastanza impressionante è una mappa online del Paese, aggiornata in tempo reale, con l’ubicazione (senza diffonderne i nomi…) dei soggetti sottoposti temporaneamente a isolamento forzato nelle proprie abitazioni in quanto venuti a contatto con persone risultate positive al Covid-19 (passeggeri sullo stesso aereo, ad esempio, o familiari di “positivi”). Chiunque può ingrandire sul proprio edificio e verificare se in esso, o in edifici limitrofi, è presente una persona “a rischio”. Questo strumento, che mi riesce difficile immaginare in un qualsiasi Paese europeo a causa delle evidenti problematiche relative alla violazione della privacy, ha lo scopo dichiarato di sensibilizzare il vicinato a prestare particolare attenzione nelle aree comuni dell’edificio e negli esercizi commerciali limitrofi. Mentre infatti nei grandi supermercati si entra solo provvisti di maschera, si procede camminando su tappeti igienizzanti, il personale veste tute di protezione e segni sul pavimento impongono di rispettare la distanza alle casse, nei piccoli negozi al dettaglio poco è cambiato rispetto a prima, anche se i clienti cercano di rispettare il “social distancing”.

Nur-Sultan sembra non essere per il momento in preda al panico e questo rende indubbiamente la difficile situazione più sopportabile. Per quanto tutti ormai si sia confinati dentro le proprie abitazioni, il fatto di sapere che nei negozi si trova ancora praticamente tutto, e senza dover fare file interminabili, aiuta non poco. La neve copre ancora i parchi, lo spesso strato di ghiaccio sul fiume Esil, che lo rende un parco giochi invernali per metà dell’anno, si sta sciogliendo lentamente, in anticipo rispetto al solito. Le tante aree giochi per bambini presenti nella città sono “protette” da nastri bianchi e rossi che, agitati dai venti che arrivano dalla steppa, faticano a rimanere in posizione. La speranza è che il vento si porti via presto anche questo virus, consentendoci di ritornare alla nostra vita di tutti i giorni.

 

 

:: La pandemia degli altri :: Parigi [Francesca Barca] / Barcellona [Steven Forti] / Bruxelles [Eleonora Medda] / Philadelphia [Massimo Faggioli] / Berlino [Fernando D’Aniello] / Tirana [Stefano Romano] / Amsterdam [Maria Panattoni] / Nur-Sultan [Stefano Raimondi] / Essen [Pasquale Guadagni] / Istanbul [Filippo Cicciù] / Umeå [Simone Scarpa] / Mosca [Loris Marcucci] / Bristol [Iacopo Di Girolamo] / Lugano [Eleonora Failla] / Zagabria [Giovanni Vale] / Lisbona [Simone Tulumello] / Toronto [Nicola Melloni] / Washington DC [Lorenza Pieri] / Leiden [Adriano Martufi] / Melbourne [Chiara De Lazzari] / Buenos Aires [Gioia Greco] / Okinawa [Eugenio Goi] / Maputo [Andreea R. Torre, Alessio Cangiano] / Chapel Hill [Serenella Iovino] / Londra [Elena Besussi] / Oslo [Roberta Cucca] / Rio de Janeiro [Gustavo Siqueira]