Ritorno al proporzionale?
Nei giorni di questa convulsa crisi
di governo è tornato prepotentemente alla ribalta il tema della
riforma elettorale. E non appena Conte (ribadendo peraltro i
termini di un accordo politico a suo tempo firmato dalla
maggioranza, compresa Italia Viva) ha accennato alla questione,
subito è scattato, in molti commentatori, una sorta di riflesso
condizionato. Ma davvero il «ritorno al proporzionale» sarebbe una
sciagura?
Prima di rispondere, intanto,
domandiamoci da cosa nasce l’attuale sconfortante quadro
parlamentare (l’apoteosi del «gruppo misto»).
A parte la questione dei partiti,
bisogna chiarire bene di cosa si parla: è «maggioritario» il
sistema con cui si eleggono i sindaci, a cui molti guardano come a
una panacea? No, è un sistema su base proporzionale con un premio
di maggioranza. E tali erano anche la legge Calderoli (altrimenti
nota come Porcellum) o l’abortito Italicum:
sistemi cioè che obbligano alla costruzione di coalizioni
pre-elettorali quanto più larghe possibili e che, perciò stesso,
conferiscono un enorme potere di ricatto e di condizionamento anche
alle più piccole formazioni politiche, ai «partiti» personali e ai
singoli notabili detentori di un pacchetto di voti. Coalizioni,
poi, naturalmente, che si squagliano come neve al sole dopo le
elezioni. Sono questi i sistemi che, da vent’anni a questa parte,
hanno prodotto frammentazione. E anche l’attuale legge vigente, il
cd. Rosatellum, è un ibrido indigeribile: anche in questo
caso la quota di collegi maggioritari (un terzo degli eletti)
funziona come luogo di contrattazione delle candidature, e non crea
alcun reale vincolo politico (come mostra il fatto che, dopo le
elezioni del 2018, la Lega abbia potuto tranquillamente abbandonare
i suoi partner, per fare il governo gialloverde).
E allora, ai fini di un’operazione di
pulizia concettuale, occorre fissare un primo punto: chi propugna
le virtù di un sistema maggioritario ha il dovere di precisare a
quale maggioritario pensa. I veri sistemi maggioritari
sono quello britannico o quello francese del doppio turno (di
collegio: non il mega-ballottaggio nazional-plebiscitario che
era previsto dall’Italicum). E coloro che li sostengono
devono essere consapevoli che, nelle attuali condizioni
italiane, questi modelli non garantiscono per nulla una qualche
«governabilità» (il famigerato e incostituzionale «vincitore, la
sera delle elezioni»), anzi possono rivelarsi delle autentiche
lotterie.
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