Amazon e l'odio per il lavoro sindacalizzato
The «chief disinformation officer»
questo l'appellativo usato da Amazon nei confronti del sindacalista
responsabile della mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori
presso il sito di Bessemeir, Alabama, Usa. Il 29 marzo scorso ha
segnato un evento epocale per la storia delle relazioni industriali
in Amazon: si è votato per la formazione del primo soggetto
sindacale a livello di stabilimento per il colosso
dell'e-commerce e della logistica capofila del nuovo
lavoro taylorizzato via algoritmi.
Dato che il sito di Amazon di
Bessemeir nasce in una delle zone a più alta povertà degli Stati
Uniti, i 6.000 lavoratori avrebbero dovuto accettare di buon grado
una paga di 15$ dollari all'ora - già in linea con il possibile
aumento del salario minimo – vista la mancanza di alternative
occupazionali. Al contrario, il salario offerto da Amazon
non è bastato a mettere a tacere il bisogno di dignità, di garanzia
di spazi di autonomia e libertà nel processo di lavoro.
Infatti, l'iniziativa di sindacalizzazione nasce contro la gestione
del management
algoritmico, della sorveglianza e del controllo a cui sono
sottoposti i dipendenti, forzati a lavorare a ritmi estenuanti.
I forti investimenti in piattaforme
di gestione e controllo della forza lavoro non sono ascrivibili
solo ad Amazon, ma rappresentano la nuova «frontiera» di gestione
dei processi di produzione nella maggior parte delle imprese che si
occupano di
3PL (third party logistics), siano esse piccole, medie o
grandi. Tuttavia, Amazon stabilisce tendenze e prassi del
settore, data la sua più alta quota di mercato e la sua
robotizzazione avanzata, che va ben oltre pallet e bracci
automatici, ed è necessaria per garantire i ridottissimi tempi di
consegna del servizio «Prime», che la gran parte dei consumatori
occidentali ormai ben conosce e, in buona parte, utilizza.
Il modello imprenditoriale Amazon si
distingue dalle piattaforme online concorrenti per il grado di
integrazione verticale delle catena di valore che gestisce, a
partire dall’enorme scala dei magazzini e servizi di logistica,
nonché dalle acquisizioni monopolistiche, come
Kiva nel 2012, azienda produttrice di veicoli a guida autonoma
per le fasi di smistamento e distribuzione dei pacchi,
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