E pensare che soltanto poche settimane fa, anche se sembrano mesi, tutto era cominciato con una buona dose di autoironia collettiva sul mantenimento del “metro di distanza interpersonale” per contenere l’epidemia: una raccomandazione di cui i trentini non comprendevano l’eccezionalità, abituati come sono a misure anche più larghe in tempi normali. Il buonumore è svanito presto insieme all’illusione che le montagne e il relativo isolamento del territorio (più percepito che reale) avrebbero risparmiato alla Provincia il coinvolgimento nell’emergenza nazionale. Quasi due mesi dopo l’inizio del confinamento, al contrario, il Trentino presenta un numero di deceduti superiore a quello di regioni ben più popolose come Lazio e Campania, nonché un tasso di contagio in rapporto alla popolazione prossimo alla Lombardia e superiore a Emilia-Romagna e Piemonte.

Difficile dubitare che il virus si sia diffuso soprattutto lungo le piste battute da una delle principali risorse economiche del Trentino: il turismo, che negli ultimi anni ha registrato record a ripetizione di presenze e fatturato. Per rendersene conto basta uno sguardo alla mappa dei comuni o delle comunità di valle (gli enti territoriali intermedi tra questi e la provincia): Val di Sole, Val di Fassa e Fiemme, ma anche Pinzolo, Levico, Arco e l’Alto Garda sono nomi tanto noti a sportivi e amanti della montagna e dei laghi, quanto località che registrano il più alto tasso di positività al virus, con punte impressionanti come per il piccolo comune di Pellizzano, dove risulta contagiato oltre il 7% dei 775 residenti. Se per alcune di queste aree sono state predisposte nel tempo altrettante “zone rosse”, la memoria non può non tornare ai primi dieci giorni di marzo, quando chi di dovere non seppe o non volle trarre le conseguenze più logiche da quanto stava accadendo oltre il confine provinciale.

Le pressioni per salvare la coda della stagione invernale fecero sì che impianti e strutture rimanessero aperti anche durante quel fine settimana culminato nell’estensione del lockdown all’intero territorio nazionale. Se si considera che il 15% del turismo in Trentino è rappresentato da lombardi, non serve grande acume per concludere che il ritardo nell’azione preventiva ha avuto conseguenze gravi. Nei giorni successivi, i precedenti inviti di alcuni albergatori a schivare il virus con un bel fine settimana sulla neve si sono bruscamente tramutati in grottesche “cacce all’uomo” nei confronti di chi, da fuori provincia, cercava di raggiungere la propria seconda casa in montagna. A finire sui quotidiani nazionali di quei giorni è stata soprattutto la “sbandata” comunicativa del Presidente provinciale Fugatti, non la prima né l’ultima dell’emergenza, che ha minacciato di privare del supporto sanitario i “rifugiati” da altre regioni. Pronta fu in quel caso la reazione dei sindacati di settore, che ricordarono pubblicamente come una misura simile contravvenga tanto alla Costituzione quanto alla deontologia.

Il capitolo più tragico è purtroppo rappresentato dalla situazione delle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) e delle case di riposo, considerate un fiore all’occhiello provinciale fino a poco tempo fa, tanto da accogliere anche una consistente quota di assistiti da fuori provincia. Per quanto le stime siano ancora incerte, esse sembrano attestare il tasso di mortalità per il virus nelle strutture trentine come la più alta in Italia, con un numero dei decessi pari alla metà del totale provinciale. A questo si aggiunga la rapida diffusione del contagio al personale infermieristico e non, con conseguenze gravi sulla salute degli interessati e sulla disponibilità di organico per la gestione dell’emergenza. Un disastro difficilmente imputabile al caso, come sembra sospettare anche la Procura di Trento, che ha aperto un’inchiesta conoscitiva e ha incaricato i Nas dei primi sopralluoghi.

Ma è nuovamente sul piano politico che la Giunta (un quasi-monocolore leghista, inedito per la Provincia) ha mostrato la propria inadeguatezza: l’Assessora alla Sanità Stefania Segnana, nota in precedenza alle cronache per le strizzate d’occhio ai no-vax, ancora il 6 marzo dichiarava di ritenere “opportuno e importante” che i familiari avessero accesso alle RSA, senza alcun riguardo per le veementi richieste in senso contrario dei rappresentanti delle strutture. Cosa ancora più grave, negli ultimi giorni l’Assessora ha ritenuto di scaricare pubblicamente le responsabilità di quanto accaduto sulle singole gestioni e sulla loro (presunta) mancata aderenza alle misure di sicurezza, con toni talmente minacciosi da sollevare reazioni indignate e veementi dalla società civile e dalle opposizioni.

Se il risveglio del dibattito politico dal letargo delle ultime settimane è da salutare come un elemento positivo, lo è meno il livello scadente su cui esso si sta attestando in vista della fine del lockdown: è di questi giorni la sconcertante iniziativa dell’Assessore all’istruzione di avallare un sondaggio tra le famiglie per conoscere la loro opinione sui tempi e l’opportunità di riaprire le scuole, mentre la candidata a sindaca di Trento di una parte del centrodestra (elezione nel frattempo rinviata) ha auspicato che in estate la carenza di manodopera straniera in agricoltura sia colmata dai futuri maturandi, “piegati non più sui libri, i tablet, i cellulari, ma nei campi”.

Quanto alla “ripartenza”, la fretta manifestata in precedenza dal governo provinciale si è stemperata di fronte al tasso ancora elevato di casi rilevati giornalmente, anche se questo è il risultato (e ne va dato merito) dell’importante incremento di test effettuati, che ha portato il Trentino al terzo posto nazionale per il rapporto tra tamponi e popolazione. In generale, la condotta della Giunta durante l’emergenza è apparsa spesso improvvisata, incline ai mutamenti d’umore e indecisa se seguire il modello lombardo o quello veneto, confermando così l’impressione di scarsa capacità programmatica che la perseguita dall’insediamento. Un risultato insoddisfacente per un territorio abituato in passato (sia detto senza idealizzazioni) ad altri livelli di pragmatismo e di capacità di governo. Il contraltare finora più efficace è stato rappresentato da una società civile tradizionalmente incline al volontariato e all’auto-organizzazione, fenomeno indispensabile in un territorio rarefatto come il Trentino e che in questo frangente si è rivelato fondamentale soprattutto per venire incontro alle esigenze dell’ampia popolazione anziana. Nei comuni più piccoli e remoti, in particolare, questa impalcatura sociale ha giocato efficacemente di squadra con i sindaci, veri protagonisti del contrasto all’emergenza anche con gesti piccoli ma significativi, come la consegna di persona delle mascherine gratuite a ogni famiglia. Sarà dunque da questa base che si evolverà la ripresa della vita sociale, compatibilmente con le misure di sicurezza necessarie; ma per il rilancio di un territorio colpito nelle sue eccellenze e le cui attività economiche stanno soffrendo al pari delle altre in Italia, serviranno soprattutto un’autorevolezza di governo e uno sforzo progettuale che ancora stentano a manifestarsi.

 

 

 

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