“Scudato” è un (brutto) termine ormai entrato nel gergo, per chi ha letto i giornali la settimana scorsa, ed è rivolto a chi beneficerà dello scudo-ter, terza edizione di un condono speciale per chi detiene illegalmente capitali all’estero e decide di rimpatriarli o regolarizzarli. Lo “scudato”, in cambio di un’imposta del 5% del capitale, ha la garanzia che la propria autodenuncia resterà completamente anonima e non verrà utilizzata contro di lui/lei, né in sede amministrativa, né giudiziaria, in via autonoma o addizionale.
Lo sapete che la settimana scorsa, a Genova, si è svolto il Gay Pride? Vale la pena chiederlo: la copertura mediatica non è stata la solita. Mentre il video della manifestazione è stato per un giorno il più cliccato su YouTube – centotrentamila contatti da utenti registrati, oltre mezzo milione di persone – la stampa e la televisione nicchiavano. Anche i giornali di sinistra: “la Repubblica” ha dedicato all’evento due colonne in ventunesima pagina, appena compensati dai servizi nell’edizione locale; ”L'Unità”, l’intera pagina sedici: ma con il nuovo formato è bastata una foto di Vladimir Luxuria in abito da sposa a occuparne quasi la metà.
I venti di crisi non sono finiti e le banche sono ancora al centro dell’attenzione, in una situazione veramente paradossale. Accusate prima di aver dato credito troppo facile, adesso, di non darne abbastanza. Prendiamo le banche italiane. Tutti hanno riconosciuto che la loro prudenza, coniugata con un sistema di vigilanza più efficace, ha contribuito ad attenuare le conseguenze dello tsunami di oltreoceano, ma nel passato avevano ricevuto non poche pressioni: qualcuno ha dimenticato gli articoli di giornale di qualche anno fa quando l’accusa era di eccessiva diffidenza per i mutui a chi aveva un lavoro precario e offriva poche garanzie, diffidenza successivamente rivelatasi provvidenziale. Negli Stati Uniti, come ha efficacemente riassunto in un intervista un proprietario di casa, succedeva in quel periodo l’esatto contrario: “all’epoca bastava essere vivo per avere un mutuo e forse te lo davano anche se eri morto”.
Ci sono, scrisse qualche anno fa Ray Oldenburg, strani posti: luoghi terzi (third places) li definì, per dire che non contava solo il loro valore “funzionale” ma quello sociale, di incontro e aggregazione. L’esempio del barbiere è il più nitido: ci si va per farsi tagliare i capelli, ovvio. Ma intanto conosciamo la vita del quartiere, incontriamo e ci confrontiamo con persone diverse da noi, per professione e idee: “I third places contrastano la tendenza a essere restrittivi nel godere degli altri perché sono aperti a tutti e perché enfatizzano qualità non limitate alle distinzioni di status prevalenti nella società”.