Il voto favorevole del Senato al disegno di legge sulla autonomia differenziata è un fatto di rilievo per il nostro Paese. Non solo per i cambiamenti che seguiranno se il provvedimento sarà approvato anche dalla Camera, ma per il mutamento di un paradigma che accompagna da oltre un secolo la nostra storia.

Per uno strano caso del destino, il voto espresso sulla proposta del ministro Calderoli coincide con un anniversario di segno opposto: siamo a 120 anni dall’approvazione delle prime leggi speciali per il Mezzogiorno. All’inizio del Novecento ci fu un intenso dibattito sulla condizione del Sud che portò il presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli a visitare la Basilicata e porre le premesse per la prima legge speciale, seguita rapidamente da altre. Avveniva un cambiamento significativo. La classe politica liberale abbandonava il principio dell’uniformità amministrativa seguito fino a quel momento: il ritardo meridionale era considerato questione fondamentale nella vita della nazione e al fine di correggere gli squilibri esistenti si sceglieva di differenziare l’intervento pubblico a favore di quelle aree. Tale impostazione rimase a lungo dominante, basti pensare alla Cassa del Mezzogiorno voluta da Alcide De Gasperi. Solo in anni recenti, con l’affermazione della Lega, di Silvio Berlusconi e la nascita della Seconda Repubblica, l’asse geografico delle priorità è stato spostato verso Nord, in parallelo con l’affermarsi nel dibattito pubblico della cosiddetta “questione settentrionale”. La legge sull’autonomia attualmente in discussione segna il punto di arrivo di questo mutamento, perché risponde principalmente alle richieste delle regioni del Nord ed è finalizzata a differenziare l’azione pubblica, con evidenti vantaggi per le più ricche.

Questa radicale trasformazione nell’impostazione delle politiche pubbliche porta con sé due rischi, sui quali occorre riflettere. Il primo riguarda l’efficacia delle misure che si stanno programmando. Il tema è stato autorevolmente sollevato dalla Banca d’Italia, soggetto neutrale rispetto alla contesa politica. In una memoria presentata in Senato qualche mese fa, l’istituto di via Nazionale ha sottolineato che “le decisioni in merito alla configurazione dell’autonomia differenziata richiedono un’accurata e oggettiva disamina dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dal decentramento di ciascuna specifica funzione, tenendo conto anche del contesto locale”. A tal fine sarebbe “consigliabile prevedere un’istruttoria per ciascuna materia (ed eventualmente per specifiche funzioni all’interno della materia considerata), suffragata da un’analisi basata su metodologie condivise, trasparenti e validate dal punto di vista scientifico, per valutare i vantaggi del decentramento rispetto allo status quo – sia per la Regione interessata sia per il resto del Paese” (vedasi il documento pubblicato dalla Banca d'Italia il 13 giugno 2023).

Solo in anni recenti, con l’affermazione della Lega, di Silvio Berlusconi e la nascita della Seconda Repubblica, l’asse geografico delle priorità è stato spostato verso Nord

Il suggerimento della Banca d'Italia non è stato recepito. Non sono state fatte istruttorie per materie né analisi tecniche, né è stata data adeguata attenzione alla trattazione del tema. Si è discusso soprattutto dei Lep e dei fondi per finanziarli, ma senza ragionare in termini di efficienza. Che rappresenta invece una questione decisiva, perché sarebbe assurdo approvare una norma che comporti svantaggi invece che benefici.

In mancanza di analisi sull’efficienza, la storia può fornire alcuni elementi utili. Ne viene fuori un quadro d’insieme decisamente sconfortante. L’attività di questi enti, infatti, è segnata da delusioni e risultati insoddisfacenti. Eppure, la loro creazione nel 1970 fu preceduta da una grande mobilitazione. Ci fu una notevole spinta politica e culturale a favore della loro nascita, visto che in tanti ritenevano che potessero innescare un rinnovamento nella politica italiana, completando quanto previsto nella Costituzione. S’immaginava che la maggiore vicinanza rispetto allo Stato centrale avrebbe favorito una maggiore partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica (tanto richiesta nel 1968 e in seguito) e un migliore governo del territorio. Questa riflessione appariva convincente anche per il Mezzogiorno, perché avrebbe migliorato la programmazione economica grazie a una maggiore vicinanza alla realtà locale e ai suoi bisogni.

Il fallimento delle aspettative arrivò in poco tempo. I nuovi enti furono rapidamente lottizzati dai funzionari locali dei partiti, che riprodussero a livello regionale le distorsioni già presenti nella politica italiana. La delusione fu fortissima. Nel Sud, le regioni ebbero la grande responsabilità di peggiorare l’operatività della Cassa del Mezzogiorno. L’inserimento dei nuovi enti nel Consiglio di amministrazione ne peggiorò marcatamente l’efficienza. Non solo perché erano privi di personale adeguatamente preparato per l’alto livello tecnico delle funzioni, ma soprattutto perché frantumarono la visione d’insieme della Cassa sul Meridione, e sul Paese, a favore di una spinta di carattere localistico, finendo per contrastare l’approccio tecnico a favore di una logica di interessi particolaristici, quando non clientelari. Più in generale, in termini di qualità dell’amministrazione, i risultati delle regioni furono sin dall'inizio insoddisfacenti, specie nel Sud (si pensi agli studi di Putnam sul tema). Questo elemento storico incontrovertibile dovrebbe far suonare più di un campanello d’allarme mentre si discute di autonomia differenziata, ma non sembra che se ne stia tenendo conto.

Gli elementi problematici non riguardano solo i primi anni di vita delle regioni. Si pensi ad esempio alla sanità, fortemente regionalizzata dopo la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001. Basta dare uno sguardo al sito del ministero della Sanità per capire che negli ultimi vent’anni le regioni hanno attraversato criticità gestionali di rilievo. I piani di rientro, adottati in presenza di un disavanzo strutturale e finalizzati a riorganizzare il sistema sanitario regionale, sono stati ben undici. Hanno riguardato gran parte del Meridione – Abruzzo, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia – ma anche altre aree, come Lazio, Liguria e Piemonte. Ci sono stati anche cinque veri e propri commissariamenti della sanità regionale, adottati quando i piani di rientro non hanno dato i risultati attesi, con gravi rischi per i servizi sanitari e l’equilibrio economico. Probabilmente anche per questo motivo le elezioni regionali vedono la minore partecipazione di elettori fra tutte le consultazioni. Impressionante il dato delle consultazioni nel Lazio lo scorso anno, quando l’affluenza si è fermata al 37%.

Le regioni, nate per favorire la partecipazione popolare dei cittadini e migliorare l’azione dello Stato, hanno dato numerose prove di inadeguatezza

Il quadro che ne emerge è sconfortante. Le regioni, nate per favorire la partecipazione popolare dei cittadini e migliorare l’azione dello Stato, hanno dato numerose prove di inadeguatezza e hanno registrato livelli di astensionismo record. È un elemento irrilevante nel valutare la bontà dell’autonomia differenziata, in mancanza di analisi sulla sua efficienza?

Il secondo aspetto da porre in rilievo è quello dell’unità del Paese, che si sta ponendo con una certa forza. Il disegno di legge presentato dal ministro Calderoli non è conosciuto nei dettagli dalla gran parte dei cittadini. Secondo un sondaggio di Nando Pagnoncelli, pubblicato sul “Corriere della Sera” il 13 febbraio scorso, solo il 13% degli italiani ha seguito la proposta con attenzione, mentre il 58% sa poco o nulla dei contenuti. Il dibattito, però, sta rilanciando la contrapposizione fra Nord e Sud, poiché ha favorito una discussione molto divisiva (basti pensare a temi come i Lep o la responsabilizzazione delle classi dirigenti meridionali). Nelle aree settentrionali si rafforza l’idea che il Mezzogiorno usi il ritardo per vivere sulle tasse altrui, mentre al Sud si soffre per il crescente antimeridionalismo.

Le polemiche sul cantante napoletano Geolier al Festival di Sanremo non vanno sottovalutate. Dopo la sua affermazione nella serata dedicata alle cover, tanti spettatori hanno abbandonato il teatro Ariston e sono poi emerse due tifoserie duramente contrapposte. Sono seguite accuse durissime. Si è parlato di intervento della camorra, sono stati denunciati il razzismo e l’antimeridionalismo, sono tornati a circolare stereotipi che si sperava fossero definitivamente superati. Visto che l’autonomia differenziata non ha neanche terminato il suo iter parlamentare, sono segnali preoccupanti che meritano attenzione perché – come ammoniva Ernest Renan, intellettuale francese stimato da diversi esponenti della maggioranza – l’esistenza della nazione è un plebiscito quotidiano.