In attesa (quando?) del “decreto sviluppo” (supposta madre del rilancio economico) le agenzie internazionali si sono tutte allineate nel declassare il rating del Paese. Trovandosi disoccupata, la maggioranza litiga su chi dovrà sostituire Draghi al governo della Banca d’Italia, mentre il premier si preoccupa, con il ricorso all’abituale linguaggio da trivio, di come ridenominare il suo Partito delle Libertà.
Nel frattempo, a fianco dell’ipotesi di vendere nel brevissimo periodo il patrimonio immobiliare pubblico, è rispuntata persino l’ipotesi di condono (fiscale e edilizio per non scontentare nessuno). Ma lo stesso Tremonti, padre dei megacondoni del passato e di ben tre scudi fiscali, sembra avere finalmente capito (esibendo tuttavia una buona dose di impudicizia intellettuale) che i condoni sono l’opposto di ciò che serve per contrastare efficacemente l’evasione fiscale e il rispetto del territorio. In realtà il ministro farebbe bene a reintrodurre la Dual Income Tax, da lui inopinatamente abolita, che favoriva la capitalizzazione delle imprese di cui queste hanno disperato bisogno per reggere alla crisi. In verità, una sua riedizione pudicamente ridenominata Aiuto per la Crescita Economica è riapparsa nella delega fiscale: una buona idea, che però rischia di cadere nel dimenticatoio.
I decreti di luglio e agosto sono stati un’occasione persa. I costi della politica e il federalismo fiscale sono rimasti un genere letterario abusato da tutte le parti sociali. Il salvataggio delle provincie si è accompagnato a nuovi oneri insostenibili per governi locali, che (come richiede un federalismo intelligente e non fatto di avariata pasta leghista) sono i più vicini ai cittadini e in prima linea a dover rispondere alle crescenti esigenze di chi è davvero colpito dalla crisi: percentuali crescenti di giovani che non studiano, né lavorano, imprese che chiudono, disagi e bisogni crescenti, che stanno alimentando tensioni sociali, che potrebbero facilmente esplodere e divenire difficilmente controllabili.