Il Decreto con cui dal ministero da lui a quel tempo presieduto Lorenzo Fioramonti, il 23 dicembre scorso, ha stabilito norme e limiti ai corsi di laurea universitari in modalità telematica – in particolare con il comma 1 dell’articolo 1 – deve essere giudicato, ci sembra, assai positivamente. Almeno da parte di chi, nei corsi di studio (e nei vari dipartimenti) ha a cuore la formazione degli educatori socio pedagogici e di tutte le professionalità educative che operano nei diversi contesti scolastici ed extra-scolastici.

Il Decreto (ora al vaglio della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato) fissa un tetto specifico e limitato al numero di insegnamenti che possono essere erogati online anche in riferimento alla formazione degli psicologi e degli assistenti sociali. La norma entra così nel merito delle diverse figure professionali che le università possono formare, e riconosce come necessaria per le professioni di assistenza e cura una formazione di base, iniziale, in presenza, non surrogabile con insegnamenti a distanza.

Sancisce in questo modo un orientamento al tempo stesso severo e articolato, che senza svalorizzare tout court e sbrigativamente il contributo che i molti corsi telematici possono fornire all’apprendimento dei laureati e delle laureate, ne individua limiti intrinseci in ordine a taluni tipi di professione. Le professioni appunto di cura, o vicine all’ambito sanitario, come dichiara nel proprio comunicato il Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, che saluta con entusiasmo il Decreto del Miur.

Un motivo di soddisfazione per i pedagogisti, e per quanti hanno contribuito a progettare, costruire e irrobustire i corsi di laurea in Scienze della formazione primaria (istituiti a partire dal 1998 con laurea quadriennale e poi riformati con DM 249/2010 che apre alla laurea magistrale quinquennale a ciclo unico per formare gli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria) è rappresentato anche dal fatto che il Decreto assume proprio i vincoli espressi in ordine a questo tipo di corsi come modello paradigmatico, prevedendo che non più del 10% dei crediti universitari (i cosiddetti “Cfu”) possa essere accettato nei curricoli degli studenti di L19, L24, L39, LM51, LM85, in analogia a quanto accade a Scienze della formazione primaria. Dunque non si tratta di una censura o di una critica radicale alla formazione a distanza, ma di un consapevole riconoscimento del fatto che una buona formazione di base in taluni ambiti va concepita e perseguita attraverso la frequenza universitaria, l’incontro reale con docenti e studenti, le didattiche interattive in presenza, e consentendo tuttavia forme solo molto temperate di didattica online.

In particolare, le figure professionali le cui competenze si esplicano in comportamenti di cura, di promozione della crescita umana e sociale degli individui e di educazione richiedono sempre più apertamente modalità innovative di istruzione e formazione, in cui la qualità professionale specifica non è conseguita né con la più tradizionale forma di erogazione della lezione accademica, né con la mera adozione di strumenti tecnologici avanzati o raffinati, ma piuttosto con modalità innovative di interazione e di progettazione. Del resto va ricordato che i curricoli previsti per la formazione di questi profili professionali sono fortemente caratterizzati da attività didattiche di tirocinio e di laboratorio, che devono garantire ai futuri laureati la possibilità di sperimentarsi in situazioni reali di confronto riflessivo con i compagni/colleghi e con il docente, e che sollecitano quelle competenze relazionali e comunicative che saranno cruciali nelle professioni educative (e pedagogiche).

Il ribadire l’importanza della costituzione di una comunità "in presenza" come unica capace di sostenere e affinare atteggiamenti e sensibilità professionali rilevanti per gli operatori di area educativa, del resto, è oggi sostenuto da una sterminata letteratura sulle pratiche di formazione professionale, che indicano in modo chiarissimo come i formati e le strategie di insegnamento-apprendimento più promettenti in tali ambiti siano esattamente quelli che si realizzano con didattiche in presenza. In particolare, l’uso in presenza di un feedback formativo del docente, capace di leggere i bisogni formativi degli studenti e di individualizzare le sue risposte in supporto di un apprendimento ricco e significativo, costituisce un elemento-chiave dell’efficacia della didattica. Da questo punto di vista il Decreto, mentre impone i vincoli di cui abbiamo detto, ribadisce implicitamente un modello ideale di formazione a cui le università devono tendere e per le quali si devono attrezzare. A questo proposito, è certamente urgente e indispensabile che le stesse università siano sostenute in questo compito – politicamente ed economicamente – e che la qualità della didattica universitaria – coinvolgente, motivante, significativa, efficace al fine di garantire competenze solide – venga da tutta la comunità.