Per la parte che mi riguarda vorrei innanzi tutto – dopo averla ringraziata per l’attenzione che mi dedica – rassicurare Mariangela Caprara e con lei i lettori di questa rivista. Il richiamo all’identità italiana sarà pure, come lei scrive con un pizzico di malignità “armonico con la visione politica dominante, quella della destra di governo”, ma in me quel richiamo nasce alquanto prima dei recenti successi di Fratelli d’Italia. Diciamo che risale all’incirca a una trentina di anni fa quando, proprio presso Il Mulino, uscì un mio libro che aveva come titolo L’identità italiana, primo di una collana dall’identica intestazione dove hanno poi visto la luce nel corso degli anni ben cinquanta volumi. Non solo: risale infatti al 2020 un altro mio libro L’aula vuota nel quale si leggono molte critiche ai programmi dai contenuti “universalistici” e alla connessa sciagurata pedagogia delle competenze che oggi sono forse sul punto di essere abbandonati.

Dunque, come si vede, in tutta questa materia posso a giusto titolo rivendicare, è il caso di dire, un “brevetto antemarcia”: non sono certo un adepto della ventiquattresima ora! Ma la professoressa Caprara mi permetta ancora una piccola osservazione, questa volta all’insegna della mai troppo lodata “par condicio”. Perché mai quando parla della “pedagogia identitaria”, chiamiamola così, ella sente il bisogno di collegarla esplicitamente alla “destra di governo” e invece quando parla delle “visioni universalistiche” proprie delle Indicazioni nazionali in materia di storia vigenti finora evita di menzionare il pur ovvio legame esistente tra tale impostazione e la “sinistra di governo”?

Cara professoressa Caprara (mi permetta di rivolgermi a lei così confidenzialmente), in queste materie non esiste la politica da un lato e la scienza o la cultura dall’altra. Da entrambe le parti esistono valori, opzioni ideali, scelte ideologico-culturali. Prenderne una buona volta atto rappresenterebbe un importante passo avanti sulla via della chiarezza e della civiltà del nostro discorso pubblico su questi e su molti altri temi non crede?

Ma a chi mai può venire in mente, mi chiedo, che dei bambini di 8-10 anni o dei ragazzetti di 12 -13 possano – e debbano! – essere formati “all’epistemologia della disciplina storica e ai metodi della ricerca”?

In realtà sono sicuro che lei è d’accordo. Lo dimostra per l’appunto il suo testo, dove nelle prime righe scrive con lodevole franchezza che “abbiamo un problema enorme con le conoscenze di storia e geografia tra i nostri ragazzi”. È così: e a me riesce difficile non pensare che a produrre questo risultato così negativo c’entri qualcosa quella “trattazione delle vicende storiche multifocale sul piano geografico e sintetico-comparativa sul piano culturale, al fine di formare all’epistemologia della disciplina e ai metodi della ricerca” (parole sue), che oggi costituisce l’anima delle Indicazioni nazionali. Ma a chi mai può venire in mente, mi chiedo, che dei bambini di 8-10 anni o dei ragazzetti di 12-13 possano – e debbano! – essere formati “all’epistemologia della disciplina storica e ai metodi della ricerca”? E la prego, non invochi anche lei, a scusante dell’inevitabile fallimento di un progetto pedagogico così ridicolmente titanico, la solita mancanza di “correttivi a livello degli ordinamenti” o, peggio ancora, nella “formazione degli insegnanti”. Il difetto era ed è nel manico. Ed è dal manico che bisogna cambiare.

Ma se intendo bene mi pare che sulla necessità di cambiare, alla fine, anche lei sia d’accordo. Così come mi pare che in questa prospettiva non proprio tutto delle proposte che io ho sia pur sommariamente avanzato nel mio libriccino, non proprio tutto, dicevo, le sembri da rigettare. Per dare avvio a un dialogo fruttuoso già questo è importante, già questo può bastare, credo. Ed è con tale speranza che è un auspicio che per il suo scritto voglio ringraziarla.