Pochi giorni fa è esploso sui social l’ennesimo caso di denuncia di un brano sessista contenuto in un libro di testo delle scuole elementari. Quando ho letto la pagina incriminata la prima sensazione che ho avuto è stata quella di un déjà-vu: ho avuto la netta impressione di averla già vista, non una ma più volte nel corso della mia vita (scolastica e non). Visualizzo facilmente anche la scena: una mamma – vestita con il grembiule bianco d’ordinanza – stira con il sorriso; un papà – probabilmente in giacca e cravatta – legge il giornale con aria concentrata, comodamente seduto in poltrona. Sicuramente l’avrà vista anche mia madre una paginetta del genere, quando frequentava le scuole elementari negli anni Cinquanta. Il problema è che rischiano di imbattersi in questa amena scenetta anche le mie bambine che quest’anno hanno fatto il loro ingresso in prima elementare (n.b. sì, la vostra deduzione è giusta: sono mamma di due gemelle). Vorrei provare a spiegare perché è un problema.

Tra i commenti più martellanti (e inquietanti) che ho trovato rispetto a questo “caso” ce n’è uno che può essermi utile: “che male c’è se la mamma stira?”. La domanda, apparentemente ingenua e bonaria, nasconde nel migliore dei casi una banalizzazione della questione, nel peggiore una volontà di ribadire la naturalità e la giustezza della ripartizione dei ruoli di genere in ambito familiare e sociale. Per dimostrare che l’Italia non può permettersi di banalizzare o sottovalutare la questione porto all’attenzione qualche dato.

“Che male c’è se la mamma stira?”. La domanda nasconde nel migliore dei casi una banalizzazione della questione, nel peggiore una volontà di ribadire la naturalità e la giustezza della ripartizione dei ruoli di genere in ambito familiare e sociale

Dagli anni Settanta il tema di un’equa rappresentazione dei generi nei testi scolastici viene interpretato a livello internazionale come un ambito centrale su cui investire per la promozione di una cultura delle pari opportunità, a partire dall’infanzia. In Italia la questione viene inserita all’ordine del giorno solo a metà degli anni Ottanta, grazie soprattutto a iniziative promosse dalla Commissione Nazionale per la realizzazione della Parità tra Uomo e Donna, che danno esito a due importanti lavori: Il sessismo nella lingua italiana, di Alma Sabatini (1987) e Immagini maschili e femminili nei testi per le elementari, di Rossana Pace (1986).

La ricerca di Pace denuncia l’anacronismo e il sessismo dei libri di testo in uso negli anni Ottanta: «Accanto ad alcuni lodevoli sforzi di ammodernamento dei contenuti e delle immagini, vi è una prevalente tendenza all’immobilismo, che è poi mancanza di realismo: nella rappresentazione del mondo del lavoro, dove spesso i mestieri sono quelli di un tempo, in via di sparizione; nel linguaggio, che è spesso desueto, e soprattutto, nell’attribuzione dei ruoli e delle mansioni che vede le donne relegate nelle posizioni tradizionali di casalinghe affaccendate e talvolta – è il massimo della concessione – di benefiche fate, e interpretate nel ruolo di madri, secondo cliché desueti».

Dalla metà degli anni Ottanta fino alla fine degli anni Novanta si registra un lungo arresto di indagini critiche sui libri di testo italiani, con particolare riferimento ad un loro esame in ottica di genere. Solo nel 1998, con il Progetto europeo Polite (Pari Opportunità nei LIbri di TEsto), si riprende l’argomento cercando di recuperare lo svantaggio accumulato nel passato e di mettersi al passo con gli altri Paesi europei. Nell’ambito del progetto – promosso in Italia dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le Pari Opportunità e dall’Aie (l’Associazione italiana editori) – viene elaborato un Codice di Autoregolamentazione degli editori affinché la prospettiva di genere divenga criterio orientativo nella stesura dei futuri libri di testo.

Da un’indagine che ho condotto sui libri di lettura delle elementari editi all'inizio del Duemila (Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari, Rosenberg & Sellier, 2017), emerge che le indicazioni del Polite non sono state assimilate dalle case editrici scolastiche. I libri di testo offrono una rappresentazione del femminile e del maschile assolutamente stereotipata e anacronistica: non c'è traccia dei cambiamenti che hanno coinvolto la vita delle donne nell'ultimo mezzo secolo. Le donne protagoniste dei racconti sono immancabilmente madri e mogli, dolci e pazienti, ritratte nella sfera domestica mentre cucinano, apparecchiano, puliscono, ma sempre con un sorriso sul volto; raramente svolgono una professione e quando succede sono criticate perché non adempiono adeguatamente al loro ruolo primario, quello materno. Gli uomini sono in primo luogo dei lavoratori, sono liberi di muoversi nello spazio pubblico, sono attivi, intraprendenti, mantengono economicamente la famiglia, ma sono padri assenti, distanti, silenziosi. Queste immagini di femminilità e mascolinità, proposte in un contesto autorevole come la scuola, forniscono a bambine e bambini precise indicazioni su ciò che la società si aspetta da loro “in quanto femmine” e “in quanto maschi”.

Queste immagini di femminilità e mascolinità, proposte in un contesto autorevole come la scuola, forniscono a bambine e bambini precise indicazioni su ciò che la società si aspetta da loro “in quanto femmine” e “in quanto maschi”

Ritorno quindi alla questione posta all’inizio: “che male c’è se la mamma stira” in un libro di seconda elementare nel 2019?

Prima considerazione: il problema non è che una mamma stira (o cucina o pulisce o mette a letto il figlio/la figlia ecc.), il problema è che la quasi totalità delle donne vengono ritratte mentre sono alle prese con le attività domestiche mentre la maggior parte degli uomini vengono rappresentati come professionisti. Il libro di testo impone un modello unico quando dovrebbe fare l’esatto contrario: offrire a lettrici e lettori una grande varietà di modelli e di situazioni da cui attingere per costruire un'immagine autentica di sé e del mondo esterno.

La seconda considerazione mette in campo in maniera più ampia quello che dovrebbe essere il ruolo della scuola nella società: livellare le diseguaglianze sociali e predisporre le future generazioni al cambiamento, alla mobilità sociale e alla trasformazione dei ruoli, nella direzione di una società più equa e inclusiva. Dobbiamo invece appurare che la nostra scuola non solo non riesce a farsi promotrice di innovazione ma non riesce neppure a stare al passo con i cambiamenti che sono già avvenuti nella nostra società (molte donne lavorano – ebbene sì – e molti papà si occupano dei lavori di cura: perché non vengono rappresentati?).

C’è infine un ultimo tassello da considerare: l’uguaglianza e la non discriminazione sono due principi cardine della nostra Costituzione, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. Non mi pare questione di poco conto.