Dunque il Consiglio europeo che si è riunito a Bruxelles lo scorso 16 luglio non è arrivato a una decisione completa e definitiva sulla composizione della prossima Commissione e, com’è noto, sulla nomina dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (Pesc). È una pessima notizia per molte ragioni, non ultima il fatto, come ha sottolineato Romano Prodi, che in questo modo si ritarda di molto l’effettiva entrata in ruolo del semestre a guida italiana. Una volta designati, infatti, i commissari dovranno passare il vaglio del Parlamento. Con buona probabilità almeno qualcuno di loro non passerà l’esame parlamentare, e a quel punto sarà necessario un nuovo confronto. Dunque, ci saranno istituzioni funzionanti solo in autunno e difficilmente prima di fine ottobre potrà esserci un nuovo Consiglio in grado di prendere decisioni effettive. Il semestre italiano di cui tanto si è parlato nelle scorse settimane rischia dunque di subire una lunga preparazione e di durare nei fatti meno del previsto.

In particolare, e comprensibilmente, nei giorni scorsi l’attenzione si è incentrata proprio sulla decisione di rinviare di un mese e mezzo la nomina del sostituto di Lady Ashton, l’uscente ministro degli Esteri europeo che lascia l’incarico senza avere certo brillato per incisività. La decisione con la quale il capo del governo italiano ha cercato di imporre il suo ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ha per ora avuto soprattutto come esito negativo questa dilazione, in un momento in cui la scena geopolitica internazionale appare profondamente scossa a non troppi chilometri di distanza dai palazzi di Strasburgo e Bruxelles. L’aggravarsi della crisi Ucraina, che ha avuto il suo apice mediatico nell’abbattimento di un aereo civile con quasi 300 persone a bordo, e l’avvio delle operazioni di terra da parte dell’esercito israeliano nella striscia di Gaza costituiscono due momenti di grave turbolenza nella difficilissima tenuta degli equilibri internazionali. Secondo molti osservatori, del resto, era molto difficile che il nome di Mogherini potesse passare indenne dal vaglio di alcune cancellerie dell’Est, Lituania e Polonia in testa, dopo che proprio il ministro degli Esteri italiano il 7 luglio, e dunque a semestre avviato, aveva pensato bene di andare in visita ufficiale al Cremlino per garantire l’appoggio dell’Italia (e dell’Europa?) al gasdotto South Stream. Un progetto molto importante per Eni, che vede la partecipazione tra gli altri di Gazprom e che, prevedendo la costruzione di una linea che colleghi direttamente Russia ed Unione europea attraverso il Mar Nero e i Balcani, non passerebbe sul territorio ucraino. 

Ora, per l’ennesima volta nella storia recente della nostra Europa, la domanda è: in un momento come questo l’Unione può restare senza voce in politica estera? Per anni ci si è lamentati che l’Europa non parlasse con un’unica voce. Ma ora in questione è il silenzio.

Mentre da ogni parte si ricorda l’ultima estate di pace prima della Grande guerra, in occasione dei cento anni dal conflitto, conviene leggere le parole di chi, a proposito di quelle settimane di un secolo fa, racconta di come i leader europei non riuscirono a comprendere le conseguenze, e la gravità, di scelte sbagliate. Cristopher Clark li ha chiamati I sonnambuli, e a loro ha intitolato il suo ultimo libro. Un libro molto citato dalla Bundeskanzlerin Angela Merkel.