Esiste un filo rosso che lega le riflessioni sui cambiamenti nel mondo del lavoro, dei sistemi di produzione di beni e servizi, della transizione climatica e digitale, finanche dei sistemi di attrazione degli investimenti in Italia. Questo comune denominatore sono le politiche per la salute e sicurezza del lavoro. O meglio, potrebbero esserlo, perché troppo spesso quella riguardante la sicurezza è una discussione segregata, che fatica a trovare un respiro più ampio e stabilmente connesso a quelle altre politiche pubbliche che, per le proprie caratteristiche, determinano in modo significativo la variazione in aumento o decremento dei rischi per i lavoratori.

Ecco un esempio di questa distonia: una crescita intensa degli investimenti – si pensi al Pnrr – in che relazione si pone con l’obiettivo di maggiore sicurezza? Perché, se l’aumento dell’attività economica può generare nel breve periodo un’esposizione ai rischi che cresce linearmente con le maggiori giornate lavorate, nel medio-lungo periodo è presumibile che l’ammodernamento delle dotazioni tecnologiche delle aziende provocato dagli stessi investimenti produca al contrario un effetto di riduzione dell’indice infortunistico.

Osservando i dati è possibile desumere queste tendenze. Nel biennio precedente la pandemia, 2018 e 2019, il totale degli infortuni trattati da Inail è stato pari a 1 milione e 289 mila, di cui 1.542 mortali presso il luogo di lavoro. Nel biennio 2021 e 2022, il totale degli infortuni è stato analogo, pari a 1 milione e 268 mila, con 1.443 infortuni mortali nel complesso, considerando anche in questo caso esclusivamente quelli avvenuti presso l’azienda, escludendo i cosiddetti infortuni “in itinere”. In prima battuta quella degli infortuni potrebbe apparire una dinamica stabile, con un decremento significativo per quelli mortali (per quanto, anche per quelli non mortali, ma comunque con maggiore gravità, si registri una decrescita misurabile con il trend in discesa delle prestazioni economiche erogate dall’Inail). Eppure, se leggiamo questi numeri in relazione al Pil dei due bienni presi in considerazione, le cifre raccontano qualcosa di aggiuntivo, perché nel biennio ante Covid il Pil è cresciuto complessivamente di 1,2 punti percentuali, ma nel biennio post Covid, di dieci volte tanto.

Anche se si confrontano gli infortuni con le ore lavorate o con gli occupati si conferma l’effetto: da primo al secondo biennio si scende da 2,96 infortuni a 2,93 per ogni 100 mila ore lavorate. Anche gli infortuni per 1.000 occupati calano da 25,3 a 25. Il trend degli infortuni quindi diminuisce, anche a fronte del robusto rimbalzo economico post pandemia.

Questo dato offre una chiave di lettura delle politiche per la sicurezza che evidenza il ruolo degli investimenti e della qualificazione del sistema aziendale. Chiave di lettura ovviamente non alternativa, ma aggiuntiva al tradizionale approccio regolatorio e di controllo. Quest’ultimo approccio – che costituisce l’argomento egemone in materia – si può sintetizzare nella seguente affermazione: le regole per la sicurezza ci sono, vanno fatte rispettare attraverso un robusto sistema di controlli ispettivi. Una affermazione condivisibile, ma che sconta un limite di scalabilità dell’impatto. Le regole difatti sono stabili da circa 15 anni, ovviamente con un costante aggiornamento delle norme tecniche contenute principalmente nella regolazione volontaria delle norme Iso. Il sistema dei controlli si è rafforzato negli organici, ma non potrà mai tenere testa a una dimensione del sistema produttivo che conta – solo per le aziende coperte dall’assicurazione Inail – circa 3 milioni e 300 mila posizioni. Occorrerebbe affiancare alla strategia di rafforzamento dei ruoli del personale anche un filone parallelo di crescita della loro produttività con il ricorso a tecnologie di intelligenza artificiale, meno invasive per la vita quotidiana delle aziende, ma molto efficaci in termini di penetrazione dell’indagine e dell’osservazione dei comportamenti degli attori economici.

L’approccio della sicurezza realizzata attraverso gli investimenti ha invece caratteristiche non solo conformative rispetto al quadro normativo, perché identifica l’obiettivo di maggiore sicurezza con quello di maggiore qualità del modello organizzativo e produttivo di una azienda, e quindi con la sua capacità di operare nel mercato e generare ricavi.

Questa strategia che rintraccia nelle politiche per la sicurezza del lavoro una chiave di volta per la qualità complessiva dell’azienda è ben visibile nel comportamento di molti grandi gruppi industriali che, negli interventi per la sicurezza (operati con investimenti in formazione, tecnologie, istituti della contrattazione integrativa, regole di ingaggio dei propri fornitori), individuano uno standard avanzato di competitività.

La battaglia per la sicurezza è una campagna di lungo termine, e per questo occorre una strategia che valorizzi il ruolo degli investimenti

Si possono fare tre esempi concreti di questo approccio. Il primo riguarda la sicurezza come meccanismo di attrazione degli investimenti, perché per i fondi di finanza sostenibile (Esg) gli indicatori di incidentalità costituiscono un criterio importante di allocazione degli asset e, di conseguenza, gli azionisti agiscono affinché il management operi per la riduzione degli infortuni, che diventa così un vero obiettivo di performance della dirigenza aziendale. Il secondo esempio riguarda il rapporto con la propria filiera di fornitori, laddove i grandi gruppi definiscono dei “vendor rating” nei quali lo standard di sicurezza del fornitore opera come fattore di qualificazione e accessibilità alla fornitura di beni e servizi. Questo secondo esempio, peraltro, richiama la discussione in corso presso le istituzioni comunitarie riguardo la regolazione sulla cosiddetta “due diligence” delle grandi società relativa agli impatti sui diritti umani e sull'ambiente per quanto riguarda le loro attività, quelle delle loro filiazioni e quelle svolte dai loro partner commerciali.

Il terzo esempio, che in prospettiva assumerà sempre maggiore rilevanza, è legato al tema più ampio della salute e del benessere del lavoro, quindi non più solo alla dinamica degli infortuni. È un aspetto di crescente importanza per imprese che si misureranno con la crescente difficoltà nella ricerca di personale, a causa della tendenza demografica italiana che per i prossimi decenni vedrà ridursi drasticamente la popolazione in età lavorativa. Ecco, quindi, che le politiche aziendali per promuovere condizioni di salute e benessere organizzativo cresceranno d’importanza come fattore di attrattività di ciascuna organizzazione all’interno di un mercato del lavoro nel quale la concorrenza per l’approvvigionamento di risorse umane sarà via via più esasperato.

Questi tre esempi dimostrano in modo efficace come le politiche aziendali per la sicurezza possano essere concepite non solo come un onere, un costo da sopportare doverosamente per conformarsi alla normativa di riferimento, ma, all’opposto, come una potenzialità nello sviluppo organizzativo e funzionale degli attori economici. Una leva di qualificazione del sistema produttivo.

Ovviamente non si tratta di una ricetta universale perché, se può trovare terreno più fertile nelle aziende di maggiori dimensioni, per quelle di piccolissima taglia, la grande parte nella stratificazione delle imprese italiane, l’investimento richiede un sostegno da parte pubblica. Tuttavia, questa constatazione non deve scoraggiare. In primo luogo perché nelle aziende di maggiori dimensioni è impiegata una quota rilevante della forza lavoro (più di un terzo lavora nelle aziende con cinquanta o più addetti, mentre poco meno della metà dei lavoratori opera nelle aziende con venti o più addetti). In secondo luogo perché, come evidenziano gli esempi fatti, le imprese più grandi possono svolgere un ruolo molto impattante nella qualificazione dei propri fornitori, ancorché di minori dimensioni. Infine perché, laddove gli investimenti fissi diminuiscono in ragione della piccola dimensione aziendale, intervengono le politiche pubbliche di sostegno economico agli investimenti in sicurezza. Si valuti che solamente Inail, a partire dall’anno 2023, finanzia annualmente bandi a fondo perduto per investimenti in sicurezza delle piccole e medie imprese (Pmi) per un importo pari a mezzo miliardo di euro. Senza contare l’effetto sulla sicurezza derivante da ogni altra misura di sostegno economico dedicata all’aggiornamento del parco tecnologico e di dotazioni delle imprese (un tornio digitalizzato acquistato con industria 4.0 oppure un nuovo trattore acquistato con fondi europei genera una presumibile riduzione nell’esposizione ai rischi lavorativi).

In riferimento all’efficacia degli incentivi economici per la sicurezza nelle Pmi va richiamato un recente studio che, mettendo a confronto le aziende beneficiarie dei bandi Inail con un gruppo di imprese non beneficiarie, evidenzia nelle prime non solo una riduzione dell’incidenza infortunistica (il principale obiettivo di questo intervento pubblico), ma anche una performance migliore in termini di sopravvivenza e produttività (cfr. È possibile incentivare la sicurezza sui luoghi di lavoro?, a cura di A. Castaldo, E. Ragazzi e L. Sella, Giappichelli, 2023).

In conclusione, la sottolineatura del ruolo degli investimenti pubblici e privati allo scopo di ridurre gli indici infortunistici italiani non deve apparire in contrasto con le misure emergenziali che sono state progressivamente adottate a seguito di eventi drammatici come quello recentemente occorso nella centrale di Suviana, o poco prima nel cantiere di Firenze oppure nello scorso agosto a Brandizzo. Queste tragedie sollecitano l’attenzione, e quindi la reazione, dell’opinione pubblica e dei diversi attori istituzionali. Tuttavia la battaglia per la sicurezza è una campagna di lungo termine, e per questo occorre una strategia che valorizzi il ruolo degli investimenti, sia quelli diretti in sicurezza, sia quelli che possono essere “condizionati” agli stessi obiettivi. Si immagini, ad esempio, il beneficio che avrebbe comportato per la sicurezza in edilizia condizionare l’accesso ai bonus edilizi all’utilizzo di aziende certificate Iso. Oppure a sistemi di premialità – come il “Ranking di sicurezza e sinistrosità” elaborato da Inail – per le aggiudicazioni di appalti pubblici. O ancora alla definizione di condizionalità ex ante anche per soggetti privati per poter beneficiare dei fondi strutturali europei, nel solco dell’impianto che Bruxelles ha negoziato con i Paesi membri nella programmazione dei fondi strutturali e di investimento europei attualmente in corso.

Sono solo alcuni esempi che dimostrano come, orientando le politiche di investimento, si possono elevare gli standard di sicurezza grazie a una leva di grandissimo impatto, tenendo conto della dimensione finanziaria dell’intervento pubblico (a tal proposito, si veda il recente rapporto della Commissione europea, State aid Scoreboard 2023, pubblicato il 9 aprile scorso, laddove illustra le dimensioni degli aiuti di Stato anche italiani).