L'ascesa del "modello cinese". Nel 1994, Paul Krugman giudicò assurda la prospettiva di una futura supremazia economica dell’Asia, paragonando lo sviluppo economico della Cina a quello dell’Unione Sovietica e di altri Paesi dell’Europa orientale negli anni Cinquanta. Alle convinzioni dell’economista americano facevano eco le valutazioni di tutta la stampa specializzata anglosassone.

Per tutti gli anni Novanta, «The Economist» presentò editoriali e dossier sulla situazione della Repubblica popolare che inevitabilmente si concludevano con la previsione di un imminente collasso della sua economia. Ancora nel 1997, la prestigiosa rivista britannica pronosticava che se a Pechino non si fosse accettata una qualche versione delle terapia d’urto russa adottata da Eltsin, era inevitabile che la crescita cinese si arrestasse: non esisteva un "modello cinese", l’esempio vincente da seguire era quello del "modello russo". Con la crisi asiatica del 1997-98 in parte il giudizio sulla Cina si modificò: era ormai evidente che proprio la stabilità e la solidità della sua economia avevano consentito al Paese non solo di rappresentare il salvagente delle economie asiatiche nel corso della crisi, ma addirittura di iniziare a presentarsi come un modello da seguire. Gli elementi che erano stati alla base delle critiche e delle previsioni di crisi, come la mancata liberalizzazione del settore finanziario e il forte interventismo in economia da parte dello Stato, avevano infatti permesso al governo di Pechino di "gestire" la crisi e venivano ora visti come esempi da seguire dalle stesse "tigri asiatiche": per esempio dalla Malesia.

Sebbene in forma attenuata e meno assertiva, le previsioni negative nei confronti dell’economia cinese continuarono a caratterizzare la principale stampa economica occidentale anche negli anni seguenti; con la differenza che sempre più analisti non ritenevano più assurde le prospettive di lungo periodo che vedevano l’emergere della Cina stessa, o in una variante alternativa, lo "spazio asiatico", come il probabile futuro nuovo asse dell’economia mondiale. Prospettive che però guardavano tale eventualità come uno scenario che si sarebbe prospettato come attuale nell’arco di almeno cinquant'anni, se non di un secolo. Se questo era vero per quanto riguardava le ricerche e le analisi economiche e politologiche a livello accademico o poco più, parallelamente nei mass media e nell’opinione pubblica statunitensi diventava sempre più un luogo comune l’accenno a una prossima crisi o collasso del sistema cinese: se questa non si faceva vedere sul piano dell’economia, allora si spostava l’attenzione sugli elementi sociali e politici che avrebbero condotto a un processo più o meno simile a quello verificatosi nell'ex Urss. I mesi che precedettero le Olimpiadi del 2008 videro l’acme di questo atteggiamento.

L’inizio della crisi finanziaria statunitense nel 2007 e il suo acutizzarsi dal settembre del 2008 cambiarono radicalmente la prospettiva, tanto che nel corso dell’autunno di quello stesso anno la retorica del discorso economico mainstream accettò senza quasi battere ciglio che si considerasse superato il G7 come camera di regia e coordinamento dell’economia internazionale. Dopo una breve illusione legata all’idea di un G20, allargato ai principali Paesi extraeuropei (prospettiva che si presentò sui media per alcune settimane tra l’ottobre e il novembre del 2008), all’inizio del 2009, con il viaggio del neo eletto presidente degli Stati Uniti Obama in Cina, si affermò un nuovo discorso di cui subito i quotidiani si appropriarono: l’economia mondiale si reggeva ormai sulle gambe di due soggetti, il G2, e il più potente di questi, gli Usa, aveva una evidente dipendenza dall’altro, poiché solo se la Repubblica popolare avesse garantito l’acquisto e il mantenimento dei titoli del Tesoro statunitensi il governo di Washington avrebbe potuto garantire gli interventi a sostegno del proprio sistema finanziario al collasso, nonché il finanziamento del proprio debito pubblico, oramai fuori controllo.

 

Questo articolo fa parte di una serie di tre "lettere internazionali" dedicate all'evoluzione del rapporto tra Cina e Occidente nel corso del decennio scorso. Qui i successivi interventi, Un altro punto di vista e Un progetto duraturo?