Eccoci, finalmente: è il momento della ri-partenza di una scuola nazionale che non si è mai fermata, ma che ha imparato a destrutturare il contenitore dell’aula e delle lezioni frontali dietro allo schermo, prendendo per la prima volta in mano in modo collettivo il digitale. Per fare in modo di essere tutti connessi nell’obiettivo comune di imparare, di inseguire quella conoscenza e quel sapere che permetterà alle giovani generazioni di affrontare con successo il futuro nel mondo e in una società in costante e mutevole trasformazione.

Le lezioni non si sono mai fermate, sono andate avanti con un agglomerato emotivo misto a coraggio, orgoglio, paure, timori, forza che ognuno nel suo piccolo spazio domestico ha contribuito a sperimentare e condividere per dare nuova forma alla scuola. Quella scuola che, all’improvviso e nonostante le varie simulate tecnologie pre-Coronavirus, si è trovata senza lo spazio emotivo rassicurante dei muri degli edifici scolastici ed è stata traghettata sulle piattaforme digitali. Non ci si è fermati, si è accettata la sfida e si è fatto fronte all’emergenza lasciando sul tavolo carta e penna e utilizzando il mezzo che si aveva a disposizione per mantenere il contatto con gli alunni, con i nostri ragazzi e con i nostri bambini. Nel mentre, dall’altro polo dello schermo, quegli stessi alunni ritrovavano gli amati/odiati professori che apparivano puntualmente ogni mattina sul pc, sul tablet e sullo smartphone, aderendo costruttivamente alle leve mentali di un motore evolutivo che si sta formando, che cresce e si sviluppa in relazione a ciò che capta intorno a lui.

Un motore evolutivo di un cervello globale e di un cuore collettivo che non si è mai arreso, che ha arrancato tra prove ed errori, che ha coniato nuove espressioni («Prof. sei frizzato»), che ha fatto della Didattica a distanza (Dad) la bandiera dell’armistizio tra docenti fautori della digitalizzazione e docenti restii alla modernità nelle aule, e che torna a scuola in presenza, in quel vociferare tra i banchi testimone della vivacità di intelligenze da alimentare, di talenti da scoprire e da supportare, di menti che desiderano conoscere e che spinte dalla curiosità, leva iconica di ogni apprendimento, cercano ancora nello sguardo dell’insegnante quell’orientamento e quella guida per dare ordine a quelle emozioni che da piccoli e da adolescenti è difficile gestire.

Oggi più che mai, dopo un anno e mezzo dalla chiusura della scuola, dalle alternanze a singhiozzi tra presenza e distanza, in cui il chiacchierìo tra i banchi è stato traghettato nel multitasking adolescenziale delle chat di WhatsApp che hanno continuato a garantire il confronto tra il gruppo classe, si ha bisogno di prendere per mano insieme agli strumenti digitali, ormai indispensabili, il livello emotivo di una generazione che se da una parte ci ha aiutato a empatizzare con i nuovi linguaggi scaturiti dalla tecnologia, dall’altra ha bisogno della presenza emotiva di un corpo docente attivo nel qui e ora relazionale e che agisce come «base sicura» per orientare l’apprendimento, la formazione e l’insegnamento su nuovi canali vettoriali.

Nel bilancio costruttivo della ri-partenza sappiamo di aver appreso un nuovo modo di fare scuola, che è la necessaria riconfigurazione di un sistema che considera il cambiamento culturale in atto generato dalla rivoluzione digitale

Nel bilancio costruttivo della ri-partenza sappiamo di aver appreso un nuovo modo di fare scuola, che non è certo la connessione nella distanza con il gruppo classe per garantire la continuità didattica, quanto la necessaria e inevitabile riconfigurazione di un sistema scolastico che prende in considerazione il cambiamento culturale in atto generato dalla rivoluzione digitale. E si confronta con la trasformazione antropologica di menti che sono cresciute sviluppando nuovi linguaggi e nuovi processi operativi, tenendo in mano la tecnologia che è oggi l’estensione strutturale delle loro identità anche formative.

Si apprende diversamente, si ha a disposizione un immenso e infinito sapere sulle pagine del web, ma il processo mentale della conoscenza e di menti che si attivano per costruire le basi per il loro futuro rimane lo stesso: il contatto empatico tra mente e mente, tra sguardo fiducioso del docente e dosi di coraggio e autostima di un alunno che sa che si sta lavorando insieme per costruire il suo benessere lavorativo, ma anche e soprattutto mentale.

Digitale o no, il processo base dell’apprendimento rimane lo stesso per tutti. Si apprende, per imitazione, per esplorazione, per ricezione, e nella linea evolutiva di un cervello che cresce si ha bisogno di organizzare e pianificare l’apprendimento su una base emotiva di fiducia, stima e accettazione di sé e delle proprie capacità. Quel monitoraggio metacognitivo che oggi, dopo aver osservato quel che altri prima di noi avevano fatto con il digitale, aver esplorato e aver appreso, dobbiamo attuare per tirare le somme e ri-partire con sicurezza e fiducia, senza annullare i progressi fatti nell’avanzamento tecnologico di una scuola moderna, riconfigurata in termini di scienza e innovazione, ma che tiene sempre presente che è la presenza affettiva a cementare e collegare processi neuronali alla base degli apprendimenti.

La nuova scuola moderna, nell’accezione rodariana del termine, sa bene che l’affrontare con determinazione e coraggio le sfide imposte spesso dalla drammaticità della vita, ha sempre la sua base costruttiva nel tirare fuori le risorse e il contatto tra menti, tra la passione di insegnare e la curiosità del conoscere, tra il saper osservare e ascoltare i bisogni evolutivi del bambino e del ragazzo. È la prima risorsa che ha permesso alla scuola di non fermarsi nemmeno questa volta.

Ed è da questo passo, senza inciampare nelle dispute sul green pass, che bisogna ri-partire per affrontare con determinazione il nostro rientro tra i banchi di scuola cogliendo con mano il nuovo bagaglio emotivo che le nuove generazioni ci porteranno: ascolto, osservazione, empatia saranno di nuovo le linee guida costruttive di tanti docenti che con fiducia e sicurezza alimenteranno, nel contatto tra menti, il progetto comune di una nuova scuola moderna, che nell’unione collettiva dello sforzo di tutti sa e continuerà a dare tanto orientando l’apprendimento nel corso dello sviluppo.

Il bilancio della pandemia, condensato nel nostro desiderio di tornare in presenza, ci ricorda che nella dialettica tra uomo e macchine la voce del maestro, dell’insegnante, vince sempre

Il bilancio della pandemia, condensato nel nostro desiderio di tornare in presenza, ci ricorda che nella dialettica tra uomo e macchine la voce del maestro, dell’insegnante sulla scia dell’indicazione di Savater «mia madre, la mia prima maestra» vince sempre. Da grande osservatrice e ascoltatrice dei bisogni del bambino sa modellarsi in relazione alla mente assorbente dei suoi allievi, e comprende che il processo di apprendimento può avvalersi della penna, del libro, del tablet e del computer in modo integrato e produttivo solo se viene cambiato il metodo di insegnamento per generare un avanzamento della scuola che non altera quanto appreso e sedimentato nel corso della sua evoluzione. Ma anzi, ingloba il suo tesoro esperienziale in un nuovo processo formativo che tiene conto degli effetti della rivoluzione digitale sui processi interrelati di apprendimento, socializzazione, relazione e crescita.

Da mezzi per condividere storie su Instagram o deliziare attività distraenti e ricreative così come sperimentato da tanti adolescenti con la testa china sullo schermo, tutti abbiamo sperimentato oggi che gli strumenti tecnologici possono essere concepiti come mezzi per aggregare l’apprendimento che agisce su vecchi canali pedagogici e psicologici rivisitati e non cancellati nella fruizione digitale. La mente assorbente di memoria montessoriana rimane e si esplica nel circuito di Resnick dell’«immagina, crea, gioca, condividi, rifletti», che in chiave moderna raccoglie le indicazioni della didattica digitale che affianca e non sostituisce quella tradizionale nel nuovo spazio di apprendimento. Uno spazio che va oltre la lim, le piattaforme, i webinar, le flipped classroom, il coding, e abbraccia in modo globalmente condiviso lo strumento più efficace dell’apprendimento, ossia il contatto mente-mente che alimenta e fa scaturire la passione per la conoscenza distribuendola oggi in modo inclusivo sul vettore digitale, alleato e risorsa per lo sviluppo delle nuove competenze.

In primis, si tratta di aiutare a imparare in una nuova scuola che altro non è, come ha sottolineato anche il ministro Bianchi, che lo «specchio» della nostra società. In questo percorso di ristrutturazione e novità, la scuola non può non attivare nuove strategie di insegnamento, che non possono avvalersi soltanto della trasmissione di dati, nozioni e contenuti, ma anche di un «saper fare e creare» con quei dati, quelle nozioni, quei contenuti, in un modo trasversale e innovativo che tenga conto del ritmo del passo dei tempi. È necessaria una rimodulazione strutturale della formazione curriculare delle nuove generazioni, che si esplicita sia su acquisizioni tecniche sia su comprensioni e attivazioni procedurali che mettono in primo piano il livello di partecipazione e condivisione dell’apprendimento nella sinergia costante tra ambienti formali e informali, nel cuore dello spazio domestico, nel parco e nelle aule, corredate dal respiro di un sapere che non spegne mai il suo desiderio di attivare menti e passioni, tenendo per mano quel prendersi cura delle gioventù e delle nuove generazioni che nel «patto collaborativo» tra scuole e famiglie, permette al «care educativo e formativo» di garantire una «home page collettiva» della scuola digitale italiana.