Oggi il nostro rapporto con le tecnologie digitali si è progressivamente spostato in una dimensione onlife in termini di accesso, socialità e fruizione di contenuti mediali. In questa prospettiva onlife, come l’ha definita Luciano Floridi nel suo testo Manifesto dell’onlife (Eds, 2015), non si è più in grado di distinguere tra un’esperienza con o senza le tecnologie, tra l’essere connessi e il non esserlo. Riponendo maggiore fiducia nelle potenzialità delle tecnologie di migliorare il nostro essere nel mondo, ci affidiamo sempre più a esse per curare diversi aspetti delle nostre vite: per monitorare il sonno, la dieta, l’assunzione di liquidi, gli impegni, gli elettrodomestici casalinghi, i nostri pensieri e la nostra socialità. Le tecnologie digitali non sono più meri strumenti attraverso i quali è possibile entrare in un ambiente digitale separato dalla realtà fisica del mondo «reale». Piuttosto, la tecnologia si è integrata ai nostri corpi ridefinendo cosa significhi essere umani. La dimensione onlife sta dunque impattando quattro fondamentali ambiti delle nostre vite, ossia la concezione di chi siamo, il modo in cui socializziamo, la nostra concezione della realtà e la nostra capacità di agire nel mondo.

Le tecnologie digitali non sono più meri strumenti attraverso i quali è possibile entrare in un ambiente digitale separato dalla realtà fisica. Piuttosto, la tecnologia si è integrata ai nostri corpi ridefinendo cosa significhi essere umani

La nascita di Internet ha gradualmente consentito di sganciarci dalle limitazioni spaziali e temporali legate alla comunicazione orale prima e alla scrittura poi. Le tecnologie non solo ci permettono di essere attivi e reperibili ovunque ci troviamo (anywhere) ma anche in qualunque momento (anytime). La scansione temporale tra i diversi momenti della giornata, che ci permetteva di separare l’operosità dal riposo, i momenti dedicati alla socialità da quelli dedicati allo studio, i momenti di vacanza da quelli di routine lavorativa, è ora confluita in un flusso indifferenziato e ininterrotto. I contenuti a cui accediamo senza sosta attraverso un semplice scrolling verticale, giornate caratterizzate da una costante reperibilità e da una esposizione continua a informazioni, intrattenimento e comunicazioni istantanee, caratterizzano lo stile di vita accelerato della tarda modernità (Hartmut Rosa, Accelerazione e alienazione, Einaudi 2010).

Viviamo dunque in un tempo accelerato che sta gradualmente impattando l’organizzazione della nostra economia dell’attenzione che diventa sempre più breve e frammentaria. Siamo sempre più abituati a una fruizione di informazioni caratterizzata da un «godimento a microdosi» in cui intere storie si risolvono in una manciata di secondi condensate in singoli fugaci clip, tweet o gif come nei video di TikTok o nelle storie di Instagram. La sempre maggiore portabilità dei device e la rilocazione di tanti contenuti su nuovi supporti digitali e piattaforme ha portato inoltre a un consumo di informazioni svolto sempre più in mobilità svincolando il lavoro, l’apprendimento, l’intrattenimento ecc. dai luoghi fisici tradizionalmente preposti a queste attività. Non siamo più disposti a fruire di contenuti troppo lunghi e pesanti da scrollare in senso verticale o orizzontale: il contenuto ottimale è piccolo, sta in una schermata e avanza attraverso un tap. Come cambiano, dunque, i processi di apprendimento e insegnamento in un contesto caratterizzato «dalla frammentarietà, dalla discontinuità delle azioni, dalla moltiplicazione dei luoghi dell’abitare e da un marcato nomadismo» (Pier Cesare Rivoltella, Nuovi alfabeti. Educazione e culture nella società post-mediale, Scholé, 2020, p. 140) e da una ingente quantità di informazioni e stimoli mediali?

Un modo per interagire costruttivamente con la frammentarietà caratteristica del rapporto con i media digitali si può trovare nel microlearning. Questo approccio si basa sulla necessità di lavorare su segmenti circoscritti di contenuto attorno ai quali si devono sviluppare brevi attività di produzione spiegate in modo conciso e seguite da riflessioni condotte a chiusura dei lavori. Quando si parla di microlearning ci si riferisce dunque a un processo informale di apprendimento che sa interfacciarsi con i fenomeni della cultura mediale contemporanea caratterizzati dalla fruizione sempre più contratta nel tempo di contenuti transmediali.

Serve pertanto organizzare le sessioni formative e didattiche dosando la presentazione di nuove informazioni che non dovrebbero eccedere un quarto del tempo complessivo dell’unità di tempo della sessione destinando il resto della lezione a esemplificazioni, studi di caso ed esercitazioni.

Non sorprende che diversi docenti, soprattutto nel periodo pandemico, si siano appoggiati a social media come Instagram e TikTok per sperimentare nuove modalità di insegnamento attraverso la produzione e la pubblicazione di contenuti didattici in pillole. Prendiamo ad esempio il caso del profilo Instagram e TikTok «Normasteaching» in cui Norma promuove l’apprendimento dell’inglese attraverso clip di 15-60 secondi. Ciascuna pillola si concentra su singoli aspetti legati alla pronuncia o all’arricchimento lessicale, contestualizzando gli esempi nella cultura italiana. Un secondo esempio di profilo popolare legato a temi educativi è «marika_pedagogista» che seguendo sempre il formato dei video brevi di TikTok offre consulenze su numerosi aspetti comportamentali dei bambini, fornendo informazioni tecniche legate allo sviluppo neurologico delle diverse fasce d’età intervallate da consigli pratici rivolti a genitori e a educatori dell’infanzia. Un ultimo caso interessante è il profilo Instagram «psicomotricita_foligno» creato dalla dottoressa Mara Nuzzolo che traduce la sua esperienza di studio e lavoro nel campo della psicomotricità funzionale in infografiche e clip video. Su Instagram i contenuti da lei prodotti sono indirizzati all’intervento educativo fornendo consulenze, approfondimenti teorici, proposte di attività pratiche e giochi per promuovere le potenzialità motorie dei bambini.

Profili social che aspirano ad avere una funzione pedagogica offrono un’opportunità di interpretare e agire la Media Education in modo ricettivo rispetto al contesto dei consumi socio-culturali contemporanei, intrecciando la dimensione estetica con quella critica

Questi tre esempi di profili riescono a modellare contenuti educational ai format e ai linguaggi tipici dei social su cui sono pubblicati. In ciascun caso, ogni immagine o clip video è corredata di estese spiegazioni per arricchire il contenuto della pillola. Ciò che ancora manca a proposte come quelle qui descritte è la possibilità di attuare il debriefing finale che costituisce uno dei momenti fondamentali del microlearning durante il quale l’insegnante è chiamato a riorganizzare e a fare emergere le connessioni tra i vari frammenti. Non a caso spesso profili social che aspirano ad avere una funzione pedagogica si appoggiano a un sito web o a pubblicazioni cartacee in cui le pillole vengono contestualizzate all’interno di una cornice più generale attraverso percorsi più tradizionali di apprendimento. Nonostante i progressi ancora da fare in questo ambito, produzioni mediali come queste offrono un’opportunità di interpretare e agire la Media Education in modo ricettivo rispetto al contesto dei consumi socio-culturali contemporanei intrecciando la dimensione estetica con quella critica e mirando a generare forme di utilizzo responsabile e sostenibile.