Fra le molte questioni sollevate dalla pandemia di Covid19, c’è il tema della relazione fra esperti (in questo caso soprattutto medici e scienziati), istituzioni e società nel suo complesso. Uno degli aspetti sui quali si rivelano le criticità di questa relazione è quello della comunicazione scientifica. Molte di queste criticità erano presenti già da molto prima che si verificasse la pandemia, ma la situazione attuale le rende ancora più evidenti e, in alcuni casi, rischiose per la vita del nostro ordinamento liberale e democratico.

Uno spunto per riflettere su queste criticità viene da una iniziativa recentemente presa dal Patto trasversale per la scienza (Pts), che, di propria iniziativa, ha formulato al governo e all’opinione pubblica una proposta operativa per la gestione di quella che ormai tutti chiamiamo “Fase 2”. La proposta consiste nell'istituzione di “una struttura di monitoraggio e risposta flessibile dell’infezione da Sars-Cov-2 e della malattia che ne consegue (Covid-19) e, possibilmente, in futuro, di altre epidemie”. Secondo il Pts questa struttura dovrà “operare sotto il coordinamento di Protezione civile e ministero della Salute e il supporto tecnico dell’Istituto superiore di sanità”. Nel documento vengono quindi elencate le prerogative e i compiti che questa struttura dovrà avere.

Prima di discutere la proposta, vale la pena sottolineare come il Pts confermi ancora una volta di più di intendere la propria missione come quella di un attore politico che interloquisce con le istituzioni, i partiti e in genere le diverse entità di rappresentanza politica del Paese. Come già evidente da tempo, la “ragione sociale” del Pts non è quella di essere un organo di promozione culturale e di informazione ed educazione della cittadinanza, bensì una sorta di sindacato o partito della "scienza”. Che questa funzione sia assai problematica (se non un vero e proprio nonsenso) credo possa essere evidente a chiunque abbia anche solo una minima idea di come funzioni la ricerca scientifica e di come si sia evoluto il dibattito circa la relazione fra scienza e società, non solo negli ultimi decenni ma – direi – negli ultimi secoli.

Lasciamo tuttavia da parte questo aspetto, seppure centrale, per esaminare almeno una delle prerogative che la struttura proposta dal Pts dovrebbe svolgere nella gestione della Fase 2. Il compito menzionato al punto (vi) della proposta recita: “Condivisione della strategia comunicativa con l’Ordine dei giornalisti e i maggiori quotidiani a tiratura nazionale, nonché le principali testate radio-televisive pubbliche e private per evitare i danni potenziali sia dell’allarmismo esagerato che della sottovalutazione facilona o addirittura negazionista (utilizzando anche l’esperienza sul campo nel rapporto medico-paziente)”. Non mi pare che ci siano equivoci nel leggere questo punto come l’assegnazione di una prerogativa di “controllo” dell’informazione da parte della struttura proposta dal Pts. L’espressione “condivisione della strategia comunicativa” in verità, così formulata, può volere dire molte cose. L’unica cosa chiara è che alla struttura dovrebbe essere affidato un compito di gestione centralizzata dell’informazione. Per capire cosa potrebbero avere più specificamente in mente gli estensori di questa proposta forse vale la pena fare mente locale sul modo in cui il Pts e alcuni suoi membri intendono la comunicazione della scienza e il dibattito pubblico in merito.

Il Pts è noto per avere promosso, proprio durante la pandemia, azioni legali contro scienziati e figure pubbliche che – a loro dire – avrebbero diffuso disinformazioni sul tema dell’epidemia e così facendo avrebbero messo a rischio la salute pubblica (Vittorio Sgarbi, la dott.ssa Maria Rita Gismondo ecc.). Il merito delle informazioni diffuse dai denunciati non è qui rilevante, ma quello che è interessante è la metodologia. Chi esprime opinioni nella discussione pubblica che a detta del Pts (custode della verità scientifica) sarebbero false deve essere legalmente perseguito. A parlare, quindi, dovrebbero essere solo gli esperti titolati. Ma chi decide che sono gli “esperti titolati”? Oggi lo decide il Pts, domani potrebbe deciderlo la proposta struttura di gestione della Fase 2.

Che la vocazione della comunicazione scientifica sia censoria lo dimostra la recente querelle via social fra Roberto Burioni e il comico Natalino Balasso, reo di avere espresso opinioni in merito alla gestione della pandemia. A Balasso, Burioni ha prontamente risposto: “Io ho capito che lei di medicina non ne capisce niente e mi chiedo il motivo per cui debba scrivere sciocchezze che disorientano le persone in un momento difficile invece di usare il suo talento per farle sorridere”. Anche in questo caso il merito delle dichiarazioni di Balasso non è importante. Il punto è che nella visione di Burioni a dover parlare sono solo i medici e gli scienziati, indipendentemente dal fatto che le questioni medico-scientifiche dell’epidemia riguardino l’intera società, i diritti di ogni singolo individuo e che, proprio per questo, la sua gestione è in ultima analisi responsabilità della politica.

Ma come funziona la comunicazione di medici e scienziati secondo il Pts? Non credo che ci sia bisogno di ricordare come funziona il “metodo Burioni” nel “blastare” i cosiddetti “asini”. Anche al di là del “blastare”, tuttavia, mi sembra che ci sia una ben precisa idea della comunicazione in genere, e che questa idea sia di natura fondamentalmente autoritaria, paternalistica e incline all’”ipsedixeismo”. Un buon esempio è il post apparso sulla pagina di Medical Facts di Burioni a proposito della voce che ha circolato per i social circa una presunta cura per il Covid-19 sotto forma del messaggio anonimo di un sedicente medico, che avrebbe scoperto una correlazione fra le morti per Covid-19 e forme di trombosi. Nel post dedicato alla faccenda sulla pagina di Burioni si legge: “Dobbiamo aspettare, ricordando che le notizie affidabili non arriveranno via WhatsApp da un medico anonimo attraverso la chat del calcetto o dei genitori della scuola, ma da «The New England Journal of Medicine» o da «The Lancet» e le troverete istantaneamente su Medical Facts di Roberto Burioni”.

Ebbene, la pagina Medical Facts, che dovrebbe essere una pagina di informazione medico-scientifica, come liquida la cosa? In buona sostanza dice: “Aspettate e lasciateci lavorare. Vi faremo sapere noi autorità quando avremo certezze”. Anche in questo caso, non è in discussione il merito della notizia, ma il metodo. Il lungo post anonimo che circolava presentava una spiegazione (o presunta tale) del meccanismo di funzionamento di questa ipotetica cura. Di fronte a ciò, la pagina di Burioni ritiene che non si debbano spendere nemmeno due righe per spiegare perché quella “cura” non lo sarebbe davvero e perché non funziona. È sufficiente dire: “Non è così perché lo dicono gli esperti”, e questo con buona pace di quanto studiosi della comunicazione scientifica e comunicatori della scienza vanno ormai sostenendo da anni.

In conclusione, non si può che affermare che è un’idea deleteria e catastrofica pensare di assegnare il potere di gestire l’informazione medico-scientifica (e perché non anche politica, uno potrebbe chiedersi) a una struttura tecnica, che peraltro fa acqua da tutte le parti per molte altre ragioni che qui non si sono potute sviluppare. Si tratta di un'idea incompatibile con l’ordinamento liberale e democratico nel quale viviamo. Tale inadeguatezza è resa più che evidente dall’idea di comunicazione scientifica e di rapporto fra scienza e società che hanno alcuni influenti estensori di quella stessa proposta. Come risaputo, le situazioni di emergenza possono essere un’occasione favorevole per la propagazione virale di idee e pratiche illiberali e antidemocratiche, se non autoritarie, nella società liberale e democratica. Nel nostro Paese oggi un ruolo di primo piano nel propagare questa infezione lo sta giocando, più o meno consapevolmente, il Patto Trasversale per la Scienza e quest’ultima proposta ne è l’ennesima dimostrazione. Uno dei più autorevoli fondatori del Pts, Guido Silvestri, negli ultimi tempi dichiara che da questa drammatica situazione che sta vivendo potrà nascere un “grande rinascimento scientifico italiano”. Se queste sono le premesse, è lecito dubitarne.