I lettori avranno tra le mani la rivista dopo le ferie estive, mentre questo editoriale viene scritto prima: ci auguriamo che il clima sarà allora cambiato, perché quello che si percepisce adesso, e trapela da questo numero, non è certo entusiasmante. Partiamo dalla «finestra sul mondo»: Acconcia sull’Egitto, Petrillo sulla Serbia, Landi sull’India ci raccontano di Paesi importanti in cui la democrazia fa fatica ad attecchire o svilupparsi. Corruzione, populismo, nazionalismo estremo sono caratteri endemici che sembrano aggravarsi più che recedere. Mentre veniva rappresentata come una felice e sorprendente eccezione, l’India è ora minacciata da un radicale rovesciamento di élite politiche, anche se Landi si sforza di trovare una stretta via d’uscita al successo elettorale di Modi e del Bjp. A questi articoli va poi aggiunto un contributo significativo che abbiamo tratto dal nostro «archivio»: uno scritto personale e ancora attualissimo, commovente e discutibile, di Aldo Zargani sul conflitto israelo-palestinese, straordinario nel rappresentare la coazione a ripetere alla quale questo infelice pezzo di mondo sembra condannato. Con un simile panorama che si intravvede da questa «finestra sul mondo», il modo in cui gli Stati Uniti hanno affrontato la vicenda Snowden e i problemi che essa pone – il faticoso bilanciamento fra privacy e sicurezza e fra trasparenza e segretezza quando uno Stato
affronta momenti difficili per la sicurezza nazionale – sembra quasi un punto luminoso, anche se Mutti ne pone in rilievo le molte ambiguità. Ma almeno negli Stati Uniti il governo discute di questi temi e fa proposte. E in Italia?

Anche in questo numero «il caso italiano» appare tanto ricco quanto eterogeneo (Morrone sulle riforme istituzionali, Bettini sull’università, Piras sulla scuola, Lo Surdo sui conservatori, Mete sull’esperienza siciliana dell’associazione «Addiopizzo», Bianchetti e
Sampieri su nuove modalità dell’abitare, dipingono quadri di luci e molte ombre). E vedranno ombre, temo, i sindacalisti italiani che leggeranno il bel pezzo di Pirone sul rapporto tra Marchionne e il sindacato americano dell’auto: ne consigliamo la lettura insieme al libro di Barba Navaretti e Ottaviano, Made in Torino?, pubblicato dal Mulino. Riguarda infine l’Italia anche il contributo in «Cattaneo ricerca» scritto da Valbruzzi e Vignati, sull’andamento recente dei voti di preferenza, laddove si potevano esprimere (europee e regionali): dato il rumore politico che rimbomba sulle preferenze, c’è sembrato
il caso di attenuarlo con un pezzo di ricerca.

Quanto all’«Europa necessaria», come titola la nostra rubrica, sulle nomine delle principali cariche delle istituzioni europee al momento c’è solo contrattazione e confusione e speriamo di capirci qualcosa durante l’estate. Qui segnaliamo la bellissima lezione di Mario Draghi a SciencesPo (A consistent strategy for a sustained development). E, su questo numero, un pezzo d’obbligo per noi vecchi spinelliani (Montani): ottimismo della volontà, certo, ma anche un saggio informativo e ben ragionato.

Ancor prima che di politica, «il Mulino» è una rivista di cultura. Qui abbiamo saggi importanti, a cominciare da quello di apertura di Livi Bacci, Fine della demografia?: una lezione magistrale su una agenda ragionevole per lo sviluppo sostenibile. Nel «profilo», Niccoli fa un bellissimo ritratto di Jacques Le Goff, un gigante della storia e un grande amico dell’Italia. Nel «macinalibro» Ricciardi recensisce l’importante lavoro di Alan Ryan, On Politics. Mentre, in «idee», Mauro Bonazzi approfondisce il riferimento alla comune eredità greca di italiani, europei e occidentali. Nel suo contributo, Gian Enrico Rusconi non compie una commemorazione di circostanza del centenario della prima guerra mondiale: la sua è una riflessione impegnativa di un grande studioso di
storia tedesca, che fa il punto sull’immensa storiografia su quell’evento, sulle sue cause e sulle conseguenze. Infine, un cenno merita «il confronto» sul libro di Emanuele Felice, Perché il Sud è rimasto indietro: le recensioni di D’Antone, Federico, Giannetti, Toninelli, precedute dall’articolo di Salvati che già aveva discusso il libro sul «Corriere della Sera». La direzione di questa rivista è convinta che del Mezzogiorno, come problema centrale del Nation Building italiano, non si parli mai abbastanza, e ha quindi chiesto a Felice di replicare nel prossimo numero.