Ieri, 14 febbraio, è scaduto il termine ultimo perché i Consigli d’istituto e di circolo delle scuole statali approvassero il bilancio preventivo in pareggio sottostante il Piano dell’offerta formativa. Come rappresentante della componente dei genitori in questi organi, chi scrive si è trovato ancora una volta a dover deliberare sulla richiesta di contributi “volontari” alle famiglie per consentire un adeguamento dell’offerta formativa rispetto a quella altrimenti consentita dai risicati finanziamenti statali. Contributi che hanno in parte consentito di generare la cassa per coprire spese a carico dello Stato, ma che questo non ha pagato, accrescendo così i residui attivi nel bilancio, ovvero i crediti vantati dalla scuola nei confronti dello Stato. Si tratta di cifre cospicue, qualche anno fa stimate superiori al miliardo di euro, e di cui solo due anni orsono il ministero aveva cominciato, con logica imperscrutabile, a rimborsare parzialmente a una quota ridotta di scuole.

Sempre ieri è stato reso noto il programma per le scuole della lista Monti, che tratta appunto dei contributi. Piuttosto che affrontare il merito complessivo della proposta, impraticabile per motivi di spazio, seguo il metodo di Giovanni Morelli, il connoisseur famoso per attribuire a un pittore un quadro partendo da particolari minori del dipinto. Qui l’indizio, per risalire alla visione del rapporto scuola-famiglie, è costituito da come sono evocati i contributi nel programma.

Al quarto punto del programma, sul sostegno alle famiglie e il diritto allo studio, ci si impegna a “promuovere una politica fiscale che consenta di dedurre progressivamente le spese certificate in istruzione, come le rette per le scuole paritarie ed i contributi versati per la scuola statale”.

Alcune osservazioni. Innanzitutto, sembra si ignori che fin dal 2007, con legge Bersani 40/2007, art. 13, è prevista la detraibilità dei contributi volontari destinati all’ampliamento dell’offerta formativa, come ribadito nella nota ministeriale n. 312 del 2012. O forse l’estensore del programma non ha esperienza diretta o tramite la sua cerchia parentale e amicale su un tema che coinvolge la gran parte delle famiglie degli studenti delle scuole statali fino a quelle secondarie di secondo grado.

Ma una lettura più maliziosa suggerisce che si stia surrettiziamente volendo far passare il messaggio dell’analogia tra i contributi volontari delle famiglie alle scuole statali, per sopperire alle carenze dei finanziamenti pubblici, e le rette che le famiglie che scelgono di non avvalersi delle scuole statali pagano a quelle paritarie, ovvero in misura prevalente a istituti di matrice cattolica. Una simile lettura solleva allora due domande. La prima: se e come la promozione di questi istituti sia conciliabile con lo sforzo cui è chiamata la società italiana per promuovere, per una maggiore coesione sociale, l’integrazione di ragazzi di diversa nazionalità e credenze religiose, problema che non appare nel programma e che è un formidabile compito che ricade quasi esclusivamente sulle scuole statali. La seconda: quanto la deducibilità fiscale non si traduca in un beneficio per le famiglie negli scaglioni più elevati di reddito, con un effetto di minore progressività delle imposte. Due domande non da poco, cui spetterebbe a chi formula programmi così impegnativi dare risposta.