Si può appartenere a una tradizione senza esserne prigionieri? E si può immaginare la propria identità senza ricorrere alla metafora delle radici? La risposta è sì, basta riflettere su che cosa significa, propriamente, ciascuna di queste parole: per rendersi conto che l’identità, oggetto indefinibile, proprio per questo ha un disperato bisogno di metafore per essere maneggiato; che la tradizione non è qualcosa che si eredita per via genetica – o che la memoria trasmette meccanicamente da una generazione all’altra – ma la si costruisce e la si insegna passo dopo passo, che le radici, infine, sono un’immagine ingannevole ed escludente. 

 

Maurizio Bettini, classicista e scrittore, insegna Filologia classica all’Università di Siena, dove dirige il Centro Antropologia e Mondo Antico. Tra i suoi libri: «C’era una volta il mito» (Sellerio, 2007), «Voci. Antropologia sonora del mondo antico» (Einaudi, 2008), «Alle porte dei sogni» (Sellerio, 2009), «Affari di famiglia. La parentela nella letteratura e nella cultura antica» (Il Mulino, 2009), «Per vedere se» (Il melangolo, 2011). Per Einaudi dirige la collana «Mythologica».

 

Collana "Voci", Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 112, € 10,00