Perché Roma è così sporca, gli autobus non passano in orario e la metropolitana è sempre affollata? Sono domande semplici, quasi banali, che apparentemente riflettono dei luoghi comuni, eppure se le pongono con stupore misto a rabbia quasi tutte le persone che vivono o frequentano la città uscendo dai rioni da cartolina del centro storico. Per questo vale la pena interrogarsi sulle radici del declino di Roma e cercare alcune risposte a questi quesiti, mentre la città dopo anni opachi si prepara a confrontarsi con nuovi grandi eventi – su tutti il Giubileo 2025 e la fase finale della candidatura a Expo 2030 – un format che in passato ha portato alcune innovazioni ma soprattutto molti problemi.

Roma negli ultimi decenni ha perso la sfida della modernizzazione rispetto alle altre grandi città europee, ha sprecato occasioni, tempo e milioni di euro finendo per rimanere intrappolata nei suoi difetti. Politici, imprenditori e cittadini rimangono ad ammirare trasognati il tramonto di una città che la retorica definisce “eterna” ma che da anni cresce poco negli indicatori chiave dello sviluppo, non migliora nella qualità dei servizi, resta ingabbiata nei suoi stereotipi più deteriori. È una metropoli piena di ferite urbanistiche e sociali che ne frenano crescita economica e qualità della vita.

Qualche istantanea. Negli ultimi 15 anni, ha stimato la Banca del Fucino, Roma è stata superata da Milano per produttività, occupazione e tecnologia. Mentre Caritas ha rilevato che dopo le fasi più dure della pandemia di Covid una persona su quattro vive con disagio economico. Sono numeri di una città poco attrattiva, dove cresce il divario tra chi vive in centro e chi risiede nelle periferie, talvolta a 25 chilometri dalle zone monumentali: per reddito (50 mila euro la differenza della media tra i quartieri agiati e quelli più poveri) e infrastrutture (circa 1 milione di persone abita in zone non servite direttamente dalla metropolitana).

Intrappolata nella contemplazione delle bellezze archeologiche e architettoniche del suo passato, Roma sembra aver smarrito la capacità di tenere gli occhi puntati verso il futuro

Intrappolata nella contemplazione delle bellezze archeologiche e architettoniche del suo passato millenario, Roma sembra aver smarrito la capacità di tenere gli occhi puntati verso il futuro, in un mix di responsabilità tra politica locale e nazionale, imprenditoria, sindacati e cittadini. Con l’ombra della corruzione, a partire dall’inchiesta sul Mondo di Mezzo, che negli ultimi anni ha sfiorato pesantemente eletti in Campidoglio e amministrazione.

Se la capitale di un Paese del G7, con 2,8 milioni di abitanti – che diventano oltre 4 milioni sommando pendolari, studenti fuori sede e turisti – quinta per estensione territoriale in Europa, viene governata con gli stessi poteri degli altri quaranta comuni italiani con almeno 100 mila residenti vuol dire che qualcosa non funziona. In Europa le grandi capitali per il loro status godono di fondi ad hoc e ampia autonomia decisionale. Roma no. La struttura amministrativa del Campidoglio è inadatta per dotazione di fondi e ampiezza dei poteri alla gestione della complessità dei problemi cittadini.

Il bilancio comunale supera i 5 miliardi di euro annui, ma tra il costo dei servizi pubblici e quello dell’apparato amministrativo, una volta sottratte le spese fisse rimane ben poco per programmare nuovi investimenti. Non a caso si discute da anni sempre degli stessi progetti di mobilità e in materia urbanistica senza riuscire a realizzarli per assenza o cattivo uso delle risorse. Parte dei finanziamenti finisce ai 15 Municipi che hanno limitata capacità di intervento. Eppure ciascuno ha un’estensione territoriale e popolazione pari o superiore a quella di molte città italiane di media grandezza: il più piccolo ha poco meno degli abitanti di Siracusa, il più grande ne ha più di Verona.

Nel frattempo da anni alla Camera procede a rilento il lavoro in Commissione per scrivere una legge che superi la riforma varata nel 2010 dal centrodestra che ha pomposamente cambiato il nome da comune di Roma in Roma Capitale senza modificare di una virgola la capacità di investimento e la governance cittadina.

Mancano servizi pubblici di qualità. Il Campidoglio non riesce a garantire servizi pubblici di qualità, su tutti raccolta e smaltimento dei rifiuti e trasporti. Le prestazioni al cittadino vengono erogate tramite una galassia di circa 20 società partecipate, con i conti spesso in rosso (Atac sta chiudendo dopo 5 anni il concordato per un debito da 1,4 miliardi di euro) dove la voce principale del bilancio è spesso la spesa per il personale e non quella per il servizio. Perfino l’azienda che gestisce le 45 farmacie comunali ha accumulato passività tali che è rimasta per anni senza bilanci approvati prima di imboccare da poco la strada di un faticoso risanamento.

Il Campidoglio non riesce a garantire servizi pubblici di qualità, su tutti raccolta e smaltimento dei rifiuti e trasporti

Il risultato è una rete di metropolitane lunga appena 60 km (a Parigi sono 226 km, a Berlino 155), con due linee intere e una in funzione ma incompleta. La metro C, ideata per il Giubileo del 2000, iniziata nel 2007 e attivata nel 2014, dopo 15 anni di cantieri conta ancora 2 stazioni in costruzione e progetti di sviluppo per ulteriori 10 anni. A parziale attenuante: non è semplice scavare nel sottosuolo di una città unica per quantità e qualità dei reperti monumentali. Ma non può bastare come alibi.

Fino ai primi anni Sessanta la città era ricca di tram, poi scelte miopi hanno portato a smantellare progressivamente le rotaie di superficie passando da una rete di circa 150 km ai meno di 40 attuali. L’ultima nuova tranvia risale al 1998. Ora si cerca di correre ai ripari, con progetti per almeno 3 nuove linee in vista del Giubileo, che però presumibilmente saranno pronte solo dopo l’evento. Sembra un paradosso. Dalla fine del Quattrocento il papato ha stabilito che l’Anno Santo cada ogni 25 anni, eppure nel 2025 quando aprirà la porta santa l’opera più importante pensata per i pellegrini – il tram Termini-Vaticano-Aurelio – potrebbe essere solo a metà tracciato.

Sui rifiuti la situazione è anche peggiore. Tra roghi, indagini giudiziarie e mancate scelte politiche, da parte di tutti gli schieramenti che si sono alternati alla guida del Campidoglio, la città dispone di un ciclo di raccolta e smaltimento fragile e non autosufficiente, che conta la miseria di 3 impianti Tmb (di cui uno parzialmente andato a fuoco), affiancati da un termovalorizzatore in provincia di Frosinone. In assenza di strutture proprie sufficienti ogni anno vengono spesi quasi 200 milioni di euro per smistare rifiuti che vengono lavorati in giro per mezza Italia, con trasporti anche all’estero. Un’enormità.

Per quasi cinquant’anni, fino al 2013, la città ha conferito i rifiuti nella maxi discarica di Malagrotta, una volta chiuso l’invaso (sotto procedura di infrazione Ue) non sono stati realizzati i nuovi impianti necessari a rendere il ciclo moderno e sostenibile. Le diverse amministrazioni che si sono succedute hanno cercato senza esito di realizzare una nuova discarica, scontrandosi con l’ostilità dei territori di volta in volta individuati, oppure di aumentare la differenziata che langue attorno al 46%. Ma, senza impianti e in assenza di un invaso di servizio, ogni volta che si verifica un inconveniente in un passaggio della fragile catena di smaltimento i rifiuti finiscono ad accumularsi per giorni fuori dai cassonetti, formando di fatto una discarica parcellizzata in tutta la città.

Da un anno la giunta di Roberto Gualtieri ha avviato il progetto per realizzare un termovalorizzatore alle porte della città, dimostrando almeno il coraggio di provare a rompere un tabù sull’impiantistica. L’opera, però, deve fare i conti con il gradimento ma anche con le resistenze delle politiche bipartisan: la maggiore contrarietà arriva dal M5S – nei 5 anni di governo in Campidoglio il Movimento non ha avviato la realizzazione di nessun nuovo impianto – e da alcune componenti della Cgil, che ritengono l’inceneritore una tecnologia superata.

Se i servizi sono poveri di qualità l’urbanistica è ricca di occasioni mancate. Roma ha una superficie molto ampia e una densità abitativa media (circa 2.200 persone per kmq) non elevata, ne consegue una difficoltà nel portare servizi in maniera omogenea ed efficace su un territorio tanto vasto. Nonostante la popolazione sia invariata dai primi anni Novanta, il Campidoglio negli ultimi decenni ha autorizzato l’estensione ulteriore del perimetro urbano, culminata con la costruzione di anonime centralità urbanistiche, con annessa maxi area commerciale, ciascuna riferibile a un grande costruttore cittadino, spesso prive dei servizi più basilari. Mentre un esercito di quasi 60 mila persone vive in emergenza abitativa, rispettando il vecchio adagio di una città fatta di case senza abitanti e abitanti senza casa.

La febbre edilizia unita alla fascinazione per i progetti firmati dalle archistar di turno ha prodotto un catalogo di opere incompiute o poco funzionali, all’insegna della privatizzazione dei profitti e la pubblicizzazione dei costi. L’isola felice è l’auditorium Parco della Musica, disegnato da Renzo Piano, esempio virtuoso di recupero urbanistico di un’area degradata, diventato un centro di cultura vivo tutto l’anno. Ma è una rarità.

Il caso limite è la Città dello sport di Tor Vergata disegnata da Santiago Calatrava: avviata a marzo 2007 per ospitare i Mondiali di nuoto nell’estate 2009: non è mai stata terminata mandando in fumo oltre 200 milioni di euro. Ora l’idea è di completarla con altra vocazione se la candidatura a Expo 2030 risultasse vincente accompagnando l’operazione con la costruzione del più grande parco solare urbano.

Non è andata meglio con la nuova Fiera, che lo scorso anno la Corte dei conti ha definito “un investimento progettuale errato o comunque in un’area a forte rischio idrogeologico”, mentre i padiglioni della vecchia esposizione da 17 anni attendono inutilizzati una nuova sistemazione. Un destino analogo è toccato agli ex mercati generali di Ostiense, abbandonati al degrado da vent’anni nonostante siano a pochi passi dal centro. Avveniristico, oneroso e non troppo frequentato, il centro congressi la Nuvola di Fuksas all’Eur dopo 6 anni dall’inaugurazione è ancora contornato dalla recinzione esterna del cantiere. Queste “avventure” nell’architettura contemporanea hanno aggiunto poco in termini di nuovi servizi e sono costate centinaia di milioni di euro di fondi pubblici.

Anche il recupero delle infrastrutture già presenti lascia a desiderare. Da oltre dieci anni lo stadio Flaminio, gioiellino architettonico realizzato da Pierluigi Nervi per i Giochi olimpici del 1960, è abbandonato all’incuria. Una analoga sorte riguarda l’adiacente palazzetto dello sport, il cui restauro procede a rilento.

Cambiano le maggioranze, non cambiano i problemi. La “statura” della politica locale è parte del problema. Da diverse stagioni in Assemblea capitolina si alternano militanti di partito troppo attenti alle logiche del correntismo, esponenti politici in cerca di visibilità in vista di un salto al livello nazionale. Oppure imprenditori a caccia di un diversivo o eletti passati dal disimpegno all’attivismo totale con lo stesso furore ideologico. Il risultato è un dibattito politico ancorato a polemiche di piccolo cabotaggio, dal decoro ai cinghiali, dalle funivie fino ai monopattini, che non riesce ad aggredire i nodi più urgenti della mancata crescita cittadina.

Negli ultimi trent’anni, a partire dal 1993 con la prima elezione diretta del sindaco, tutti gli schieramenti, dal centrosinistra al centrodestra passando per il M5S, hanno governato in Campidoglio, con una prevalenza di consiliature – 6 delle ultime 8 – guidate da maggioranze progressiste. Sono cambiate le maggioranze, alcune hanno prodotto risultati, altre meno, ma molti dei problemi più sentiti dai cittadini sono rimasti irrisolti per le ragioni evidenziate in precedenza: rifiuti, trasporti, decoro, traffico, decentramento, smart city.

Palazzo Senatorio è stato teatro di sperimentazioni politiche. Il cosiddetto “Modello Roma” dei governi di centrosinistra di Francesco Rutelli e Walter Veltroni, che ha visto un rilancio della città – dopo gli anni bui del terrorismo politico e di Tangentopoli – tra prolungamenti metro, nuove infrastrutture e eventi culturali, ma ha anche contribuito alla crescita del debito pubblico cittadino e all’estensione massiccia del perimetro urbano con relativi problemi. La consiliatura attuale si pone idealmente in quel solco ma la formula politica sembra aver perso appeal.

Anche la destra post missina con Gianni Alemanno si è misurata con la sfida del Campidoglio, con una consiliatura difficile che è stata scandita da ordinanze labili su sicurezza e decoro e indagini sulle assunzioni “facili” nelle partecipate.

Mentre il M5S con Virginia Raggi, spinta dal voto delle periferie difficili sull’onda dell’indignazione per l’inchiesta sul Mondo di Mezzo, in Comune ha fatto le prove generali della scalata al Parlamento del 2018. L’esperienza della sindaca grillina, però, si è consumata tra attenzione mediatica eccessiva e risultati modesti, frutto di scarsa esperienza e mancata realizzazione delle promesse di un maggiore ricorso agli strumenti di partecipazione popolare.

E allora. Perché Roma è così sporca, gli autobus non passano in orario e la metropolitana è sempre affollata? Forse per la somma di scelte mancate, scarso coraggio politico, inefficienza amministrativa, opacità e convenienze.