Il 12 giugno prossimo i cittadini del comune di Torre Annunziata non potranno recarsi alle urne a votare poiché l’amministrazione comunale, per la seconda volta a distanza di trent’anni, è stata sciolta per infiltrazione camorristica. Ne scrivo con un misto di tristezza e di rabbia, non solo perché Torre Annunziata è la mia città natale, ma per le ragioni che cercherò di evidenziare in questo breve scritto.

Anche se la struttura dell’occupazione a Torre Annunziata (che conta circa 42 mila abitanti) e la sua composizione sociale non sono mai state completamente quelle di una città industriale fordista o di un’area a imprenditorialità diffusa, storicamente la classe operaia di fabbrica è sempre stata una componente importante della struttura di classe della città. Negli anni Cinquanta del secolo scorso ne poteva scrivere in questi termini Ottiero Ottieri: «A Torre del Greco i contadini sono monarchici. A Torre Annunziata, paese industriale, ci sono invece molti comunisti. I contadini, poverissimi, li descrivono come banditi» (La Linea gotica. Taccuino 1948-1958, Guanda, 2001, p. 171). Al tempo in cui Ottieri definiva Torre Annunziata paese industriale, l’apparato manifatturiero della cittadina era costituito da una trentina di piccoli pastifici e mulini – una tradizione industriale risalente al Settecento, di cui sopravvive oggi una sola fabbrica – nonché da alcuni insediamenti storici come la Real fabbrica d’armi, sorta nel 1759 come estensione dell’ancor più antica Regia polveriera, e la Ferriera e acciaierie del Vesuvio, fondata nel 1887, poi diventata Ilva nei primi anni del Novecento. Nei racconti dei lavoratori che ho personalmente intervistato nel corso di una ricerca, quel periodo viene rievocato con toni di profonda nostalgia che vale la pena riportare:

Torre Annunziata era una fabbrica, una fabbrica totale, non è che ci stava solo la fabbrica d’armi… era tutto un lavoro la mattina, era un’armonia. Quando la mattina scendevamo a lavorare cantavamo, c’era movimento […]. All’epoca era tutto caratteristico, perché arrivati al centro di Torre, si sentiva proprio l’ambiente della fabbrica vera e propria: gli odori, le luci, la sirena che chiamava i turni... […] a Torre i pastifici erano una cosa che ti faceva essere orgoglioso

Queste testimonianze dimostrano tra l’altro l’esistenza di processi di «socializzazione anticipatoria» al lavoro manifatturiero che risulteranno evidenti in tutta la loro forza nel corso degli anni Sessanta, quando in seguito all’insediamento di alcune imprese di medie e grandi dimensioni, in larga parte chimiche e siderurgiche (come Lepetit e Dalmine), si andò formando una nuova realtà operaia, costituita soprattutto da giovani, talvolta rientrati dalla Germania o dalla Svizzera grazie alle nuove opportunità di lavoro. Eppure, neanche in quegli anni riuscì a imporsi una classe dirigente politica capace di rappresentare una realtà sociale nella quale il lavoro acquistava una centralità non diversa rispetto ad altrove, sia pure con qualche complicazione. In quegli stessi anni, infatti, Torre Annunziata, città industriale in espansione, presentava anche una grande offerta di lavoro e già dava segni di diventare un’area egemonizzata da gruppi legati alla piccola e grande criminalità.

Contemporaneamente al consolidamento della classe operaia di fabbrica, aumentava il numero dei disoccupati mentre rimanevano significativi l’occupazione precaria, il lavoro nero e le attività illegali. Benché le industrie di Torre Annunziata e i loro operai abbiano assolto una funzione importante di modernizzazione, non sono dunque riuscite mai ad assumere un ruolo guida e trasformare radicalmente la struttura di classe della cittadina, pagando con la sconfitta più bruciante – la dismissione degli anni Ottanta – questa loro incapacità, o meglio, l’incapacità, se non la predisposizione alla corruzione, di molti dei loro dirigenti politici e sindacali e i limiti della classe imprenditoriale.

Benché le industrie e gli operai della città abbiano assolto un'importante funzione di modernizzazione, non sono riusciti a trasformare la struttura di classe della cittadina

Di tale sconfitta cominciavano a intravedersi dei segnali significativi già a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, caratterizzati dalla chiusura di numerosi pastifici e dal ridimensionamento dei grandi impianti industriali. In un solo decennio, dal 1971 al 1981, gli occupati nell'industria manifatturiera passarono infatti da 6.215 a 5.190, con un calo di oltre mille unità.

Contemporaneamente alla riduzione dell’occupazione ufficiale, cominciarono a diradarsi le opportunità illegali di sopravvivenza, talvolta svolte anche dagli studenti o da lavoratori stagionali (come quelle legate al mestiere di scafista, alla vendita al dettaglio di sigarette di contrabbando e alla pesca di frodo), sostituite da attività del tutto criminali (spaccio di eroina, estorsione, intimidazioni violente, usura) che avevano come protagonisti soggetti del tutto diversi.

Fin dall’inizio, la crisi industriale e occupazionale si è intrecciata a una profonda crisi istituzionale e culturale, segnalata da tre episodi particolarmente gravi: il «massacro di San Valentino», avvenuto nel 1984 (un regolamento di conti tra bande malavitose rivali che provocò la morte di otto persone, tra cui un passante); l’assassinio, l’anno successivo, del giovane giornalista del «Mattino» Giancarlo Siani, il quale stava ricostruendo le interconnessioni tra camorra e sistema politico a Torre Annunziata dopo il terremoto del 1980; lo scioglimento, nel 1993, del Consiglio comunale per condizionamento camorristico cui seguiranno diversi commissariamenti (per una testimonianza della crisi industriale, delle questioni sindacali e dell’affermarsi dei clan di camorra nella prima metà degli anni Ottanta si consiglia di leggere gli articoli e le inchieste di Giancarlo Siani raccolte nel volume, curato da Isaia Sales, Il lavoro. Cronache del Novecento industriale. 1980-85, Iod edizioni, 2021).

Per un decennio circa, dopo questi gravi fatti, ci fu una certa attenzione nazionale nei confronti della crisi economica e sociale della cittadina, scelta per l’attuazione di diversi interventi straordinari previsti per le aree in crisi produttiva di cui rappresentano due momenti significativi la costituzione, nel 1994, della Tess-Torre e Stabia sviluppo S.p.A, una società a capitale pubblico (che poi diverrà un’agenzia locale di sviluppo che proporrà un progetto incentrato sul turismo, denominato Costa del Vesuvio) e la stipula, nel 1996, di un contratto di programma che prevedeva un pacchetto di otto iniziative imprenditoriali nelle aree in dismissione, opere mai realizzate: al loro posto oggi è in costruzione un gigantesco centro commerciale, il più grande del Mezzogiorno.

Si sente dire spesso che la «colpa è dei torresi che non sanno votare». Ma la successione di fatti che ho descritto parla d’altro. Torre Annunziata, città amministrata dal 1995 ad oggi ininterrottamente da coalizioni politiche di centro sinistra (dall’Ulivo in poi), rappresenta oggi piuttosto la coscienza sporca della sinistra. E numerosi sono stati i torresi che sono morti: piccoli commercianti o semplici cittadini che sono stati uccisi in modo brutale – nel negozio, sulla soglia di casa, per strada – per essersi ribellati al sopruso o che sono stati colpiti da proiettili vaganti.

Torre Annunziata, città amministrata dal 1995 ad oggi ininterrottamente da coalizioni politiche di centro-sinistra, rappresenta oggi la coscienza sporca della sinistra

Se manca un piano di sviluppo del porto di Torre Annunziata, ricco di bellissimi archi borbonici che periodicamente subiscono dei crolli, sotto i quali ancora è possibile vedere i pescatori riparare le reti e riverniciare le «cianciolle». Se non vi è un progetto di recupero dell’arte della pasta neanche sotto il profilo della memoria storica. Se in una città dove i rioni popolari si chiamano Rione dei poverelli o Quadrilatero delle carceri manca un piano di lotta alla povertà dei minorenni allo scopo di evitare la cristallizzazione delle disuguaglianze e lo sbocco nella devianza. Se non c’è un’idea di sviluppo turistico delle bellissime spiagge di sabbia nera, del Vesuvio e del peculiare microclima, dell’edificio storico dello Spolettificio che dista pochi passi dall’antica villa di Poppea Sabina, seconda moglie di Nerone, patrimonio Unesco.

Se manca tutto ciò, non è da un’amministrazione straordinaria e vigilata che «metta a posto le carte» e gestisca oculatamente i fondi del Pnrr, e tantomeno dalla buona volontà dei cittadini torresi onesti, che ci si potrà attendere una vera svolta.