Con la firma del Patto per l’istruzione e l’approvazione del Decreto sostegni bis, è tornata di attualità la discussione su quale meccanismo usare per reclutare la classe docente italiana e dare una risposta alle decine di migliaia di precari della scuola.

A mio avviso è sbagliato concentrarsi subito sul «come» senza aver prima discusso del «chi», cioè senza avere bene chiaro quale sia il profilo degli insegnanti che vogliamo assumere in ruolo. Quali sono, allora, le caratteristiche che desideriamo in un bravo docente e quali ripercussioni hanno sul meccanismo di reclutamento degli insegnanti?

La prima caratteristica, è ovvio, è la conoscenza della propria disciplina, che però è condizione necessaria ma non sufficiente per fare di un insegnante un bravo insegnante. Specialmente nella scuola di oggi, infatti, è fondamentale possedere anche un’ottima preparazione pedagogica e avere la giusta attitudine psicologica all’insegnamento. Per capirci, un genio come Sheldon Cooper di Big Bang Theory non sarebbe mai un buon insegnante.

Come acquisire questa preparazione? I metodi sono essenzialmente due: tramite un periodo di formazione iniziale e tirocinio oppure con l’esperienza «sul campo» attraverso le supplenze. Ma se per il primo è molto semplice valutare l’efficacia del percorso, per il secondo è molto più difficile. A oggi, infatti, non esiste alcun meccanismo di valutazione delle supplenze e l’insegnante bravo quanto quello pessimo ottengono gli stessi punti in graduatoria. Va quindi pensato un meccanismo che equipari, almeno parzialmente, un percorso di formazione iniziale a uno o più anni di supplenze che abbiano ottenuto una valutazione positiva.

Va pensato un meccanismo che equipari, almeno parzialmente, un percorso di formazione iniziale a uno o più anni di supplenze che abbiano ottenuto una valutazione positivaUn corollario di questo ragionamento è che dobbiamo individuare precocemente chi, per vari motivi, è inadatto all’insegnamento e indirizzarlo altrove. Vi è, infatti, un certo numero (fortunatamente piccolo) di pessimi insegnanti che rimane «incagliato» nelle graduatorie delle supplenze, con punteggi enormi e una cattedra assicurata tutti gli anni.

Non fare niente non è giusto per gli alunni che se li devono sorbire, per le scuole che cercano in ogni modo di evitarli e anche per loro stessi, che si trovano imprigionati in una professione che provoca loro solo frustrazione e in cui, purtroppo, fanno molti danni.

Si è detto, in testa, che è necessaria la conoscenza disciplinare e quest’ultima non può che essere verificata con una procedura selettiva. È necessario, però, cambiare prospettiva rispetto a quello che è il ragionamento comune. Non dobbiamo mirare a individuare gli insegnanti «migliori» ma, piuttosto, quelli che faranno un buon lavoro.

La differenza è sottile e provo a spiegarla con un esempio. Se il nostro obiettivo è cercare tanti «John Keating» faremo i concorsi, avremo una marea di bocciati e continueremo ad avere le cattedre vuote. Non solo. I posti rimasti vacanti andranno, infatti, in supplenza a decine di migliaia di «respinti dal concorso», moltissimi dei quali sono dei bravi docenti ai quali è stata inflitta una dura umiliazione e, in piccola parte, sono quelli menzionati in precedenza, pessimi ma con punteggi stratosferici in graduatoria.

Il risultato, paradossale, della selezione troppo severa è che ci siamo tenuti gli insegnanti pessimi per non dare la cattedra a quelli bravi, ma che non sono «animali da concorso». La selezione ci deve essere, ma bisogna che sia ragionevole: non vanno bene le sanatorie «todos caballeros» ma nemmeno i test a crocette o le prove con un 70% di bocciati.

La selezione ci deve essere, ma bisogna che sia ragionevole: non vanno bene le sanatorie todos caballeros ma nemmeno i test a crocette o le prove con un 70% di bocciatiVi sono poi altre questioni, più tecniche, di cui però dobbiamo tenere conto.

La prima è che la procedura di reclutamento deve essere pensata a regime, cioè tra 3/5 anni ed essere frutto di un consenso politico che la renda robusta e resistente ai cambi di maggioranza. In caso contrario, vi è un rischio elevatissimo che faccia la fine del Fit (Formazione iniziale e tirocinio), approvato da una maggioranza e smantellato da quella successiva dopo poco più di un anno.

La seconda è che dobbiamo pensare a come il sistema di reclutamento si vada ad inserire nel sistema scuola, tenendo quindi conto dei trend demografici, della volontà, o meno, di alterare il numero di alunni per classe, di eventuali riforme dei cicli e, soprattutto, della mobilità (i trasferimenti). Diventa, infatti, inutile tenere dei concorsi con un certo numero di posti in palio se poi la loro distribuzione geografica, a distanza di pochi mesi, verrà stravolta dalla mobilità interregionale. Il rischio, concretissimo, è di trovarsi in alcune regioni con le graduatorie esaurite e migliaia di posti liberi e, viceversa, con le graduatorie piene e nessun posto libero in altre.

Infine – e la metto in fondo volutamente – va affrontata la questione «precari» che però deve essere un pezzo del percorso generale e non l’unica preoccupazione. Se, infatti, il «reclutamento dei docenti» si riduce alla mera «assunzione dei precari» non usciremo mai dall’emergenza, che infatti dura da decenni.

Pare controintuitivo, ma se oggi assumessimo tutti quelli che si considerano «precari» nella materia e nella regione desiderate, avremmo una marea di posti vuoti in alcune regioni e, specularmente, altrettanti insegnanti «in esubero» nelle altre. C'è uno squilibrio di fondo, infatti, di cui bisogna tenere conto.

E quindi, che si fa? Non si danno risposte ai precari? Qualcosa va fatto ma, come scritto, deve essere pensato all'interno della soluzione generale e non come toppa o, altrimenti, è destinato a fallire.  Le assunzioni di massa di insegnanti ope legis non hanno mai risolto il problema dei precari proprio perché sono state mosse estemporanee, fatte al di fuori di una logica globale.

In aggiunta, c’è un altro problema: mantenere un esercito di precari è conveniente e non solo per lo Stato, che evita di pagare gran parte di questi docenti nei mesi di luglio e agosto. Pensate, infatti, a quanti enti forniscono corsi di formazione che danno punteggio in graduatoria, aiutano gli insegnanti nella compilazione delle domande e mettono in piedi i ricorsi per chiedere al giudice ciò che la commissione d’esame ha negato. Non sono pochi i soldi che girano in questo mondo.

In sintesi, abbiamo bisogno di un sistema che formi gli aspiranti docenti, valuti il loro servizio e individui chi non è adatto all’insegnamento, fermandolo, selezioni in modo ragionevole, tenga conto dei posti reali, cioè della mobilità, e preveda una fase transitoria che affronti il problema dei precari.

Non è sicuramente semplice, ma qualche spunto sul come fare, all’interno del gruppo Condorcet, lo abbiamo proposto. Purtroppo, tutta la discussione politica pare andare nella direzione opposta.