Domenica prossima si vota in Baviera, il Land governato storicamente dai cristiani sociali della Csu, e il risultato potrebbe costituire l’inizio di un terremoto politico in Germania. I sondaggi sono disastrosi sia per la Csu (da oltre il 47% del 2013, raccoglierebbe appena tra il 33 e il 38%) sia per la socialdemocrazia (in calo di oltre 6-7 punti), secondo alcuni superata da AfD (tra il 10 e il14%). In grande crescita i Verdi, persino qualche tenue speranza di vedere la Linke superare la soglia di sbarramento e entrare, per la prima volta, al Landtag.

Si rompe così l’ultimo tabù: persino nella Baviera di Strauss, il quale si divertiva a ripetere che alla propria destra non c’era spazio politico per nessun altro partito (il sottinteso era che lui rappresentava la destra più autentica, anticomunista e antisovietica), la Csu si troverà a fronteggiare i populisti di estrema destra. Se i sondaggi saranno confermati, la Csu non potrà (più) governare da sola. Dovrà proporre un governo di minoranza o avviare trattative per una coalizione. Ma con chi? In grande crescita i Grünen o la Spd? O avviare trattative proprio con AfD, con i quali anche molti della Cdu pensano di dover trovare una intesa? Per ora Markus Söder, attuale Ministerpräsident bavarese, ha smentito ogni possibile coalizione, ma sono torni da campagna elettorale e se i sondaggi dovessero essere confermati, dovrà comunque fare una scelta.

Le liti tra il Ministerpräsident e il suo predecessore, Horst Seehofer, attualmente ministro federale dell’Interno e ancora a capo del partito, spiegano solo in parte la crisi dei cristiani sociali. Certo, la transizione tra i due è anche generazionale: Söder è del ’67, Seehofer del ’49, e non s’intendono praticamente su nulla, tant’è che la scorsa estate, di fronte alla crisi tra il ministro federale e la Cancelliera, sulla questione dei migranti, Söder si defilò e negò che la questione potesse mettere in discussione il Governo.

E, tuttavia, questa incomprensione tra i due è solo una delle tante ferite aperte tra i conservatori tedeschi, sempre più irrequieti. Una situazione destinata a non migliorare nemmeno se domenica i sondaggi dovessero essere smentiti. Per due ordini di ragioni. Da un lato, si approssima la fine del lungo cancellierato di Angela Merkel e si apre, per ora in modo sotterraneo, la corsa per raccoglierne l’eredità. Dall’altro si pone il problema di quale fisionomia dare ai conservatori tedeschi.

Angela Merkel è stata spesso apostrofata come una Cancelliera “socialista”: ha interpretato i suoi anni al governo spostando il partito su posizioni di un centro 'estremo', lontano da ogni radicalismo. Ha introdotto il salario minimo, ha puntato al dialogo con i sindacati, è intervenuta su questioni di politica sociale, tanto da rendere i conservatori spesso irriconoscibili rispetto alla Spd, che non a caso è uscita malissimo dalle esperienze di governo guidate da Merkel.

La Mitte, il centro, è stato il grande obiettivo di Merkel, nella pratica di governo, così come nel suo stile. Angela Merkel ha scelto di adattarsi alle situazioni che di volta in volta si sono profilate, con le scelte dell’elettorato e con le necessità del governo. Sui principi non ha trattato, ma è stata flessibile sugli strumenti: la sua storia personale non era quella di una politica della Cdu. Non ne ha vissuto gli scontri interni, se non a partire dagli anni novanta: questo gli ha permesso di modellare il partito sulla propria immagine, azzerando le ali troppo radicali (in particolare quella più liberale in economia).

Questo è stato un governo della Cancelliera: quando andrà via, quale sarà la nuova fisionomia di un governo guidato dai conservatori? La risposta non può prescindere da una data: 31 agosto 2015, quando Angela Merkel decide l’ingresso dei richiedenti asilo (e il suo celebre Wir schaffen das, ce la facciamo), il cui numero è drammaticamente cresciuto con il rapido collasso della Siria. Quella data ha cambiato tutto perché radicalizzò non solo la politica ma la società tedesca.

Angela Merkel ha reso la Cdu una vera Volkspartei, ha reso il Volk una Mitte, facendo così del Volk una realtà (troppo?) plurale e in grado di coprire praticamente tutta la nazione e i suoi bisogni. Non è la prima volta nella storia tedesca che una simile semplificazione entra in crisi: il vecchio Brandt, alla fine degli anni ottanta, criticava proprio l’uso, che lui stesso aveva realizzato, troppo generico e vago del concetto di nuovo centro negli anni Settanta.

Quello di Mitte è un concetto che è andato sempre più in difficoltà con l’inizio della crisi e, soprattutto, con l’arrivo dei migranti: una parte di quel Volk ha scelto di non voler esser più Mitte, perché ne ha avvertito i rischi, e ha preferito ribadire Noi siamo il popolo (utilizzando lo slogan dei manifestanti contro il regime della Repubblica democratica) a segnalare, dunque, uno iato tra chi popolo è e chi, invece, non vi appartiene (i migranti, certo, ma anche la classe politica tradizionale e la grande stampa). Il popolo si è politicizzato: il Volk immaginato da Merkel ha mostrato tutte le sue crepe ed è esploso, socialmente e politicamente (qui si aprirebbero praterie per una forza progressista ma è un‘altra storia).

La destra estrema si è riorganizzata con slogan e programmi chiaramente razzisti e xenofobi: le manifestazioni di Chemnitz dello scorso agosto hanno evidenziato chiaramente come, dopo molti anni di silenzio, essa sia tornata, con una prova di forza perfettamente riuscita, a mostrarsi nelle strade e farsi sentire. AfD, da piccolo partito gestito prevalentemente da accademici, è divenuto una formazione sempre più radicale, con toni fortissimi a difesa dalla “patria” contro gli stranieri.

Da quel momento la democrazia tedesca entra in una fase complicata: il successo di AfD è consistente, il campo progressista (Spd, Verdi e Linke) non riesce a recuperare voti. La Grande coalizione diventa l’unica possibilità per governare: in pratica non esistono vere opzioni alternative, il sistema democratico e parlamentare si blocca. Quando lo scorso anno i liberali della Fdp rifiutano la Coalizione con Cdu e Verdi, questo processo diventa chiaro: persino i liberali si sono radicalizzati e hanno puntato ad una nuova Grande coalizione che scontenti ancor di più l’elettorato per puntare alle prossime elezioni federali (2021) alla Cancelleria.

Il blocco del sistema politico, però, non è un bene: ormai sono in molti tra i conservatori che cominciano a ritenere possibile, quasi inevitabile, la coalizione con i populisti.

Qualche settimana fa, il candidato di Angela Merkel quale capogruppo al Bundestag di Cdu e Csu, Volker Kauder, è stato battuto ed ha dovuto lasciare, dopo tredici anni, l’incarico. È stato sostituito da Ralph Brinkhaus, molto critico sulle questioni europee, meno favorevole al compromesso su quelle sociali, ostile a modifiche più liberali sulla legislazione sull’aborto.

Il voto di domenica chiamerà innanzitutto la Csu a definire il proprio orientamento e a trovare una soluzione alla crisi. Si voterà, poi, il 28 ottobre in Hessen (anche qui AfD è in crescita di quasi dieci punti). E, infine, a dicembre si riunirà il congresso della Cdu per rieleggere il Vorsitzender.

Formalmente quel ruolo è occupato da Angela Merkel. Molti hanno ipotizzato che la Cancelliera possa lasciare l’incarico, preludio a un addio al cancellierato per permettere al suo successore di affrontare la campagna elettorale da capo del governo in carica. Per ora l’ipotesi è stata smentita da Wolfgang Schäuble che, in una intervista, ha detto chiaramente che la Cancelliera deve essere rieletta. Ma ha anche fatto riferimento alle possibilità di un governo di minoranza, qualora la Spd dovesse scegliere di uscire dalla Grande coalizione. L’appoggio di Schäuble mostra una certa compattezza del vertice della Cdu. Merkel spera di riprendere parte dell’elettorato passato con AfD, da qui una serie di iniziative del governo sulla casa, gli affitti e le politiche sociali. Se tutto ciò potrà bastare anche per le elezioni europee del prossimo anno è tutto da vedere. La Cancelliera sa di giocarsi, proprio alla fine del suo mandato, il giudizio su tutto il suo lungo cancellierato.