C’è un fantasma che si aggira per l’Europa urbana: una crisi abitativa ingente, determinata da una crescente incapacità dei salari medi di tenere il passo con il costo del metro quadro. A fronte di pochi, e sempre meno, che guadagnano cifre considerevoli e possono permettersi di acquisire (e accumulare) capitale immobiliare nei centri delle città, sempre più settori di popolazione non dispongono dei mezzi necessari e sono spinti ai margini, tanto geografici quanto socio-culturali.

Gli studiosi di gentrificazione – il processo di cambiamento socio-demografico che accompagna grandi piani di riqualificazione urbana o processi spontanei di rivalorizzazione di aree – mettono in luce una evoluzione fondamentale nelle tendenze più recenti: per esempio, il geografo Manuel Aalbers parla di diversi fattori, tra cui la tendenza alla migrazione delle élite transnazionali del mercato del lavoro ma anche, in maniera fondamentale, la crescente finanziarizzazione dei beni immobili, grazie alla quale il capitale internazionale si «fissa» in luoghi dove è assicurata un’alta capacità di rendimento, alimentando così processi speculativi.

Il risultato di questo processo è duplice: la sostituzione di residenti di lungo termine con popolazioni che si fermano per un breve periodo (non semplicemente di «residenti poveri» con «residenti ricchi») e la trasformazione del suolo urbano da risorsa abitativa a bene speculativo che alimenta attività di estrazione di rendita.

Una dimensione fondamentale di questa evoluzione è stata il successo e l’altissima penetrazione della cosiddetta ospitalità collaborativa, attraverso la quale le piattaforme digitali per affitti turistici di breve termine hanno facilitato enormemente la mobilità e circolazione del capitale immobiliare, mettendo sul mercato quantità ingenti di abitazioni in un mercato di alto rendimento e basso rischio come quello turistico. Di conseguenza, si è prodotto un altrettanto enorme deficit abitativo per i cittadini stabili, e una evidente inflazione tanto dei prezzi degli affitti di lungo periodo quanto delle tendenze speculative nel mercato dell’acquisto.

La logica originaria dell’«arrivare a fine mese» con il reddito in più derivato dall'affitto sporadico della casa della nonna è stata superata da un processo di concentrazione della proprietà e professionalizzazione della pratica dell’affitto turistico

Nel medio termine, la logica originaria dell’«arrivare a fine mese» con il reddito addizionale derivato da affitti sporadici della casa della nonna o dell’abitazione in più è stata superata da un processo di concentrazione della proprietà e professionalizzazione della pratica dell’affitto turistico, tramite acquisizioni da parte delle imprese di promozione immobiliare e la crescita di nuovi sistemi di gestione del parco-affittanze, rafforzando così le dinamiche di espulsione dei residenti.

Barcellona è la città dove i fenomeni legati alla «turistificazione» della casa sono stati notati prima che in qualsiasi altra grande città europea e studiati a fondo; ma anche quella in cui il problema si è trasferito rapidamente al dibattito pubblico e all’agenda politica. Di fatto, nel contesto di un periodo particolarmente duro per le classi medie e lavoratrici della città, a seguito delle riforme anti-crisi dei primi anni del decennio 2010, un programma critico rispetto alla crescita del turismo e ai suoi impatti sociali ha contribuito alla vittoria di Ada Colau e della sua coalizione, Barcelona en Comú, alle elezioni municipali del 2015 e alla sua permanenza al potere fino a oggi.

La capitale catalana ha una storia nota di grandi trasformazioni urbane, iniziata con le riforme democratiche degli anni Settanta e il megaprogetto olimpico del 1992. La gentrificazione non è un fenomeno nuovo, dunque, e la storia di molti quartieri abbelliti e dotati di nuove funzioni e centralità è anche un storia di lotte per la casa e servizi pubblici da parte di una classe lavoratrice sempre molto attiva nel dibattito politico sulla città.

Il paesaggio post-crisi attorno al 2010 viene marcato dalle iniziative di austerity e liberalizzazione economica promosse dall’Unione europea, che precarizzano sensibilmente tanto l’ambito del lavoro quanto quello della casa; in questa situazione, l’innovazione dirompente degli affitti turistici mediati dalle nuove piattaforme digitali entra come un coltello. Chi può «salva i mobili», come si dice in Spagna, trasformando case ereditate o abitazioni vuote in una attività economica al margine delle normative esistenti; chi non può, ne fa le spese.

Si è calcolato che nel periodo 2010-2014, il 15% della popolazione del Barri Gòtic, il vecchio cuore turistico della città, se ne è andato, toccando punte del 40% in alcune zone, mentre in altri quartieri si assiste piuttosto a una sostituzione progressiva di proprietari e affittuari con migranti di nuova generazione, in parte non stabilizzati come residenti, che usano la tattica degli affitti turistici per potersi mantenere in una città che per questa fetta di popolazione mobile, colta e senza grandi vincoli familiari continua a offrire ottime opportunità nei settori che hanno resistito alla crisi e si sono reinventati, tra cui proprio il turismo, la ristorazione e il commercio.

Circa 30 mila famiglie e il 40% dei giovani sotto i 25 anni non guadagnano abbastanza da potersi permettere l’accesso a condizioni abitative decenti e sono progressivamente espulsi a distanze crescenti dal centro

La crisi della casa, endemica in una città che storicamente soffre un deficit di alloggi pubblici o sussidiati e che ha pochissime possibilità di espansione in una maglia urbana già molto densa, tocca i suoi massimi vertici attorno al 2015. In quell’anno si comincia a parlare di overtourism e dei suoi effetti nella vita quotidiana dei residenti, e si calcola che 30 mila famiglie, e il 40% dei giovani sotto i 25 anni, non guadagnano abbastanza da potersi permettere l’accesso a condizioni abitative decenti e sono progressivamente espulsi a distanze crescenti dai centri di occupazione.

L’amministrazione Colau comincia fin da subito a intervenire in questa situazione, prima di tutto  promuovendo un piano urbano (Peuat) che regola la concessione di nuove licenze per hotel e appartamenti turistici. Il Peuat entra in vigore nel 2016, non senza la fortissima opposizione delle lobby della promozione immobiliare e di altri settori a cui la trasformazione turistica dei quartieri ha dato le ali. Le stesse piattaforme si sono sottratte a lungo a riconoscere il loro ruolo formale di distributrici di un servizio – le case in affitto turistico – verso il quale si dovrebbe vegliare per il rispetto delle normative vigenti, in questo caso la disposizione di una licenza la cui concessione soggiace ai regolamenti urbanistiche e quindi viene fortemente limitata dal piano suddetto.

Ne sono seguite infinite battaglie legali, che finalmente si sono risolte a favore della città quando un tribunale europeo ha riconosciuto che Airbnb ha l’obbligo di togliere ai suoi listing le abitazioni che non dispongono di licenza; una sentenza comunque oggetto di ricorsi che viene parzialmente vanificata dai tribunali spagnoli, che invalidano parte del Peuat, attualmente in fase di ridefinizione.

Sul versante dell’illegalità, il Comune di Barcellona agisce in maniera contundente, con controlli incrociati con l’amministrazione fiscale e le comunità di proprietari, il che porta a una quantità ingente di denunce e multe, e finalmente al ritiro quasi completo dello stock «non regolato».

Sebbene ciò porti a una flessione della crescita dei prezzi e a una lieve crescita dello stock disponibile nel mercato, la crisi non si risolve, e altre dimensioni non direttamente legate alla pressione turistica entrano in gioco. Se da un lato si cerca di intervenire sull’offerta di case accessibili, per esempio obbligando i grandi promotori immobiliari a immettere in questo mercato il 30% delle nuove operazioni edilizie, e a livello catalano e nazionale si riesce a imporre un prezzo massimo di affitto per zone e topologie al fine di mitigare le pressioni speculative, rimane un nodo fondamentale, che è la perdita di potere d'acquisto di un settore ampio della popolazione, cosa che ovviamente la seguente crisi, quella dovuta al Covid-19, ha acutizzato.

Il caso di Barcellona non è unico in Europa, ma è emblematico di tendenze che si osservano da più parti, anche nelle città italiane: il turismo, e in particolare l’uso turistico della casa, sono diventati un problema sociale di difficile soluzione, legato com’è a molte altre tendenze proprie dell’economia neoliberale su cui i governi municipali e statali hanno pochissima capacità d’incidenza. Fortunatamente, Barcellona ha saputo alzare la voce e stringere alleanze con altre città (Parigi, Berlino, New York, Seul ecc.) perché la questione del diritto alla casa, e la dimensione problematica della crescita turistica in questo contesto, vengano riconosciute come uno dei nodi fondamentali per la resilienza urbana e la coesione sociale: tra queste, il Council on Urban Initiatives di UN Habitat o la rete mondiale delle città contro il cambio climatico (C40), di cui la crescita turistica è un driver fondamentale con importanti impatti locali.