Dopo un’ora di conversazione con Alessandro ed Elisa nella loro libreria ho realizzato che tutte le domande che venivo facendo ruotavano attorno a quello che un economista chiamerebbe «modello di business». Tanto è vero che, a un certo punto, Alessandro si alza, prende un libretto e me lo regala: «è scritto tutto qua, leggilo». Così faccio, pochi giorni dopo, prima di rivedere gli appunti di oltre due ore di divagazioni su ciò che ruota attorno a una libreria di 28 metri quadrati a Rifredi, periferia Nord di Firenze.

In L’ignoto ignoto, Mark Forsyth riprende un’intuizione di Donald Rumsfeld circa l’importanza di tutte quelle cose che «non sappiamo di non sapere» e le applica al mondo della lettura e dei libri. Ogni lettore minimamente esperto sa di essere in buona misura condizionato dalle letture già fatte e che, più o meno esplicitamente, lo indirizzano verso i suoi prossimi acquisti. All’estremo opposto esistono tutta una serie di letture che facciamo per caso. Perché troviamo un libro che qualcuno ha dimenticato in treno proprio dove siamo seduti, o perché ci imbattiamo in esso e per qualche ragione (la copertina, alcune righe lette ecc.) scopriamo di averne bisogno. La tesi di Forsyth è che una buona libreria sia necessariamente piccola, perché le dimensioni ridotte dovrebbero costituire un incentivo per il libraio a selezionare i libri di cui l’avventore non sapeva di aver bisogno. Per i bisogni «noti» Internet gode di un indiscutibile vantaggio competitivo.

La tesi di Forsyth è condivisibile, ma incompleta. Se fosse una sola questione di «vincoli», le piccole librerie fiorirebbero e le catene dovrebbero estinguersi. Ovviamente non è così. Dopo un anno di misure restrittive – mi dicono – ci sono delle catene che hanno tagliato i costi e ridotto gli orari, mentre altre hanno esteso gli orari e innovato i servizi. Le prime hanno avuto un calo netto di fatturato, le seconde quasi non hanno avvertito la crisi. Per le piccole librerie il discorso è diverso. Il grande vantaggio sta nella struttura. Sono librerie «di proprietà» – come le chiama Alessandro, rifuggendo l’etichetta di «indipendenti» – nel senso che spesso chi ci lavora sono i soli proprietari, senza costi del personale da gestire, specie in momenti di bruschi shock economici; poi sono piccole, il che – per Forsyth – dovrebbe costituire uno stimolo alla selettività. Ma non è così automatico.

A fare una libreria sono i librai. Sono loro che scelgono i libri e il modo in cui questo processo avviene è cruciale ai fini della realizzazione del proprio modello di business, quale esso siaA fare una libreria sono i librai. Sono loro che scelgono i libri e il modo in cui questo processo avviene è cruciale ai fini della realizzazione del proprio modello di business, quale esso sia. Perché, ci tengono a specificare i miei interlocutori, non esiste una ricetta. L’importante è che il progetto sia riconoscibile. Quello di Florida si basa sulla costruzione di un rapporto intenso con i clienti, ma non è una questione di cortesia, che possiamo dare per scontata. Negli anni, Alessandro ed Elisa si sono convinti che i lettori sono tutti diversi e, in un certo senso, «hanno tutti ragione». In questa prospettiva, il libraio è un consulente che in primo luogo deve essere un lettore professionista, che legge non tanto per vocazione (può costituire semmai un presupposto), ma come attività di monitoraggio del mercato; poi deve conoscere i propri clienti per sapere quali libri potrebbero piacere a ciascuno di essi. Entrambi questi elementi necessitano esperienza e radicamento.

In questo senso Florida ha il vantaggio di una tradizione lunga e ininterrotta alle spalle. Tutto nasce nel 1953, quando il nonno di Elisa trasformò il cortile di casa in un negozio che sua moglie avrebbe gestito. Si trattava di un emporio che vendeva anche libri, oltre ad articoli di vario genere. L’attività passò successivamente alla mamma, mentre Elisa l’ha rilevata a partire dagli anni Novanta. Una tradizione al femminile, da nonna a nipote, in un quartiere che nel frattempo si è trasformato profondamente. Negli anni Cinquanta c’era ancora campagna, che però veniva velocemente erosa dagli stabilimenti di aziende come Manetti & Roberts, Galileo, Superpila. Per un bel pezzo sarebbe stato un quartiere operaio, come operai erano i genitori di Alessandro, trasferitisi a Firenze dalla Sicilia proprio nel Dopoguerra. Oggi quest’identità si è persa.

La prima impressione che ho avuto, conversando con loro del quartiere, è quella di un luogo di passaggio. In particolare la zona di Piazza Dalmazia, proprio a due passi dalla libreria. Effettivamente, più che una piazza è un grosso slargo costeggiato dalla ferrovia e attraversato da due arterie in cui le auto fluiscono verso l’ospedale di Careggi o verso il centro. Da pochi anni si è aggiunta la nuova linea di tram, che ha contribuito – mi dicono – a portare via persone e clienti che non possono più parcheggiare, come quelli delle colline vicine. Buoni clienti. Mi è sembrato emergesse l’immagine di un luogo – per usare le parole con cui lo ha descritto Federico Fiumani – popolato da «uomini che non sanno più sognare». Ma non è così, in realtà. L’imprinting del commerciante ha portato Alessandro ed Elisa a lamentarsi istintivamente, non appena ho spostato l’attenzione sul quartiere. Lo ammettono candidamente e subito emerge un quadro più articolato.

Rifredi è una parte vitale della città e lo è sempre stata. Negli anni Settanta, il suo teatro – proprio dietro la libreria – ha visto nascere i Giancattivi (trio comico composto da Alessandro Benvenuti, Athina Cenci e Francesco Nuti); dagli anni Ottanta è gestito dalla compagnia Pupi e Fresedde, che lo ha reso un punto di riferimento cittadino e nazionale. Ho scoperto che La Bastarda di Istanbul, spettacolo che mi è capitato di vedere su quel palcoscenico, è stato rappresentato proprio grazie alla segnalazione del romanzo di Elif Shafak, da parte dei librai dirimpetto.

Anche dal punto di vista «politico» si tratta di un luogo non banale. In Piazza Dalmazia, nel 2011, Samb Modou e Diop Mor, due ragazzi senegalesi, sono stati uccisi da un militante di estrema destra e proprio da lì prese vita una delle più intense e trasversali mobilitazioni anti-razziste della città e del Paese. Da Rifredi è partito Lorenzo Orsetti, foreign fighter italiano morto in Siria nel 2019, che le autorità cittadine hanno recentemente commemorato con un albero piantato in Piazza Giorgini.Per Alessandro ed Elisa la dimensione politica è molto importante, ma anche molto legata a quella commerciale. Entrambe hanno a che fare con il concetto di "scelta" e non sono necessariamente incompatibiliPer Alessandro ed Elisa la dimensione politica è molto importante, ma anche molto legata a quella commerciale. Entrambe hanno a che fare con il concetto di «scelta» e non sono necessariamente incompatibili. Florida adotta una politica molto rigorosa sui libri che propone e non solo perché è piccola. Aver coltivato uno zoccolo duro di clienti-lettori affezionati fa sì che una libreria possa fare a meno di proporre libri, anche remunerativi, ma che stridono con l’identità di questa piccola comunità. Quindi non sarebbero quindi nemmeno compatibili, nel medio periodo, con la strategia commerciale dell’attività economica. A un maggior livello di astrazione, il carattere indistinguibilmente economico e politico della «scelta» torna quando parliamo dei cambiamenti del mercato librario. Nel tempo, i cambiamenti sono stati enormi e tutti sfavorevoli alle piccole librerie, almeno sulla carta: la vendita dei libri nelle edicole, poi nei supermercati, fino all’avvento di Amazon. A queste sfide le piccole librerie hanno resistito; non tutte ovviamente, ma molte sì.

Non c’è alcun tono apologetico in queste constatazioni. Anzi, i miei interlocutori vedono con preoccupazione una certa tendenza delle case editrici a tagliare i fili diretti con i librai, che finiscono spesso col rifornirsi dai grossisti, rinunciando al rapporto diretto con la distribuzione. Una strategia che, in virtù di una gestione più economica dei fornitori, preclude la possibilità di scegliere, fra tutti i libri in commercio, quelli coerenti col proprio progetto o, più probabilmente, preclude la possibilità stessa di costruire un progetto. Non si tratta di una critica snob o basata su un’adolescenziale idea di «indipendenza», ma un’analisi disincantata delle fondamenta su cui una piccola libreria riesce a stare sul mercato. È un mercato di nicchia, quello dei bisogni culturali «ignoti» definito da Forsyth, e per giunta eroso dall’accresciuta possibilità di soddisfare immediatamente i bisogni noti che abbiamo grazie all’e-commerce. Ma per crearla (e poi mantenerla) questa nicchia non basta che la libreria sia piccola, occorre che il libraio sia consapevole del suo ruolo di consulente per persone con bisogni inconsapevoli.