Il progresso compiuto dalla comunità internazionale per bandire la guerra di aggressione dalla pratica degli Stati, almeno di quelli al vertice dell’ordine geopolitico mondiale, sembra essere stato di colpo cancellato dall’invasione russa dell’Ucraina, che ci riporta a decenni bui del Novecento. L’aggressione subita da uno Stato sovrano, costringe la mente a ritornare ai carri armati sovietici in Ungheria e a Praga. Ma se l’ordine mondiale bipolare del secondo dopoguerra del secolo scorso era stato concordato dalle potenze vincitrici del conflitto che ricorrevano all’uso della forza per espandere la loro sfera di controllo, oggi l’ordine mondiale è multipolare e teatro di guerre commerciali più che convenzionali. Intendiamoci, le guerre ci sono in molte parti del mondo e gli interventi militari non sono un’eccezione. Tuttavia, per quanto gravi e letali per le popolazioni colpite, si tratta di situazioni di crisi circoscritte con un impatto limitato alle aree geografiche limitrofe. Inoltre, normalmente l’intervento militare di forze straniere avviene in presenza di guerre civili la cui recrudescenza è tale da costituire una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.

L’Ucraina è uno Stato che ha un governo democraticamente eletto. Prima dell’invasione due regioni, quelle delle autoproclamate Repubblica popolare di Donetsk e la Repubblica popolare di Luhans’k erano teatro di un preoccupante conflitto interno, ma non al punto da costituire una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale tale da giustificare un intervento militare straniero. Per quanto il presidente russo abbia cercato di giustificare l’invasione dell’Ucraina quale operazione di peacekeeping in supporto delle da poco riconosciute Repubbliche, è evidente a tutti che si tratti di una guerra di aggressione in violazione del diritto internazionale che vieta l’uso della forza, con l’eccezione della legittima difesa (individuale e collettiva). Una grave violazione, se si considera che Il divieto di aggressione, intesa quale ricorso da parte di uno Stato a operazioni militari contro un altro Stato, è un precetto che appartiene alla categoria delle norme imperative di diritto internazionale (jus cogens).

La Russia attuale, in quanto successore dell’Unione Sovietica, è un membro permanente del Consiglio di Sicurezza con diritto di veto, il che rende l’illecito internazionale compiuto ancora più grave perché mette fuori gioco le Nazioni Unite e il sistema di difesa collettivo previsto dalla Carta. Ciò significa che qualora uno Stato singolo o una coalizione intenda intervenire nel conflitto armato in atto, ciò avverrà fuori dall’unico sistema multilaterale universale a ciò preposto.

La Russia sta mettendo in discussione due dei tre pilastri dell’ordine mondiale del secondo dopoguerra - il divieto dell’uso della forza e il sistema multilaterale di composizione pacifica dei conflitti, rappresentato dalle Nazioni Unite. Il terzo pilastro, vale a dire il libero commercio internazionale e la protezione degli investimenti stranieri, non viene messo in discussione. La Russia, senza aderire al modello liberale di Stato basato su rule of law ed economia libera di mercato, ha sviluppato un sistema economico che dipende dal commercio internazionale essendo un Paese esportatore di materie prime e importatore di beni di consumo.

D’altra parte, il pilastro economico dell’ordine mondiale sembra essere l’unico a reggere a tutte le crisi. Per quanto gli ultimi anni siano stati teatro di guerre commerciali, paralisi del sistema di governance del commercio mondiale (Omc), crisi finanziarie e pandemia, nessuno ha messo in discussione le fondamenta del sistema degli scambi. L’unilateralismo e il protezionismo degli anni dell’amministrazione Trump, che hanno portato alla guerra commerciale con la Cina, erano una risposta ad una supposta iniquità del sistema che avvantaggerebbe la Cina, piuttosto che una politica isolazionista degli Stati Uniti. Anche la pandemia, che nei primi mesi sembrava aver messo fine alla globalizzazione dell’economia, non ha scalfito il sistema di libero scambio, ripresosi appena le misure restrittive sono state allentate.

Sull’esclusione di uno Stato e dei suoi cittadini dal sistema globale degli scambi si basano le sanzioni economiche. La sanzione economica quale strumento per reagire a violazioni della legalità internazionale è stata ampiamente utilizzata sin dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso e dopo gli attentati dell’11 settembre è stato lo strumento principe della lotta al terrorismo internazionale.

Dai primi embarghi totali con effetti devastanti sulle popolazioni dei Paesi colpiti, si è passati ad azioni più mirate tanto nell’oggetto della sanzione economica, quanto nei bersagli. Si cerca di restringere lo scambio di beni e servizi essenziali per consentire allo Stato di proseguire nell’illecito, cercando di mantenere gli scambi sui beni primari per la popolazione. Le sanzioni possono essere contro lo Stato e i suoi organi ovvero individuali perché dirette contro privati, persone fisiche e imprese. Particolarmente utilizzate negli ultimi anni sono le sanzioni finanziarie, vale a dire quelle che intendono isolare in tutto o in parte il Paese dalle transazioni finanziarie internazionali.

La Federazione russa è bersaglio di sanzioni economiche fin dal 2014 dopo l’annessione della Crimea per mano militare. Molti Paesi occidentali, Unione europea e Stati Uniti in primis hanno adottato vari pacchetti di sanzioni in questi otto anni di conflitto, ma ciò non ha impedito l’escalation fino alla guerra di aggressione russa. Le sanzioni si sono rivelate poco efficaci a prevenire la degenerazione del conflitto e molti sollevano dubbi sulla loro reale efficacia.

Fronteggiare la violenza della guerra con le armi delle guerre commerciali può non essere la soluzione più efficace per porre fine alle ostilità; tuttavia, trattandosi della sola alternativa all’estensione del conflitto ad altri Stati è al momento l’opzione preferibile

Fronteggiare la violenza della guerra con le armi delle guerre commerciali può non essere la soluzione più efficace per porre fine alle ostilità; tuttavia, trattandosi della sola alternativa all’estensione del conflitto ad altri Stati è al momento l’opzione preferibile.

Ciò che condiziona l’efficacia dello strumento sono fondamentalmente tre questioni: la rilevanza dei settori e dei soggetti colpiti per l’economia del Paese; l’entità degli effetti negativi per gli Stati che adottano la sanzione; il coordinamento internazionale.

Nel sanction design, occorre identificare il target (soggetti pubblici o privati) le forme di commercio, gli investimenti e le forme di circolazione che saranno oggetto di limitazioni. Per far ciò è necessario avere chiaro in mente l’articolazione dei rapporti economici internazionali, i settori più esposti alle esportazioni e la loro organizzazione ma anche il modello di organizzazione politica del Paese. Colpire il settore energetico, ad esempio, potrebbe indebolire il sostegno politico degli oligarchi a Putin e innescare un processo di ricambio ai vertici. Un altro fattore è l’intensità della sanzione. L’efficacia dell’esclusione dal sistema Swift delle banche russe dipende da quante e quali banche saranno colpite e quali transazioni. Sanzionare la Banca centrale russa impedendole l’accesso alle operazioni con le banche occidentali potrebbe avere effetti devastanti per l’economia russa. Si tratta di una misura che gli Stati Uniti hanno già preso nei confronti dell’Iran.

Anche i reciproci effetti negativi per le economie degli Stati che adottano le sanzioni possono far adottare sanzioni inefficaci. E ciò è tanto più vero quando si creano situazioni di dipendenza economica. Gli Stati membri dell’Unione di fronte all’aggravarsi della crisi hanno accettato di estendere le sanzioni al settore energetico, come da tempo chiedevano gli Stati Uniti, anche se per molti di loro, a cominciare dalla Germania, i contraccolpi economici saranno pesanti. Non bisogna sottovalutare l’effetto delle sanzioni sui mercati dei Paesi che le adottano, anche in termini di consenso democratico quando la misura economica abbia un impatto negativo diffuso.

Gli Stati membri dell’Unione di fronte all’aggravarsi della crisi hanno accettato di estendere le sanzioni al settore energetico, come chiedevano gli Stati Uniti, anche se per molti di loro i contraccolpi economici saranno pesanti

Infine, l’efficacia di una sanzione deriva dall’essere parte di un’azione coordinata di un numero sufficiente di Stati che possa portare all’isolamento del Paese sanzionato. La reazione della comunità internazionale sembra compatta e la maggior parte delle economie di mercato ha adottato o sta per adottare sanzioni su modello di quelle europee e statunitensi. L’Unione europea, che è competente in tema di adozione di sanzioni, garantisce il coordinamento dei suoi 27 Stati membri, ma a livello globale con l’Onu fuori dal gioco, non esiste altra organizzazione multilaterale. Nel lungo periodo, quando gli effetti negativi cominceranno a sentirsi anche in Occidente, l’attuale armonia potrebbe finire e la Russia potrebbe approfittare delle divisioni nel fronte occidentale.

Ma anche gli Stati che non condividono l’uso delle sanzioni possono metterne a repentaglio l’efficacia. Il ruolo della Cina sarà determinante per il successo delle sanzioni occidentali. La Cina non ha condannato la Russia ma non è ancora chiaro se la supporterà. Se la Cina deciderà di occupare gli spazi di mercato lasciati liberi o di fornire supporto alla Banca centrale consentendo la vendita delle riserve in valuta straniera nel sistema finanziario cinese, l’obiettivo di escludere la Russia dal sistema economico finanziario globale sarà raggiunto solo a metà.

Anche gli Stati che non condividono l’uso delle sanzioni possono metterne a repentaglio l’efficacia. Il ruolo della Cina sarà determinante per il successo delle sanzioni occidentali

Da ultimo occorre considerare i costi di attuazione e mantenimento di un sistema sanzionatorio efficace che impone non solo un surplus di attività amministrativa per soggetti pubblici e privati coinvolti, ma anche costi di transazione legati alle numerose controversie che nascono, soprattutto quando si hanno scambi intensi come avviene in Europa.

Bisogna sperare che l’indignazione di questi giorni porti l’Occidente ad adottare sanzioni efficaci che dispieghino effetti nel breve periodo, perché alla fine come per le guerre tradizionali anche i costi delle guerre commerciali li pagano i cittadini.