Quando, il 24 febbraio scorso, il labile equilibrio al confine dell’Europa orientale è stato frantumato, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, i leader europei sono apparentemente stati colti di sorpresa. Eppure, come confermano le date degli annunci di supporto all’Ucraina, già all’inizio dell’anno la tensione era alta. Del resto, la stessa amministrazione Biden aveva cominciato a inviare armi sul suolo ucraino nell’agosto 2021, seguita poi dall’invio da parte lituana di giubbotti antiproiettile nel dicembre 2021 e dall’accordo turco-ucraino di febbraio per la produzione del drone Bayraktar TB2 .

A inizio marzo, i tre temi principali trattati dai maggiori quotidiani europei erano la dipendenza dal gas russo, le sanzioni volute dagli Stati Uniti e, infine, il dilemma che divideva l’opinione pubblica e gli esperti in merito all’aiuto concreto da portare allo Stato ucraino. Nonostante la copertura mediatica, il supporto offerto dai singoli governi appariva frammentario e scoordinato. Quanto quell’impressione è confermata dai fatti?

Nonostante la copertura mediatica, il supporto offerto dei singoli governi è apparso frammentario e scoordinato. Quanto quell’impressione è confermata dai fatti?

Una risposta, per quanto parziale e in corso di continuo aggiornamento, ci viene dal lavoro svolto in seno all’Università di Kiel, dove è stato messo a punto l’Ukraine Support Tracker dataset, realizzato presso l’Institut für Weltwirtschaft: una raccolta sistematica delle informazioni disponibili in merito agli aiuti da parte di 40 Paesi (Paesi membri dell’Unione europea, Paesi membri della Nato, oltre a Cina, Taiwan e India). I media infatti pullulano di dichiarazioni di aiuto da parte dei singoli governi, ma qual è la loro portata reale?

Con lo scoppio della guerra, l’Ucraina ha ricevuto tre categorie di aiuti: militare, finanziario e umanitario. Gli aiuti militari includono armi letali e non, prestiti alle forze armate ucraine per comprare armi, assistenza tecnica per riparare carri armati e infine training per i soldati. Gli aiuti finanziari includono prestiti a bassi tassi di interesse, swap lines di valuta, garanzie finanziarie e concessioni. Donazioni a Ong ucraine e supporto tramite l’invio di beni di prima necessità sono invece di tipo umanitario.

A cinque mesi dall’inizio del conflitto, i dati riescono a fare luce sull’atteggiamento dei diversi Paesi, palesando in particolare la reticenza dell’Europa centrale, la solidarietà dei Paesi dell’Est Europa, la strategia turca e la neutralità indiana e cinese. In questo modo è inoltre possibile seguire in diretta l’economia dell’Ucraina (tramite il tracking dei prestiti erogati da parte di fondi multilaterali o di singoli Paesi) e gli sviluppi del conflitto (attraverso l’analisi dei dati del tipo di armi effettivamente inviate a Kiev).

A cinque mesi dall’inizio del conflitto, i dati riescono a fare luce sull’atteggiamento dei diversi Paesi, palesando in particolare un certa reticenza da parte dei Paesi dell’Europa centrale

All’inizio, non disponevamo di risorse ufficiali sulle donazioni dei governi, ma raccoglievamo informazioni da testate quali “Bloomberg” o “Reuters” e cercavamo video di conferenze durante le quali si faceva cenno al conflitto. Se possibile, utilizzavamo fonti giornalistiche del Paese in merito al quale stavamo cercando informazione: il settimanale ”Der Spiegel”, ad esempio, ha pubblicato per primo una pseudo-lista di armamenti non letali inviati dalla Germania, che ammontava a 37 milioni di euro in tende ed elmetti. Quando il nostro lavoro è diventato di dominio pubblico, rappresentanti di governo e semplici cittadini hanno cominciato a inviarci nuove informazioni per implementare il dataset. Per esempio, dal ministero della Difesa lettone ci hanno rivelato il valore totale degli aiuti militari fornito all’Ucraina, mentre un rappresentante delle istituzioni australiano ha richiesto che il suo Paese fosse inserito nella nostra analisi, fornendoci una lista di tutti gli aiuti erogati.

Attualmente, siamo in diretto contatto con i rappresentanti delle istituzioni europee, con cui ci confrontiamo sul tema dell’European Peace Facility Mechanism (necessario al finanziamento per i Paesi membri dell’Unione europea che inviano armi, letali e non, all’Ucraina). Fra le fonti da noi definite “ufficiali”, riconosciamo anche i tweet postati dai rappresentanti delle istituzioni, come quello dell’attuale ministra della Forze Armate francesi, Florence Parly, in base al quale risulta che la Francia ha inviato all’Ucraina armamenti (letali e non) per un totale di 100 milioni di euro.

Il caso italiano ci mette particolarmente in difficoltà: infatti, l’anomala assenza di un dato ufficiale sul valore monetario degli invii non ci permette di inserire il nostro Paese nel quadro internazionale e impedisce il dibattito sul ruolo dell’Italia in questa guerra. In generale, la mancata trasparenza da parte italiana si pone in contrapposizione con quella della maggior parte dei Paesi dell’Alleanza atlantica, i quali spesso rivelano sia il contenuto sia il valore monetario del materiale bellico inviato.

Nel migliore dei casi, il governo donatore fornisce tanto i dati sul valore monetario dell’aiuto quanto informazioni sulla tipologia di aiuti. Quando queste informazioni mancano e si dispone solo di una lista di oggetti inviati, ne calcoliamo il valore basandoci sui prezzi di mercato e sul numero di unità. Si pensi al prezzo del Gepard, un carro armato tedesco cui 30 unità sono state promesse all’Ucraina. L’unica informazione di cui disponiamo è che il Gepard costava circa 5,4 milioni di marchi tedeschi nel 1976. In questi casi, convertiamo il valore della valuta in euro e consideriamo il peso dell’inflazione sul prezzo finale. In questo modo è possibile stimare che oggi il valore di un Gepard si aggira intorno ai 7,5 milioni di euro. Un altro caso interessante è quello dell’avanzato sistema di difesa antiaereo Iris-T promesso dalla Germania. In mancanza del prezzo di mercato, abbiamo cercato il prezzo di un’arma simile che disponesse delle stesse caratteristiche. L’Iris-T è spesso paragonato al Medium Range Sam (Mrsam). Abbiamo potuto calcolare il prezzo di una singola unità, pari a circa 90 milioni di euro, disponendo solo di un contratto per la vendita di un contingente di Mrsam. Un valore, questo, che si può considerare sufficientemente vicino al vero, perché messo a confronto con i prezzi di armi dalle caratteristiche diverse ma dalle funzioni simili, forniti da fonti ufficiali (si veda il sistema antiaereo S-300, il cui prezzo è stato rivelato dal ministro della Difesa slovacco come pari a 68 milioni di euro).

Un’altra sfida è stata quella di trovare una stima affidabile relativa ai prezzi delle armi il cui modello non veniva specificato dalla fonte. Per esempio, sui report ufficiali del governo degli Stati Uniti si menziona l’invio di obici, senza tuttavia citare lo specifico modello. Grazie a una più approfondita ricerca sugli invii statunitensi, sappiamo che la maggior parte degli obici inviati è del tipo M777, il più diffuso tra gli obici dal calibro di 155 mm nei Paesi Nato. Data la popolarità degli M777, se la fonte non cita il modello di obice di calibro 155 mm o il prezzo non è noto, noi utilizziamo il prezzo di questo modello come riferimento. La validità di tutte le nostre approssimazioni sui prezzi è testata sugli invii statunitensi, il cui valore monetario, contenuto, prezzo e numero delle singole unità per invio è pubblico.

Tracciare le singole transazioni ci permette di fornire una visione d’insieme molto preziosa per comprendere le dinamiche del conflitto e prevederne i risvolti futuri. All’inizio di aprile, la Repubblica Ceca è stata il primo Paese ad aver inviato carri armati. Chi ai tempi avesse consultato il nostro dataset, si sarebbe reso conto che la guerra non sarebbe mai potuta finire il 9 maggio, come si vociferava allora da più parti. Inoltre, chi consulta il dataset sa che il numero di armi e il tipo di missili inviati non permettono all’armata ucraina di avanzare o riprendersi le due Repubbliche separatiste, ma solo di rafforzare la propria difesa. Infatti, gli Stati Uniti sono stati da sempre contrari all’invio di Jet e a fine maggio si sono mostrati riluttanti nei riguardi della scelta britannica sull’invio di missili a lungo raggio Brimstone-1 .

Proviamo a pensare ai futuri piani di ristrutturazione della difesa comune a cui ambisce l’Unione europea o alla disposizione strategica di armi Nato sul suolo ucraino: dovrebbe risultare evidente che una raccolta dati come quella che abbiamo cercato di riepilogare in questo articolo ci permette di comparare le azioni dei governi, tanto da poter fornire all’opinione pubblica uno strumento per comprendere un conflitto che, pur molto mediatico, per tanti versi è assai poco trasparente. Informazioni più dettagliate sulla tipologia di aiuti e sulla loro effettiva consistenza, oltre a segnalare lacune e qualità effettiva dell’intervento occidentale, può essere utile per interpretare la risposta dei singoli paesi Nato e per pianificare consapevolmente una strategia comune.