Recentemente si è tornato a parlare di sospensione (temporanea) dei brevetti sui vaccini. L’occasione avrebbe dovuto essere la biennale conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), che avrebbe dovuto tenersi ai primi di dicembre 2021 e rinviata a data da destinarsi «causa Covid». Come anche Alan Beattie, tra i più accorti commentatori di trade, ha osservato, i numeri preoccupanti sulla diffusione della variante Omicron del virus non giustificano il rinvio di un consesso che ben avrebbe potuto tenersi a distanza. Il Covid c’entra, ma in un altro senso. In realtà, non tutti gli Stati membri dell’Omc sono pronti a sospendere l’accordo Trips sulla proprietà intellettuale e a consentire che temporaneamente vengano sospesi i diritti di proprietà intellettuale dei produttori di vaccini per consentirne la loro produzione ovunque nel mondo senza licenza.

Dalla prima proposta di liberalizzazione in ambito Oms di India e Sud Africa del 6 ottobre 2020 molto è cambiato. In Italia, il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi si era espresso a favore della sospensione, quando ancora la Commissione europea era contraria. Alla vigilia della mancata conferenza anche la Commissione europea, fin dall’inizio fermamente contraria, ha aperto alla sospensione, come aveva fatto anche Biden. Da un punto di vista di politica interna europea la Commissione si sta avvicinando al Parlamento europeo favorevole alla revoca temporanea dei brevetti. Lo scorso 23 novembre di fronte al Parlamento europeo, il potente vice presidente e commissario al Commercio Valdis Dombrovskis ha mostrato un’inedita apertura alla sospensione dell’accordo Trips in materia di vaccini contro il Covid.

Sembrerebbe che se non ci fosse stata la quarta ondata, la proposta originariamente formulata da India e Sudafrica avrebbe finalmente avuto l’opportunità di essere discussa nell’idoneo contesto istituzionale, vista anche l’apertura della Commissione che è un player indispensabile per far passare decisioni politiche in ambito Omc. Ma se anche passasse la sospensione dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini contro il Covid-19, siamo davvero sicuri che consentire a qualunque casa farmaceutica del mondo di produrre i vaccini sia la strada giusta per rendere accessibile il vaccino alle popolazioni dei Paesi a basso e medio reddito a condizioni analoghe alle nostre, cittadini dell’Unione europea?

L’accesso a farmaci e vaccini per combattere malattie mortali o altamente debilitanti anche nei Paesi a medio e basso reddito dovrebbe essere configurato come diritto fondamentale della persona da tutelare a livello internazionale

Paradossalmente, la moratoria sui brevetti sui farmaci è solo la punta di un iceberg. L’accesso a farmaci e vaccini per combattere malattie mortali o altamente debilitanti anche nei Paesi a medio e basso reddito dovrebbe essere configurato come diritto fondamentale della persona da tutelare a livello internazionale. Ma il problema non è definitorio, o almeno non solo. Il problema per questo diritto come per altri, si pensi all’accesso all’acqua potabile e al cibo, è come renderlo effettivo. Come fare in modo che la Comunità internazionale possa prendersi carico dei cittadini di quegli Stati che non sono in grado di garantirli. Nell’Unione europea, ciò è avvenuto almeno per i vaccini contro il Covid-19, grazie ai poteri che gli Stati hanno dato alla Commissione (poteri che non sono scritti nei trattati e quindi solo gli Stati membri all’unanimità hanno potuto dare all’Unione). Basti pensare che in nessuno Stato membro dell’Unione, nemmeno in quelli a più basso reddito come Romania e Bulgaria, si è registrato un problema di accesso ai vaccini per le fasce più povere della popolazione, per comprendere l’importanza dell’intervento del potere sovranazionale per garantire la realizzazione del diritto fondamentale alla salute.

Ma per estendere il «modello europeo» al resto del mondo, la moratoria dei brevetti sui vaccini, se e quando verrà approvata, è solo uno delle possibili forme di cooperazione internazionale, e forse la meno rilevante. La circolazione internazionale a prezzi sostenibili dei vaccini contro il Covid-19 è un obiettivo che realisticamente non può realizzarsi con il modello «facciamoli produrre a casa loro». Infatti, allo stato attuale delle scoperte scientifiche e del commercio internazionale, concedere con licenze gratuite gli innumerevoli brevetti che coprono i più efficaci e innovativi vaccini, non consentirà di avviare una loro produzione nei Paesi a medio e basso reddito che hanno una bassa copertura vaccinale.

Dal lato prodotto farmaceutico a cui deve essere garantito un accesso indiscriminato a livello globale, bisogna considerare che i vaccini contro il Covid-19 sono ormai molti e molto diversi da loro. Ci sono almeno 60 vaccini che vengono utilizzati in tutto il mondo. Come è noto il loro utilizzo nei singoli Stati è condizionato dall’approvazione delle Agenzie regolatorie che autorizzano la distribuzione dei farmaci. Nell’Unione europea l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e la Commissione hanno finora concesso l'autorizzazione all'immissione in commercio a quattro vaccini elaborati da AstraZeneca, Janssen Pharmaceutica NV, BioNtech-Pfizer, Moderna. Dei quattro vaccini che sono prodotti in proprio o su licenza delle case farmaceutiche menzionate per due, Astrazeneca e Moderna, le licenze sono già disponibili gratuitamente a chi è in grado di produrre i vaccini. Se poi allarghiamo lo sguardo al resto del mondo scopriamo che accanto alle occidentali «Big Farma» che sono multinazionali, operano colossi farmaceutici di Stato che sono molto più opachi delle multinazionali occidentali e del sistema dei brevetti. I vaccini cinesi e russo circolano liberamente in tutto il mondo e attraverso segreti accordi a livello governativo Cina e Russia decidono in quali Paesi autorizzarne la produzione, guardandosi bene dallo svelare i segreti industriali dietro alla loro composizione e al processo di produzione.

Se poi passiamo al processo di produzione, la questione si complica ulteriormente. Anche quando si hanno tutte le informazioni per produrre il vaccino, e quindi il produttore non deve investire nella ricerca per il suo sviluppo, il processo produttivo è complesso e richiede impianti di ultima generazione e personale specializzato nonché un know how, anch’esso protetto come segreto industriale e distinto dai brevetti sui vaccini, in assenza del quale è molto difficile produrre. E infatti, si capisce perché inizialmente la proposta sia venuta da India e Sud Africa, gli unici Stati a medio-basso reddito pro-capite che sono delle potenze dal lato dell’industria farmaceutica manifatturiera e sul cui suolo vengono prodotti farmaci generici a basso costo che poi invadono tutti i mercati del mondo, incluso il mercato unico europeo. L’India in particolare è il più importante produttore mondiale di vaccini in generale. In India e Sud Africa ci sono grandi industrie farmaceutiche alcune autonome e finanziate da capitali locali, altre che appartengono ai grandi gruppi farmaceutici americani ed europei i quali delocalizzano la produzione dei farmaci generici, quando scade il diritto allo sfruttamento esclusivo dei principi attivi dei loro farmaci di marca.

Per estendere il “modello europeo” al resto del mondo, la moratoria dei brevetti sui vaccini, se e quando verrà approvata, è solo uno delle possibili forme di cooperazione internazionale, e forse la meno rilevante

Infine, a complicare un quadro che di semplice non ha nulla, ci si mettono le barriere alle esportazioni che stanno giocando un ruolo importante nell’ostacolare la produzione e la distribuzione internazionale dei vaccini contro il Covid-19. Infatti, la complessità del processo produttivo riguarda non solo l’aspetto propriamente industriale ma altresì la frammentazione dello stesso in Stati diversi attraverso le supply chain globali. Come noto uno degli effetti della globalizzazione è il superamento del processo di produzione unico e localizzato a favore di una sua parcellizzazione e delocalizzazione nei luoghi dove la singola fase di lavorazione del prodotto è più conveniente. Ciò è potuto avvenire grazie alle aperture dei mercati e all’evoluzione tecnologica nel settore del trasporto internazionale che ha portato ad un abbattimento dei costi (almeno nella fase pre-pandemica) rendendo più conveniente delocalizzare fasi di lavorazione in altri Paesi, piuttosto che concentrare la produzione nel mercato dove si distribuisce il prodotto. In tema di vaccini nessuno Stato è in grado di produrli in completa autonomia. Solo Cina e Stati Uniti godono di una maggiore autonomia controllando il mercato dei principi attivi. L’apertura di Biden alla moratoria dei brevetti stride l’attuale politica protezionista sui «beni essenziali Covid» che ha di fatto bloccato le esportazioni di vaccini e dei loro componenti essenziali il cui mercato globale è dominato dagli stessi americani. Tanto è che durante l’ondata che ha travolto l’India la scorsa primavera il blocco delle esportazioni dei principi attivi ha messo in serie difficoltà i produttori di vaccini indiani che non erano più in grado di soddisfare la crescente domanda interna.

È in questo quadro che deve essere letta la posizione dell’Unione europea. Il rifiuto della Commissione a sospendere, anche solo temporaneamente, lo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini era sicuramente motivato dalla protezione degli interessi delle big farma europee, in particolare di Biontech che è titolare dei brevetti del vaccino co-prodotto con Pfizer. Si tratta peraltro dell’unico vaccino attualmente autorizzato nell’Unione e negli Stati Uniti insieme all’americano Moderna, che si basa sul RNA messaggero una tecnologia innovativa che si pensa possa portare allo sviluppo di nuovi farmaci e su cui hanno puntato gli occhi tutti i colossi farmaceutici del mondo. Ma questa è solo una faccia della medaglia. Il «protezionismo» vaccinale europeo deve essere letto alla luce della risposta complessiva dell’Unione alla crisi pandemica. La pandemia ha dimostrato i limiti della globalizzazione nell’affrontare un’emergenza sanitaria globale. Tutti gli Stati che hanno potuto farlo hanno investito per rinazionalizzare la produzione dei «beni essenziali Covid» e accorciare le supply chain coinvolgendo Stati geograficamente vicini. L’Unione europea sta perseguendo un obiettivo di autonomia strategica per arrivare ad essere autosufficiente in caso di emergenza, riportando le supply chain a livello interno europeo dove possibile. Gli effetti positivi di ciò si vedono in termini di investimenti. Biontech con il finanziamento dell’Unione e della Germania ha aperto siti produttivi di vaccini in Europa.

Il rischio di un trasferimento di tecnologie alle big farma dei Paesi terzi è che quando sperabilmente l’emergenza sarà finita e sarà inevitabile chiudere o riconvertire molti siti produttivi, avranno la meglio i siti localizzati nei Paesi a basso e medio reddito dove le multinazionali, anche quelle americane ed europee, possono produrre a costi decisamente inferiori rispetto all’Europa. Con tutte le conseguenze che ben conosciamo in termini di posti di lavoro in Europa.

La strategia europea fin dall’inizio è stata di arrivare ad un surplus produttivo che consenta di rispondere anche ai bisogni dei Paesi terzi. Una sorta di «fabbrica dei vaccini» del mondo. E a oggi l’Unione è il maggiore esportatore di vaccini contro il Covid al mondo. A ciò si aggiunga che oggi il problema non è solo fare arrivare i vaccini nei Paesi a medio e basso reddito, ma garantire che tutta la popolazione possa e voglia beneficiarne. Nell’Unione europea si è riusciti a garantire una distribuzione equa dei vaccini e non ci sono stati Paesi membri che abbiano subito ritardi nelle forniture. Tuttavia, la copertura vaccinale varia da Paese a Paese e ciò è dovuto alla percentuale di persone che per ragioni diverse non si fanno vaccinare. In termini di copertura vaccinale, Cuba, che è un paese a basso reddito, è il terzo al mondo dopo Emirati Arabi Uniti e Singapore, con una copertura del 90% della popolazione ben superiore all’Italia, che è lo Stato membro più virtuoso dell’Unione, con una copertura del 78,8% della popolazione; la Germania ha una copertura vaccinale inferiore a quella del Vietnam.

Il problema oggi non è più soltanto far arrivare i vaccini ai Paesi più poveri, ma fare in modo che Paesi come Siria (4,9% di copertura) e Afghanistan (11,1% di copertura) siano in grado di garantire un accesso sicuro e indiscriminato al vaccino a tutta la loro popolazione. Un compito ben più arduo che raggiungere un accordo politico in sede di Organizzazione mondiale del commercio.