La riforma della scuola inizia il suo percorso parlamentare. Il Consiglio dei Ministri ha finalmente approvato un disegno di legge di “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione”, che contiene anche una delega “per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”. La “Buona scuola” diventa dunque realtà? 

Non è così semplice. Questo disegno di legge ha ben poco a che fare con il documento presentato a settembre, che si reggeva su due pilastri: da un lato, la stabilizzazione dei precari della scuola; dall’altro, un cambiamento radicale della professione docente, con la soppressione degli scatti di anzianità e l’introduzione di un sistema di avanzamento stipendiale solo per merito.

Il disegno di legge che abbiamo oggi tra le mani è tutt’altra cosa. Il suo nucleo resta l’assunzione dei precari, ridotta però da 150.000 a 100.000. Una serie di materie secondarie, per quanto importanti, restano presenti: scuola-lavoro, edilizia scolastica, nuovi programmi, nuove forme di finanziamento e sgravi fiscali. Tuttavia, il secondo pilastro del progetto iniziale è scomparso: non si toccano gli scatti di anzianità, non viene creata una nuova carriera dei docenti, né un meccanismo di progressione stipendiale per merito. C’è solo un breve articolo che assegna 200 milioni all’intero sistema scolastico per permettere ai Dirigenti scolastici, sentito il Consiglio di istituto, di premiare i docenti più meritevoli. Basta. L’intero impianto della “Buona scuola” sembra stravolto, perché dei due pilastri iniziali resta solo l’assunzione dei precari. Qualcuno ha detto che non è più una riforma della scuola, ma solo una legge per stabilizzare i precari, con alcune misure di contorno per spacciarla da riforma.

Non è affatto così. L’impianto della “Buona scuola” è cambiato radicalmente, ma il progetto che ne è uscito è ben più ambizioso del precedente. I due pilastri ora sono: 1) la stabilizzazione dei precari; 2) la totale riorganizzazione del metodo di assegnazione dei docenti alle scuole, tramite l’organico dell’autonomia.

Inoltre, l’altra grande novità è la presenza delle deleghe. Le materie delegate dal ddl sono numerose: tra le più importanti, un nuovo Testo Unico della scuola, la formazione in ingresso, il reclutamento, la riforma degli organi collegiali, la formazione professionale, gli Istituti Tecnici Superiori, la riforma della scuola dell’infanzia. Più altre ancora.

Il centro della legge, ora, è costituito dal nuovo secondo pilastro, l’organico dell’autonomia, e da queste fin troppo ampie deleghe.

Per assumere i 50.000 docenti in più rispetto a quelli necessari per coprire le cattedre vacanti e disponibili, il ddl introduce l’“organico dell’autonomia”: i docenti che non vanno a coprire cattedre già esistenti vengono inseriti in albi territoriali, in cui essi sono disponibili per le scuole che ne hanno bisogno. In che senso queste possono averne bisogno? Le scuole dovranno elaborare dei piani triennali, in cui richiederanno risorse umane, materiali e finanziarie per realizzare il Piano dell’offerta formativa. In sintesi, le scuole avranno una parte del personale su posti “comuni e di sostegno”, assegnati alla maniera consueta, e un’altra parte assegnata come organico “funzionale”, cioè come unità di personale scelte, sulla base del curriculum, dal Dirigente scolastico negli albi territoriali.

Si intende così abbandonare un modello di assegnazione dei posti rigidamente legato alla scuola e alle graduatorie, per passare a un modello in cui è più facile spostarsi da una scuola all’altra e la scelta avviene per curriculum, da parte del Dirigente scolastico, e sulla base del Pof, da parte dei docenti. Si tratta cioè di un tentativo di rendere più flessibile e coerente il rapporto tra le esigenze delle scuole e le competenze dei docenti.

Questa riorganizzazione non è un problema solo dei docenti e del loro posto di lavoro. Essa infatti potrebbe essere il modo di rispondere a uno dei problemi più gravi della scuola italiana: la sua rigidità. La scuola italiana muore delle sue rigidità: nella didattica, nei sistemi di valutazione degli studenti, nei quadri orario ecc.; ma anche della rigidità nella assegnazione delle cattedre, dell’impossibilità di scegliere chi è competente e può servire davvero a una scuola. Un sistema più flessibile nei rapporti tra docenti e scuole può rendere più coerente e, allo stesso tempo, meno discontinua l’attività didattica.

Questa riforma presenta anche molti rischi, agitati da chi vi si oppone duramente già in questi giorni (i sindacati, i movimenti dei precari, molti docenti di ruolo). Può comportare una precarizzazione di tutto il personale, anche di ruolo, se si è legati a una scuola solo per la durata di un contratto triennale. Rischia di aumentare il potere discrezionale dei presidi senza controlli efficaci sul loro operato, in assenza di un sistema di valutazione efficace delle scuole e dei dirigenti. Può generare un eccesso di competitività tra i docenti, all’interno degli albi territoriali, per ottenere le migliori offerte da parte delle scuole. Infine, se negli albi le scuole migliori scelgono i docenti migliori, rischiamo di riprodurre un sistema che, come quello attuale, lascia alle scuole peggiori i docenti peggiori.

Insomma, numerosi aspetti della riforma andrebbero analizzati e discussi con attenzione. Ci vuole tempo, per costruire un progetto condiviso con il mondo della scuola, condizione senza la quale qualsiasi riforma è destinata a fallire.

Inoltre, in molti punti di dettaglio il ddl è generico o impreciso, o addirittura carente nei riferimenti normativi. Infine, la materia rimandata ai decreti delegati è enorme: se venissero realizzati tutti, si rifarebbe l’intera struttura del sistema di istruzione e formazione italiano. Tuttavia, queste deleghe riguardano materie a volte controverse, e spesso sono troppo vaghe.

Ora, tutti questi problemi vengono compressi, e diventano esplosivi, come si vede dalle reazioni di questi giorni, a causa dei tempi strettissimi di approvazione imposti al ddl. Il fatto che esso comprenda in sé anche la stabilizzazione dei precari obbliga il Parlamento a una corsa contro il tempo per poter fare le assunzioni a settembre.

Sarebbe invece opportuno un confronto aperto su due modelli di scuola: una scuola in cui la rigidità della titolarità sulla singola istituzione pone molti vincoli alla progettazione didattica; o una scuola più libera e coerente nella progettazione didattica, perché la titolarità è territoriale e i docenti possono collocarsi dove le loro competenze vengono valorizzate al meglio. Avremmo bisogno di una discussione di mesi su questo, dopo avere passato sette mesi a discutere sulla carriera dei docenti per scoprire poi che non se ne fa nulla.

Che fare? Potrebbe essere utile diversificare alcuni percorsi.

La stabilizzazione dei precari potrebbe seguire una via preferenziale, d’urgenza, anche tramite un decreto legge. Una versione provvisoria dell’organico funzionale, da applicare con molti limiti e cautele, potrebbe essere inclusa in questa corsia preferenziale.

Una versione più larga e approfondita dell’organico funzionale e degli albi territoriali potrebbe seguire la via di un ddl con tempi più distesi, che sia preceduto da una ampia discussione pubblica.

Le materie oggetto delle deleghe, invece, potrebbero essere scorporate, tranne le più urgenti e meno controverse, come il Testo Unico o la legge sulla scuola dell’infanzia.