L’Appennino ha bisogno di centri commerciali? La domanda, di per sé provocatoria, potrebbe ricevere una risposta differente (la nostra sarebbe “no, non ne ha bisogno”) se si precisasse che stiamo parlando dell’Appennino i cui centri sociali ed economici sono stati distrutti e disgregati dal terremoto?

Credo si possa partire da qui, in un modo non inutile e non fine a se stesso, per porre la questione che nelle scorse settimane ha visto di nuovo al centro del dibattito, soprattutto locale in verità, la struttura detta il deltaplano”, che sta sorgendo ai margini del borgo di Castelluccio di Norcia. Sostenuta dalla Regione Umbria e dal contributo di una multinazionale – la Nestlé, proprietaria della Perugina, l’azienda locale che all’inizio dell’anno ha deciso un significativo ridimensionamento degli occupati nella storica sede di San Sisto – l’iniziativa ha sollevato molte critiche, non solo da parte delle organizzazioni ambientaliste, a cominciare dal Wwf, ma anche tra professionisti, intellettuali e scrittori. In contrapposizione a una minoranza di cittadini che hanno nel piccolo centro umbro le loro attività commerciali.

Da un lato c’è chi si appella all’emergenza post-terremoto (e alle disposizioni che consentono di edificare anche all’interno del Parco grazie alle clausole della “provvisorietà”, le stesse che sembrano non valere per il centro polivalente progettato dallo studio Boeri a cui la magistratura ha posto i sigilli): il centro voluto da Regione e Nestlè porterà visitatori-clienti, e dunque commercio, e dunque economia. Dall’altro c’è chi, al di là delle retoriche ambientaliste, prova a interrogarsi sul tipo di vocazione turistica di un territorio come quello che fa del Parco dei Sibillini uno dei più belli e ammirati d’Europa. Delizie alimentari a parte, non è un caso se Norcia è nota soprattutto per la splendida fioritura che, nelle prime due-tre settimane di giugno, copre la piana e attira visitatori da tutto il mondo.

Il sito dell’Ansa ha reso pubbliche in Rete alcune immagini che hanno evidenziato l’avvio dei lavori: 1.500 metri quadrati da edificare su un’area di cantiere di circa 6.500. Peraltro, sin dalla sua presentazione nel luglio 2017, il progetto proposto dalla Regione è stato accompagnato da critiche che proponevano un ripensamento dell’opera e soluzioni alternative, allora praticabili, avanzate dallo stesso Ente Parco. Proposte, sostengono gli estensori, volutamente ignorate, perché la realizzazione del “deltaplano” era, di fatto, una decisione già presa. Un’opera imposta dai decisori politici umbri perché coerente con una certa visione di sviluppo delle aree interne dell’Appennino.

Ciò che viene contestato è proprio il modello di sviluppo che il “deltaplano” propone (o meglio impone) al territorio del Parco. Il progetto, infatti, segue la logica del “centro commerciale” e propone lo stesso modello di fruizione di strutture simili che riuniscono in un unico luogo le diverse attività commerciali di un territorio, offrendo uno spazio di ricreazione e commercio omologato. Nel caso di Castelluccio, il contesto paesaggistico anziché suggerire un turismo di altro tipo, distante anni luce da quello dominante in molte periferie italiane da Nord a Sud, diventa nelle intenzioni l’attrattore di un turismo di massa che genera profitti per pochi a discapito del patrimonio collettivo. Il paesaggio è il valore aggiunto che ha convinto a investire proprio lì: come è stato sottolineato durante la presentazione del progetto, “tutti i ristoranti avranno l’affaccio sul Pian Grande”. Cosa accadrebbe se la svalutazione del “capitale naturale” determinata dal “deltaplano” diventasse consapevolezza diffusa nell’opinione pubblica, inclusi i potenziali futuri clienti del “centro commerciale”? Il danno per chi ha investito in questa impresa sarebbe enorme.

L’idea che sta alla base del progetto non sembra avere alcuna relazione con l’economia che nei secoli ha plasmato il paesaggio rurale dell’altopiano di Castelluccio; mentre sconvolge il paesaggio e la fruizione sostenibile del territorio, dal punto di vista dei flussi, degli usi e dell’urbanizzazione del piccolo borgo montano. Il progetto è stato reso possibile oggi solo a causa del terremoto che insieme alla vita delle persone, alle loro case e alle attività commerciali ha cancellato anche l’insieme delle regole stabilite dallo Stato per tutelare quel valore collettivo, patrimonio di tutta la nazione, rappresentato dal paesaggio. Senza il terremoto quest’opera non sarebbe mai stata autorizzata all’interno del quadro normativo esistente, oggi cancellato dalle ordinanze post-terremoto. Soluzioni alternative erano possibili: invocare il soccorso alla comunità locale di Castelluccio non è forse pretestuoso? Chi ha perso tutto accetta qualsiasi aiuto gli venga offerto. Inoltre, molti operatori commerciali di Castelluccio sembrano condividere culturalmente il modello di sviluppo proposto dal “deltaplano”, come dimostrano i conflitti con l’Ente Parco precedenti al terremoto sulla fruizione del territorio e la mobilitazione strumentale contro il Parco immediatamente successiva al sisma, attribuendo alla principale istituzione preposta alla tutela ambientale e del paesaggio dell’area responsabilità di altri per i ritardi nella gestione dell’emergenza. Difficile poi comprendere la rapidità con cui è stato possibile avviare questo cantiere a fronte dell’immobilismo totale degli altri interventi per il borgo di Castelluccio, dalla realizzazione delle soluzioni abitative di emergenza al ripristino di tutta la viabilità e la gestione della mobilità nell’area del Pian Grande, in vista anche della ormai prossima fioritura.

Il principale argomento a sostegno del “deltaplano” sta nella sua presunta “temporaneità” e la previsione della sua rimozione con ripristino dei luoghi una volta terminata la ricostruzione. A giudizio di chi si oppone si tratta di un palese falso ideologico: tutti erano e sono consapevoli che una volta realizzata la struttura sarà una presenza permanente che cambierà non solo il paesaggio ma la modalità di fruizione di un territorio fragile per quelle stesse caratteristiche che lo rendono unico al mondo.

Il “deltaplano” resterà nel tempo il simbolo di una scarsissima lungimiranza, realizzato solo grazie all’utilizzo strumentale dell’emergenza determinata dal terremoto. Nel frattempo resta irrisolto il problema della fruizione del territorio dell’altopiano. La sentenza che vieta l’utilizzo dei terreni afferenti all’uso civico per la sosta delle auto rischia di rilanciare la proposta del parcheggio contiguo al centro commerciale, unico limite che l’Ente Parco è riuscito fino ad oggi a fissare con le proprie prescrizioni rispetto al progetto originario. Negli anni precedenti il terremoto la Regione non ha affrontato questo problema, attuando quel Piano per la mobilità sostenibile da tutti discusso e condiviso, perdendo anche ingenti risorse finanziarie rese disponibili dai fondi dell’Unione europea. Il rischio è che quel Piano che prevede alternative ragionevoli al parcheggio di migliaia di auto nel Pian Grande venga cancellato e stravolto proponendo alternative funzionali solo a una più comoda fruizione del nuovo centro commerciale di Castelluccio. La Regione ha oggi la responsabilità di affrontare questo problema con la stessa determinazione con cui ha sostenuto il progetto del “deltaplano”, non delegando in alcun modo al Piano per la mobilità sostenibile già definito e approvato. L’imposizione del parcheggio cancellato dal progetto del “deltaplano” come unica soluzione alla mobilità nell’altopiano di Castelluccio sarebbe infatti un’ulteriore e sconfortante conferma della volontà politica di attuare un modello di sviluppo non sostenibile per un’area di elevato valore paesaggistico e ambientale. La riprova che le motivazioni delle critiche al progetto del “deltaplano” erano e sono, purtroppo, fondate.

 

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