Il tema del presidente della Repubblica e della sua elezione sta appassionando il Paese intero. Anche in passato era accaduto, ma oggi la seduzione mediatica – tramite un crocevia di mezzi e linguaggi ancor più fitto che in altri passaggi di «fine» e inizio settennato -, si impone come un necessario campo di indagine. Se esiste un definito e qualificato «campo storico» di studi sul tema del Quirinale e dei suoi inquilini, un salto di qualità è ormai maturo. Sulla base di nuove ricerche documentarie (in primo luogo presso l’Archivio storico del Quirinale) e grazie a un approccio di storia comparativa e transnazionale, il tema si presta a una rilettura della crisi e dei mutamenti del politico nell’età contemporanea (negli ultimi decenni in particolare).

Le recenti elezioni americane (negli Stati Uniti un anno addietro e proprio di recente in Cile) così come quelle che si profilano in Europa (in Italia prima, in febbraio in Germana e a seguire in Francia), inducono a interrogarci con nuovi quesiti sui diversi modelli repubblicani (parlamentare, presidenziale o semi-presidenziale). Un volume in uscita, mettendo insieme storici di diverse generazioni e competenze, guarda con attenzione sia alle presidenze «garanti» – Italia e Germania – sia a quelle «governanti» – Stati Uniti e Francia, il Cile come caso esemplare nella storia del presidenzialismo latinoamericano (La Repubblica del presidente. Istituzioni, pedagogia civile e cittadini nelle trasformazioni delle democrazie, a cura di Giovanni Orsina e Maurizio Ridolfi, Viella, 2022). Vengono analizzati lo stile e i linguaggi presidenziali: retoriche, simboli, rituali, le rappresentazioni dello Stato, l’uso pubblico delle narrazioni storiche nel rapporto con i media, e soprattutto con i cittadini, nel quadro di quella pedagogia civile promossa dai presidenti della Repubblica, in cui si coniugano storia e memoria pubblica, civismo e cittadinanza. Il tema accomuna i diversi modelli repubblicani e si presenta come peculiare nella storia italiana del Quirinale.

Volendo promuovere una storia dell’istituzione presidenziale che contempli anche una dimensione sociale e culturale, occorre guardare con attenzione al ruolo dei media (la stampa popolare e la televisione, la rete e i social) e come essi abbiano influenzato la comunicazione del capo dello Stato con i cittadini. Occorre accompagnare l’indagine di storia costituzionale e istituzionale con la rilettura della biografia politica e morale del presidente prima e durante il settennato. Il capo dello Stato ha la necessità di confrontarsi con le eredità storiche del passato nazionale e con le trasformazioni sociali e culturali. Lo si vede attraverso sia il processo di integrazione sovranazionale nell’Unione europea (tra Italia, Francia e Germania), sia le diverse esperienze americane: con la forte leadership presidenziale nel caso della «grande Repubblica» statunitense ed invece con l’instabile declinazione democratica del presidenzialismo latino-americano (nel caso del Cile, la cui storia politico-istituzionale più di altre sembra confrontabile con quella italiana ed europea).

Occorre saper leggere sia le prassi costituzionali sia la funzione di garanzia costituzionale svolta dal presidente della Repubblica, nella percezione e nell’evoluzione del rapporto (del "sentimento”) tra il capo dello Stato e i cittadini

Nel processo di integrazione continentale e nel contesto comparativo euro-americano, il «caso italiano» evidenzia pertanto le peculiarità dell’azione civile promossa dai presidenti, intesa a favorire l’espandersi di pratiche di «cittadinanza attiva». Con attenzione alle «parole» che compongono il vocabolario della Repubblica – ancora tutto da ricostruire –, è preliminare un’indagine storica sulle retoriche politiche nell’Italia democratica che contestualizzi la natura e i contenuti dei linguaggi presidenziali. Si prefigura dunque un originale percorso di ricerca, la necessità di chiari e puntuali riferimenti storici nello studio di concetti e linguaggi politici. Non abbiamo spesso la percezione esatta di quanto sia vario lo spettro degli strumenti di pedagogia presidenziale nell’incontro con gli italiani. Dobbiamo poter leggere sia le prassi costituzionali sia la funzione di garanzia costituzionale svolta dal presidente della Repubblica, nella percezione e nell’evoluzione del rapporto (del «sentimento») tra il capo dello Stato e i cittadini. Essi condensavano un persuasivo «potere di messaggio», la cui ricostruzione deve muovere dai primi presidenti (Einaudi e Gronchi, in particolare) e che avrebbe avuto forti accelerazioni già con Pertini e quindi con Scalfaro e Ciampi. Nel corso dei settennati si ebbe la messa in scena di una pedagogia della cittadinanza repubblicana incentrata sulla rappresentanza dell’unità nazionale, affidata al capo dello Stato dall’articolo 87 della Costituzione. Negli anni si è aggiunta la popolarità della funzione presidenziale nella declinazione di un pervasivo costituzionalismo civile.

Se non vanno dissimulate le differenze nello stile e nell’esercizio dei poteri del capo dello Stato, ciò che sembra accomunare le diverse figure presidenziali fu comunque la costante presenza nella vita della Repubblica, sia in forma discrezionale (Einaudi) sia in modo palese (con Gronchi e Segni prima di altre), allo scopo di garantire la funzionalità e l’equilibrio del sistema politico-istituzionale. Il rapporto con i mass media era certo alquanto discreto, ben diverso da quello di successivi inquilini del Quirinale (come Pertini e Cossiga). Si concorre insomma a rileggere l’assunto tradizionale relativo agli anni della «Repubblica dei partiti», rilevando come il mutamento del ruolo dei presidenti appare più d’immagine che di sostanza. Il loro protagonismo politico era già allora rinvenibile, sebbene non con le forme pubbliche evidenziate in seguito dai media e dal mutato equilibrio tra la dimensione pubblico-istituzionale e quella privata e personale, con le trasformazioni del «politico» affermatesi negli ultimi decenni del XX secolo. Fu comunque Pertini ad affermare il processo di spettacolarizzazione della politica: attraverso il «corpo» e l’eloquenza del presidente, nei suoi viaggi lungo la penisola e all’estero; diversi sono i momenti di quel protagonismo televisivo che la memoria pubblica continua a ricordare. Qualcosa di analogo accadde con Scalfaro, anch’egli espressione di una elezione di emergenza. Il rapporto diretto con l’opinione pubblica, promosso prima da Pertini e poi da Scalfaro a discapito del tradizionale riferimento al sistema dei partiti, solleva quesiti di indubbia rilevanza sulla correlazione tra la gravità della crisi e il processo di delegittimazione della Repubblica. Nella lunga ed incompiuta «crisi di transizione» italiana la politicizzazione e la mediatizzazione del ruolo del presidente furono indubbiamente una risposta alla crisi di credibilità dello Stato ma concorsero ad enfatizzare sia il livello di delegittimazione del sistema politico repubblicano (la «Repubblica dei partiti») sia il ruolo assegnato alla questione morale come agente di cambiamento e di fattore pervasivo della retorica politica.

Il rapporto diretto con l’opinione pubblica, promosso prima da Pertini e poi da Scalfaro a discapito del tradizionale riferimento al sistema dei partiti, solleva quesiti di indubbia rilevanza sulla correlazione tra la gravità della crisi e il processo di delegittimazione della Repubblica

La comparazione induce a rimarcare i coevi mutamenti nella comunicazione politica e istituzionale dei presidenti. Facciamo un solo esempio a proposito di Francia e Italia nel fatidico anno 1992: le dimissioni di Cossiga a reti unificate il 25 aprile 1992, nel giorno della Festa nazionale della Liberazione, in contrapposizione al sistema dei partiti, ormai ritenuto incapace di riforme istituzionali all’altezza della sfida dell’Unione europea; la partecipazione di Mitterrand al dibattito televisivo «Aujourd’hui l’Europe», rivelatasi decisiva per la vittoria del «sì» al referendum del 20 settembre 1992 sulla ratifica del Trattato di Maastricht. Anche nella Repubblica federale tedesca, al centro di delicati equilibri costituzionali e pur con limitati poteri decisionali, i presidenti sono riconosciuti come i titolari di un fondamentale lavoro di educazione politica. Essi furono chiamati a fare i «conti col passato», nel contesto di una società tedesca che si aprì progressivamente alla sfida del pluralismo culturale. Emerge però la sostanziale diversità del ruolo assunto dai presidenti di Italia e Germania, soprattutto rispetto al processo di integrazione europea successivo al trattato di Maastricht. Mentre i presidenti italiani hanno concorso a legittimare il «vincolo» europeo come un fattore intrinseco all’auspicata modernizzazione del Paese, i presidenti tedeschi hanno contribuito a ridefinire e rilanciare l’europeismo germanico all’indomani della riunificazione nazionale. In Italia inoltre, Ciampi e Napolitano e quindi Mattarella dovettero misurare il processo di integrazione europea con il mutamento di sensibilità nell’opinione pubblica e con la crisi del sistema dei partiti. In Germania invece, se solo dopo il 2010 sono mutati in modo effettivo gli orientamenti verso l’integrazione europea, i quattro presidenti federali che si susseguirono nello stesso arco di tempo (Rau, Köhler, Wulff e Gauck) hanno assunto un ruolo significativo nel rimotivare l’europeismo tedesco e quindi nel compensare una risorgente idea nazionale nella ricerca di un rinnovato equilibrio tra le istituzioni (Länder, governo federale, Corte costituzionale).

Indagando le forme e i linguaggi della pedagogia presidenziale – da Luigi Einaudi in avanti -, possiamo dunque osservare le esortazioni a mettere in pratica una «buona politica», un esercizio dei doveri da parte dei cittadini che accompagni la tutela dei diritti, la promozione di un'idea e di una prassi di «Repubblica solidale» (con Sergio Mattarella). Far interagire l’esercizio dei poteri con i linguaggi presidenziali aiuta a connettere i settennati successione del Quirinale. È quanto ha voluto fare Mattarella, il quale ha dedicato appositi interventi pubblici allo scopo di evidenziare come i suoi predecessori, nonostante diversi contesti in cui si trovarono ad operare ed i personali «stili presidenziali», interpretarono i loro poteri nel perimetro dell'ordinamento costituzionale, così garantendo un coesivo fattore di sostanziale continuità istituzionale nella storia della Repubblica (G. Delledonne e L. Gori, Le presidenze della Repubblica rilette dal Quirinale. Potere di esternazione ed esigenze di continuità istituzionale, «Quaderni costituzionali», a. XLI, 2, giugno 2021, pp. 321-353).