Il tema dell’immigrazione è al centro del dibattito pubblico dei Paesi industrializzati e ha connotato l’insorgere di partiti di destra nazionalista e populista, caratterizzati da xenofobia, razzismo e insistenza sulla necessità di difendere inventate “identità nazionali”. Negli Stati Uniti, dove gli immigrati sono sempre arrivati, il tema è forse un po' meno drastico che in Europa occidentale, sorpresa dalle più recenti ondate immigratorie Est- ed extra-europee, ma è comunque importantissimo e ha caratterizzato tutta la storia del Paese e ciò che di volta in volta ha significato essere americani.

Anche se la xenofobia in un Paese infinitamente multiculturale è a livello sociale un po' meno al calor bianco che in Europa, l’amministrazione Trump ha tuttavia rinfocolato la retorica razzista contro gli “etnici non-integrabili” che “invadevano” gli Stati Uniti, arrivavano da Paesi “di merda” (shithole countries) e importavano (dal Messico) criminali, stupratori e spacciatori, contro cui si sarebbe costruito un muro al confine meridionale, dato che le norme vigenti sull’asilo erano “ridicole” e “demenziali”. Nel trumpismo come riscossa bianca il radicale pregiudizio anti-immigrati ha quindi una posizione strategica.

Secondo il Pew Research Center, gli Stati Uniti sono il Paese con più migranti al mondo. Nel 2018 44,8 milioni di immigrati sono nati in un altro Paese, pari a circa il 13,7% della popolazione totale (il triplo rispetto al 1970) e al 20% circa di tutti i migranti del pianeta. Un quarto dei migranti è illegale e il numero è aumentato rapidamente, raggiungendo nel 2017 i 10,5 milioni, ossia il 3,2% dell’intera popolazione.

I migranti statunitensi sono originari di moltissimi Paesi, anche se i più numerosi sono messicani e centro-americani, pari a un quarto di tutti i nati all’estero, seguiti a molta distanza da cinesi e indiani. Questo dato si sta tuttavia capovolgendo: la grande crisi economica del 2007-2009 ha visto non solo un rallentamento di arrivi dal Messico, ma anche un flusso diverso. Già oggi gli arrivi annuali di “asiatici” (vaga definizione di popoli molto diversi) sono più numerosi di messicani e centro-americani e il Pew Center prevede che nel 2065 essi ammonteranno a quasi il 40% del totale dei nati all’estero. L’immigrazione “europea” che monopolizzava il tema nei libri di storia è ormai ridotta a un rigagnolo.

Complessivamente due terzi degli americani pensa che gli immigrati rafforzino il Paese, mentre un quarto obietta che rubano i posti di lavoro, occupano troppe case e sfruttano la sanità pubblica. La divergenza segue affiliazioni di partito, con i democratici favorevoli quasi al 90%, mentre i repubblicani sono divisi tra il 44% di contrari e 41% di favorevoli. Il quadro tuttavia si complica quando si chiede quanti nuovi migranti legali dovrebbero essere ammessi: un terzo abbondante vuole restare ai numeri attuali, un altro terzo vuole aumentarli, un quarto vuole ridurli. Ma l’immigrazione clandestina rimane drasticamente criticata da ogni parte.

Biden si trova di fronte a un duplice, complicato compito: restaurare i valori di accoglienza umanitaria e contemporaneamente gestire la nuova esplosione immigratoria iniziata nel tardo 2020

Biden si trova così di fronte a un duplice, complicato compito: da un lato restaurare, come ha promesso in campagna elettorale, i valori di accoglienza umanitaria di cui la democrazia americana si dichiara campionessa e dall'altro, contemporaneamente, gestire la nuova esplosione immigratoria iniziata nel tardo 2020 ma moltiplicatasi in seguito, con attualmente 8.000 nuovi arrivi al giorno dal Messico, spinti dalla povertà, dalla pandemia, dagli autoritarismi.

In particolare, poi, la legge temporanea chiamata Titolo 42, che permetteva respingimenti d’emergenza per tutela sanitaria in tempi di pandemia, è stata usata dal governo Trump come scorciatoia per la sua feroce politica di “tolleranza zero”, per deportazioni di massa e arresto dei migranti illegali a costo di separare le famiglie e affidare figli anche piccoli a enti pubblici di assistenza: un approccio che ha generato una rivolta umanitaria in tutto il Paese. La prossima scadenza della legge, con la conseguente, attesa liberalizzazione della politica migratoria, ha incrementato la pressione legale e illegale dei migranti sui confini, una speranza tuttavia smentita dalla decisione della Corte Suprema conservatrice di mantenerla in vigore fino almeno alla soluzione dei casi giudiziari che ha generato.

Da molto tempo il tema è centrale nello scontro partitico e fin dall’inizio del governo Biden i repubblicani hanno fatto naufragare il suo progetto di riforma complessiva del settore. L’aumento degli arrivi, in particolare di quelli illegali, ha messo in difficoltà l’iniziale approccio anti-trumpiano e aperturista del presidente, con i repubblicani che denunciavano il confine “aperto” e “malgestito” e i progressisti, tra democratici e operatori sociali, che si rivoltavano contro il mantenimento delle misure trumpiane, mentre si acuivano le divisioni dell’opinione pubblica.

Forti pressioni, talora anche dai democratici degli Stati di confine, per un approccio più severo hanno indotto Biden a porre l’immigrazione al centro della propria iniziativa politica. Tra le molte spinte politico-sociali che lo preoccupano, vi è anche l’esigenza di rinsaldare la fedeltà ai democratici del voto immigrato, tra cui emergono alcune pericolose istanze, soprattutto tra i latinos del Texas, a cambiare partito sui temi culturali di “Dio, patria e famiglia”.

Nell’attesa (frustrata dalla Corte) della conclusione del Titolo 42, il presidente ha annunciato il suo nuovo programma immigratorio, con la carota di nuove ammissioni e il bastone di rapide procedure di espulsione e di norme per attenuare la pressione sui confini, che nell’ultimo anno fiscale ha registrato il record di 2,4 milioni di casi. Queste misure rinnovano la radicata politica, mai coronata dal successo, della “prevenzione attraverso la deterrenza”, secondo cui ostacoli normativi, disincentivi e militarizzazione del confine avrebbero scoraggiato gli arrivi di massa e illegali e permesso una gestione “ordinata” del flusso migratorio.

L’apertura riguarda il programma “umanitario” per 30 mila richiedenti asilo nicaraguensi, cubani e haitiani (i “casi difficili” dell’America centrale), originariamente rivolto dall’ottobre 2022 ai soli venezuelani, dato lo scontro tra gli Stati Uniti e il governo di Nicolas Maduro.

Questa liberalizzazione è soggetta tuttavia a regole molto dure: il migrante deve avere un passaporto valido, uno sponsor statunitense, un biglietto aereo, una procedura online da fare con un cellulare. “Se cercate di uscire da Cuba, Nicaragua o Haiti – ha affermato Biden – assolutamente non presentatevi al confine. State dove siete e seguite la domanda legale. [In caso contrario, NdR] da oggi non sarete ammessi a questo nuovo programma fiduciario”. Quanti riescono comunque ad arrivare al confine possono far domanda di asilo solo in un momento stabilito e a un ingresso ufficiale di frontiera. Quanti invece non rispettano queste norme sono soggetti all’“espulsione accelerata” in Messico grazie al Titolo 42 e con divieto di riprovarci per cinque anni. Il che, ipotizzano i funzionari dell’immigrazione, potrebbe riguardare circa 30 mila migranti al mese, compresi quelli da Paesi che aggirano le leggi statunitensi.

Quanti riescono ad arrivare al confine possono far domanda di asilo solo in un momento stabilito e a un ingresso ufficiale di frontiera. Gli altri sono soggetti all’"espulsione accelerata"

Dal marzo 2020 sono stati espulsi 2,5 milioni di migranti, e soprattutto durante l'amministrazione Biden. Contemporaneamente gli Stati Uniti impongono ai richiedenti asilo di far domanda di rifugiato nel primo Paese di ingresso, seguendo una normativa trumpiana che ha causato crudeli violazioni dei diritti umani in nazioni come il Guatemala ed El Salvador. Alle vessazioni si aggiungono poi gli oltre 8.000 morti, dai tardi anni Novanta a oggi, di caldo, fame, sete e stenti nel deserto, annegati nel Rio Grande o soffocati nei rimorchi dei grandi camion transfrontalieri mentre tentavano di passare illegalmente il confine.

Biden ha sottolineato il rilievo del nuovo programma con una recente visita a El Paso, città del Texas investita dall’ondata immigratoria, dove ha portato misure di sostegno alle località frontaliere e proposte per combattere la fiorente “industria” delle immigrazioni illegali. Stava viaggiando per la sua visita di Stato in Messico in cerca di un accordo con il presidente Lopez Obrador e con altri Paesi latino-americani di protezione temporanea di 30 mila migranti al mese di passaggio o respinti dagli Stati Uniti, grazie anche a nuovi aiuti americani a questi Paesi e a questo scopo.

Tuttavia, il nuovo approccio scatena una virulenta diatriba per le sue molte continuità con precedenti misure di Trump, che pure Biden aveva detto di detestare, e il prevalente, impossibile obiettivo di tacitare gli attacchi repubblicani. Secondo il potente senatore democratico Bob Menendez, “la decisione di Biden di espandere il Titolo 42, un relitto disastroso e inumano del programma migratorio razzista dell’amministrazione Trump, è un affronto all’esigenza di restaurare lo stato di diritto al confine”. Il programma favorisce chi ha mezzi e precedenti legami con gli Stati Uniti ed è irrilevante per chi debba fuggire urgentemente per salvarsi. Secondo l’organizzazione internazionale non-governativa Human Rights Watch, il programma è “in contrasto con la normativa internazionale sui rifugiati e con quella dei diritti umani che vieta discriminazioni nell’accesso all’asilo”.

Esso, si difende Biden “non risolverà tutti i problemi del sistema immigratorio che è a pezzi da troppo tempo”. E continua: “Ciò [il rimedio, NdR] potrà avvenire solo se i repubblicani in Congresso la smetteranno di bloccare la riforma complessiva che il presidente ha presentato fin dal primo giorno della sua carica”. Come spesso in passato, si tratta di una patata bollente che caratterizzerà il conflitto politico e civile dei prossimi due anni di presidenza Biden.