Durante il secolo scorso le metropoli occidentali hanno cambiato radicalmente volto, grazie soprattutto alla realizzazione delle grandi infrastrutture di trasporto. Roma è rimasta indietro, tanto che oggi il traffico è il problema dei problemi. Perché? È opinione ampiamente diffusa che tutta la responsabilità del sottosviluppo ricada sull’archeologia: la sua presenza pervasiva, frutto di una millenaria centralità nello svolgersi della storia, blocca le costruzioni di metropolitane, parcheggi, ferrovie, sottopassi e quant’altro.

La conclusione è che non è possibile una convivenza pacifica: o si salvano i ruderi romani o si modernizza la città. La scelta della conservazione sembra finora aver avuto la meglio. Ora però i fautori della modernizzazione di tutta l’Italia, che si riconoscono nel «partito del fare», si stanno organizzando a livello nazionale in maniera davvero poderosa e bipartisan. Negli ultimi giorni sono state varate vere e proprie corazzate, quali «Italia decide», che ha imbarcato Carlo Alberto Ciampi, Giuliano Amato, Giulio Tremonti, Luciano Violante, Gianni Letta, e «Italia Futura», che vede al comando Luca Cordero di Montezemolo, Diego della Valle, Maria Paola Merloni, Corrado Passera. Nel caso di Roma, chi saranno gli avversari da sbaragliare? In prima fila vengono individuati gli ambientalisti, capeggiati da «Italia Nostra». Ma, c’è da chiedersi, questi dichiarati difensori della conservazione hanno davvero così tanto potere da tenere in pugno il destino della capitale? Non è credibile.
A una più approfondita analisi storica e culturale emerge che il conservazionismo che attanaglia la città non è quello delle associazioni, ma è quello, ben più potente, di due categorie professionali che a Roma svolgono un ruolo decisionale: gli archeologi e gli ingegneri. Essi si sono mostrati inadeguati a gestire il peso della storia e a prospettare un futuro che avrà un senso solo se avrà ancora qualcosa da dire a livello planetario.
Gli archeologi hanno certamente l’obbligo di conservare il passato, ma non solo. Essi devono cominciare a riflettere sul fatto che lo spirito della storia della città altro non è stato che una strabiliante anticipazione di ciò che noi oggi consideriamo il concetto più avanzato e definitivo di modernità, cioè la creatività. Perché allora non andare oltre i ruderi, per risvegliare questa precocissima predisposizione generativa, riportando in vita il paesaggio, il tessuto urbanistico, l’habitat urbano, la bellezza diffusa in cui la creatività è emersa e si è prepotentemente diffusa? Anzi, con un nuovo e più ambizioso obiettivo: non dobbiamo più limitarci al progresso umano, ma dobbiamo invece cominciare a metter mano a un progetto di co-evoluzione armonica fra l’uomo e l’ambiente.
Gli ingegneri romani, se possibile, sono rimasti ancora più indietro nel passato. La metro C, che essi stanno cercando di realizzare, nasce vecchia di almeno una generazione. Essa è talmente ingombrante che per realizzare la stazione di Piazza Venezia bisognerà isolare totalmente tutta l’area disponibile e poi svuotarla fino a una profondità di 50 metri, manomettendo e distruggendo testimonianze storiche che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità.
Oggi invece la tecnologia avanzata permette di progettare soluzioni a impatto ambientale pressoché nullo. Si possono realizzare metropolitane ad automazione integrale e ad altissima flessibilità di tracciato che possono fornire l’accessibilità integrale al centro storico. In questo modo, il centro di Roma può diventare la più straordinaria area pedonale del mondo. Così la vera sfida può essere quella di rendere la città una metropoli di avanguardia, partendo dall’idea non di distruggere, ma di riportare in vita la forza innovativa che ne aveva fatto la caput mundi.
Si può partire dalla ricostruzione funzionale del Porto di Ripetta. Poi, grazie alle più moderne tecnologie e a materiali sempre meno invasivi, si può procedere, senza nulla manomettere, al recupero funzionale delle grandi testimonianze urbanistiche e architettoniche che la storia ci ha lasciate. Dalle Terme di Caracalla al Circo Massimo, dal Colosseo alla Basilica di Massenzio possiamo ottenere degli straordinari attrattori dove far vivere insieme le tradizioni più auliche e le manifestazioni della più innovativa socialità.
L’obiettivo finale sarà quello di recuperare l’antica forma urbis, ove rendere possibile una nuova e più avanzata qualità della vita. Non sarebbe questa la più grande «modernizzazione» di Roma? E non potrebbe essere questo l’incubatore nel quale attrarre e sviluppare le genialità più innovative del mondo, come già Augusto era riuscito a fare?