Questo articolo fa parte dello speciale Vacanze italiane
«Rimini è divisa in due grandi dimensioni, non solo esistenziali ma anche filosofiche. L’inverno e l’estate. L’inverno Rimini spariva, arrivava la nebbia e c’era una cancellazione di tutto. Rimini d’estate diventava il Luna Park, diventata la festa, diventava la Terra promessa, diventava Hollywood. Diventava le tedesche, che arrivavano e si mettevano in costume da bagno, automobili che non avevi mai visto tranne che nei film americani» [Federico Fellini]
«La dolce vita? È qui, a Rimini»: è il 1993 e il primo stabilimento balneare di Rimini si appresta a festeggiare i suoi 150 anni. La donna dei sogni di Fellini, Magali Noëlle Guiffray, decreta con queste parole che qui, sulla costa occidentale del Mar Adriatico, la finzione è diventata realtà.
Eldorado riminese, vacanzopoli romagnola, Miami d’Europa, capitale delle vacanze, supermarket del sesso, industria delle ferie, Fiat delle vacanze, città regina del turismo italiano, sogno balneare, spiaggia-palcoscenico, Star Wars del litorale. Gli epiteti della Rimini balneare raccontata da registi e scrittori dagli anni di piombo fino a oggi, esprimono un unico eterno contrappasso per la città del disimpegno: rivivere all’infinito il «caleidoscopico plot» fatto di sogni, pulsioni esplosive e abbondanze rabelesiane smantellando ad ogni equinozio d’autunno la scenografia della vacanza kitsch nazionalpopolare. Rivivere la libido prefabbricata all’ombra marmorea dei grandi edifici del Ventennio, specchiarsi nel mito anche quando il peso della vita quotidiana pungola i nostri inconsci sbeccando l’intonaco delle cabine dei bagni che quasi ci riesce a scalzare via quella vita in technicolor raccontata una volta per tutte dalla presa diretta di Pier Vittorio Tondelli.
Dalle pagine di Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta – il romanzo-reportage uscito nel 1990, da Bompiani, che fece del giovane di Correggio il cantore espressionista dello spaccato antropologico e sociale di questa «Italia un po’ sbracata che culla il sogno di una propria efficienza import-export» – l’esilissima striscia di sabbia chiara e la sua metropoli ora abbandonata ora popolata a dismisura, «costruitasi da sé dalle acque», sembrano nascere prima di tutto come mỳthos.Rimini come luogo della mente e delle possibilità per tutti. Rimini come Hollywood, appunto. Ma l’immaginario del “Privilegiato stabilimento dei bagni di mare” e dei party nei templi della notte, è ancora la stoccata, il colpo nascosto sfoderato dai narratori del nostro secolo? Chi affermerebbe oggi che Fiabilandia riassume il panorama di sfrenata ricerca del divertimento?
Scrittori che per Tondelli componevano il canone inverso della letteratura italiana (quella che non andava a Viareggio e a Forte dei Marmi)
Dopo il caso letterario Rimini (Bompiani, 1985) di Tondelli, la curiosità nei confronti dell’altro emisfero, quello del mare d’inverno dove la spiaggia è il muto testimone delle trasmigrazioni stagionali e le sue dune artificiali un interrogativo esistenziale, si consolida lasciando intravedere un modello d’indagine tra le pagine degli scrittori che per Tondelli componevano il canone inverso della letteratura italiana (quella che non andava a Viareggio e a Forte dei Marmi): Sibilla Aleramo, Alberto Arbasino, Dante Arfelli, Marino Moretti, Cesare Zavattini e Giorgio Scerbanenco che primo fra tutti racconta le storie dell’hinterland milanese intrecciandole a quelle della megalopoli rivierasca, come continuano a fare oggi Marco Missiroli (Il senso dell’elefante, Guanda, 2012, Fedeltà, Einaudi, 2019, Avere tutto, Einaudi, 2022) e Gino Vignali (La chiave di tutto, 2019, Ci vuole orecchio, 2019, La notte rosa , 2019, Come la grandine, 2020, tutti usciti per Solferino). Basta con la Rimini dai variopinti ombrelloni agostani: è il fuori stagione con il suo mare metallico carico di inquietudini il nuovo scenario che farà della riviera il set del noir iniziato dal giornalista e scrittore francese Jean-Claude Izzo e portato avanti da Massimo Carlotto (Il mondo non mi deve nulla, e/o, 2014) il cui talento era stato scoperto da nientemeno che Grazia Cherchi.
Dagli arenili laziali a quelli romagnoli, dai litorali meridionali a quelli veneziani e toscani, è scandagliando questo paesaggio che anche Pier Paolo Pasolini va alla ricerca della "vera Italia" con il reportage La lunga strada di sabbia (1959, oggi disponibile per Contrasto, 2014) corredato dalle fotografie di Paolo di Paolo e pubblicato sul mensile “Successo”. Nel ’70 è Elio Pagliarani a mettere in poesia da recita quella «sinfonia dello straniamento assoluto» della sua infanzia viserbese con Ballata di Rudi (col titolo Proviamo ancora esce sulla rivista «Nuova Corrente» 51) dove la prima parte della narrazione ruota attorno a una balera in Riviera per poi restituirci un preciso spaccato del paesaggio sociale italiano dagli anni Cinquanta a quelli della terza Italia – anni in cui il «romanzo in versi» viene pubblicato nella sua versione definitiva (1995).
Emblema di quei 90 km di costa romagnola su cui si innesta, Rimini si è assicurata i suoi personaggi diventando specchio e metro di misura delle città-avamposto che compongono il ritratto della Romagna dei mosconi e della sensualità decadente
Emblema di quei 90 km di costa romagnola su cui si innesta, Rimini si è assicurata i suoi personaggi diventando specchio e metro di misura delle città-avamposto che compongono il ritratto della Romagna dei mosconi e della sensualità decadente. La riviera adriatica non è solo Rimini, eppure il suo mare pallido e fiacco, le sue frenesie e le sue contraddizioni sono riuscite a tracciare un orizzonte interpretativo inalienabile. Ed eccola ritornare come parola magica tra le pagine di Carlo Lucarelli (Laura da Rimini, Einaudi, 2009) e Giancarlo De Cataldo (Onora il padre, Einaudi, 2008), diventare il soggetto dei reportage in perfetto equilibrio tra dato storico e finzione narrativa di Giorgio Falco (La gemella H, Einaudi, 2014, Condominio Oltremare, L’Orma, 2004), il luogo prediletto del thriller Il killer delle ballerine di Stefano Tura e ancora, la culla della commedia gialla di Enrico Franceschini che con Bassa Marea (Rizzoli, 2019) rende omaggio a Tondelli (nella forma) corredando ogni capitolo di una sua music track. Durante i mesi invernali la materia rivela un suo nascosto ritmo biologico creando uno spazio illusorio così reale da far emergere lo squallore degli altri spazi circostanti: è l’eterotopia di Foucault, il non-luogo che lascia venire a galla il sommerso, la lordura dei bassifondi. E in effetti, le città del noir sono esattamente questo: eterotopie in quanto «perimetri urbani connotati da identità “altre” rispetto al contesto “normale”, spazi chiusi ma dialoganti con l’esterno, territori irreali e artificiali poiché prodotti di una finzione narrativa, e proprio per questo capaci di rivelare elementi oscuri e celati del mondo reale» (E. Mondello, Il noir degli anni Zero. Uno sguardo sulla narrativa italiana del terzo millennio, Perrone, 2015, p. 122.).
Rimini ha finito per consegnarsi al mito voltando le spalle ai vitelloni sedotti e abbandonati tra le fotografie di corredo degli annali a rotocalco, e il suo potenziale narrativo non si esaurisce nella metafora del «videogame a grandezza naturale piazzato ai margini dei viali dei centri balneari» (Tondelli, Un Weekend postmoderno, cit., p. 99) che definisce la trasformazione degli italiani all’alba dell’avvenuta metamorfosi da Italietta a “miracolo” del consumismo. Sottoposta alla muta forzata attraverso un processo di privazione stagionale, non mantiene la promessa della superficie, della città ammiccante sempre uguale a se stessa, incapace di generare zone d’ombra. Dacché lo spartiacque tra la città culla-del-desiderio e agenzia di compravendita-affitto-investimento fungeva da ornamento estetizzante sulla cresta dei casermoni in cemento che rendono grigio l'azzurro del mare, ora la progressiva scomparsa dei suoi parossismi la riconsegna alla Storia.
Eldorado riminese, vacanzopoli romagnola, Miami d’Europa, capitale delle vacanze, supermarket del sesso, industria delle ferie
Sorta straniera sulle spoglie dell’antica civiltà romana e rinascimentale, poi rasa al suolo come Sodoma e Gomorra, Rimini abdicava al suo passato per l’80% già prima che la Linea gotica diventasse la sua spina dorsale e il simbolo delle ultime fasi della guerra. Rimini è un luogo in assenza: impossibile restituire la sua natura attraverso la forma del romanzo tradizionale, né il suo paesaggio ha mai prodotto veri e propri romanzi di formazione, mentre sono state le forme sperimentali e ibride a combaciare con l’instabilità del grande contenitore di trame e fantasie. Delitti, casi irrisolti e passioni consumate a perdifiato nell’arena di quel divertimentificio coniato negli anni Ottanta da Camilla Cederna, si mescolano alla narrazione della criminalità in Italia. La Nizza dell’Adriatico cede così il passo a un altro ecosistema. È la Marsiglia dei traffici di droga e della criminalità organizzata il setting prescelto da tanti autori, che vedono in Rimini la sorella italiana della capitale delle Bocche del Rodano.
Perché la narrativa di genere per raccontare questo panorama? Dopo Umberto Eco che, nell’80, con Il nome della rosa aveva scardinato i confini del giallo inaugurando convenzionalmente la stagione del postmodernismo, il genere vive la sua stagione più fortunata alimentato dal clima politico della Seconda Repubblica e dagli scandali come Tangentopoli e Mani pulite. Massimo Carlotto, tra i suoi maggiori esponenti, esibisce quella violenza punteggiando il suo universo narrativo di latitanti, mafiosi, tossicodipendenti e prostitute, ma senza volontà di denuncia. Offrendo una rappresentazione cronachistica della realtà attraverso la finzione, il noir diventa una cornice per raccontare altro: dietro le apparenze della normalità borghese si nascondono la criminalità economica, lo sfruttamento e l’uso della politica come strumento asservito e omertoso già raccontati da Gadda e Sciascia.
In queste narrazioni si riscontra il legame del noir con gli spazi urbani delle metropoli dalla geografia pervasiva e onnivora dove si cementifica senza alcuna sostenibilità né logica estetica, dove palazzi da quindici piani si ergono in mezzo al deserto invernale come cattedrali futuribili eppure già irrimediabilmente degradate. E grazie al linguaggio, frutto di una commistione e contaminazione di registri gergali, questi testi arrivano anche al pubblico giovane diventando così un oggetto pop dai toni cupi come lo erano quelli dei “Cannibali” così etichettati all’indomani della pubblicazione dell’antologia di racconti pulp e noir Gioventù cannibale (Einaudi, 1996) tra cui spicca la penna alterata e deformante di Isabella Santacroce (Fluo. Storie di giovani a Riccione; Feltrinelli, 2001) che proprio da Cristina Campo e Simone Weil aveva imparato che ogni parola doveva avere un sapore massimo. Santacroce è la narratrice per eccellenza di una sessualità sguaiata dove il corpo femminile è un corpo (già) postumano con un potere seduttivo di cui la donna ha il completo arbitrio. Le sue filles fatales trovano il loro corrispettivo tragicomico nella voracità e nell’iniziazione erotica delle protagoniste-adolescenti dei libri a fumetti dell’autrice romagnola Martina Sarritzu che per Canicola ha pubblicato A.M.A.R.E (2021) Sciame (2023) e, insieme ai testi di Tuono Pettinato, Vacanze in scatola (2020). Raccontare il kitsch, il grottesco e l’unicità delle vacanze sull’Adriatico è anche l’intenzione delle illustrazioni di Marina Godolina (Strane Dizioni, 2021). Spiagge disseminate di corpi proteiformi, sessioni di aerobica nell’acqua troppo calda per riattivare l’agognato microcircolo, cucine isteriche e teche dei bar sovraffollate di paste, pizzette, tramezzini, panini dell'altro ieri, bagnanti sovrastimolati dall’autocommiserazione malcelata degli animatori in procinto di sviluppare acufeni. E il publiphono continua, con il suo entusiasmo gracchiante, a ricordarci che per 15 chilometri sarà la voce della nostra coscienza. È anche questo l’immaginario satirico di chi questi luoghi li abita con sguardo insistente, l’unico in grado di accostare con ironia la dimensione globale e quella locale: nel 1989 le strisce di sabbia erano due, quella del Muro di Berlino che veniva finalmente scavalcato e buttato giù da giovani martelli, e quella della costa Adriatica piagata dalla terribile mucillagine causata dal fenomeno dell’eutrofizzazione. La storia che si svolge in un tempo e in un luogo è solo una scusa per raccontare tutto quello che ci sta intorno.
Alcuni dicono che la riviera è rimasta sempre uguale, che sono i turisti a essere cambiati. Altri affermano con un sorriso compiaciuto che, a parte il mare, c’è tutto. Rimini vive del proprio paradosso, ma è molto di più di questo, ovvero una zona dove pulsa un ecosistema anomalo, un luogo in cui la narrazione dello stesso ha influenzato a tal punto i rapporti umani da riuscire a cancellare la linea tra realtà oggettiva e fiction. «Per cui voi che siete a Rimini, ora, mandate una cartolina e raccontate. Siete già, o fortunati, in pieno romanzo» (è ancora Tondelli, Un weekend postmoderno, cit., p. 101).
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