Dalla prima pagina del “Corriere della Sera” Ernesto Galli della Loggia ha deciso di spiegare che cosa è il razzismo, per contestare l’alternativa tra razzismo e accoglienza e giustificare e valorizzare quella che a lui sembra la posizione della “grande maggioranza degli esseri umani”. Vale a dire, per ricorrere al suo esempio, la convinzione che “non volere avere troppo a che fare con i nigeriani, dico per dire, a causa del loro modo di fare, o sentirsi infastiditi dall’odore del cibo cucinato dai bengalesi, o trovare sgradevole l’idea di avere dei vicini di casa rom non ha niente a che fare con il razzismo”.

Avrebbe scritto, visto che si trattava di un esempio, “trovare sgradevole l’idea di avere dei vicini di casa ebrei”? Aggiungendo che la cosa non aveva nulla a che fare con l’antisemitismo? Ne dubito fortemente. Egli, tuttavia, forse non sentendosi troppo sicuro delle proprie affermazioni, per oltre la metà dell’articolo si trincera dietro l’autorità (nientemeno) che di Claude Lévi-Strauss, traendo alcune frasi da una bellissima e lunga intervista in cui il grande antropologo parla – tra tante altre cose, occorre ricordarlo – di come si vedeva la questione del razzismo nel 1988. Il Lévi-Strauss richiamato vorrebbe “non banalizzare” il razzismo e spiega brillantemente che cos’è (con parole non ricordate) e sostiene (citato perfettamente da Galli della Loggia) che il fatto “che delle culture, pur rispettandosi, possano sentire maggiori o minori affinità le une per le altre è una situazione che è sempre esistita. Un dato normale di comportamenti umani”. L’esempio (che Galli della Loggia riassume) riguarda la simpatia immediata e impulsiva nutrita da Lévi-Strauss per i giapponesi, e si domanda se ciò sia razzismo. Alla successiva domanda dell’intervistatore, che gli dice: “Se li guardate con simpatia no; ma se voi mi aveste detto: io li guardo con odio, allora avrei detto di sì”, preferisce non rispondere e parlare delle apparenze fisiche di cui nessuna, a suo dire, gli ha mai suscitato alcuna antipatia.

Gli esempi che Galli della Loggia sceglie, invece, sono manifesta espressione di una qualche antipatia, distanza, paura, fastidio, non della simpatia analoga a quella di Lévi-Strauss per i giapponesi. Ma il problema principale, mi sembra, è che Galli della Loggia non ha affermato in privato, tra amici o al bar, che lui personalmente non vuole avere a che fare con i nigeriani “a causa del loro modo di fare” (di tutti i nigeriani?), è infastidito dall’odore del cibo bengalese (ma forse anche di quello veneto o calabrese, come capita spesso a molti, specie se cucinano sotto casa vostra con le finestre aperte), di trovare sgradevole avere vicini rom. Ma lo ha scritto sull’editoriale del principale giornale italiano con un messaggio rivolto a tutti gli italiani: se vi comportate così, se pensate e dite così, vi assicuro che non siete razzisti. Dimenticando che le cose dette in privato e in pubblico sono assai diverse, come lo sono quelle dette dalla politica, dal Parlamento, dal governo, dalla magistratura e anche dal «quinto potere», per quanto siano rimaste assai poche le persone che comprano il quotidiano e ancora meno quelle che leggono i loro editoriali.

Dire le cose dette da Galli della Loggia pubblicamente, con ufficialità e autorevolezza, significa inevitabilmente giustificare, e forse anche incitare, chi le pensa e dice privatamente, a dirle pubblicamente, per le strade, sui social, nelle scuole, e ovviamente non solo tra «di noi», ma anche «a loro», anche a coloro, di «loro», che magari non hanno un modo di fare «da nigeriani», cucinano in modo olfattivamente irritante, o sono rom integrati che nessuno potrebbe riconoscere come quelli – frutto di stereotipo e pregiudizio – che li accomuna tutti come ladri e malfattori. Quelle frasi, che Galli della Loggia vuole possano liberamente circolare in pubblico senza che chi le pronunci possa sentirsi dare del razzista, sono frasi che hanno due chiari ed espliciti effetti: servono a «essenzializzare» un intero gruppo (nigeriani, bengalesi, rom) attorno non a un loro carattere innato o tipico, difficilmente riscontrabile, ma attorno al modo in cui alcuni di noi li considerano; servono a discriminarli, perché se si può dire quello che dice Galli della Loggia di nigeriani, bengalesi e rom, perché non ha nulla a che fare con il razzismo, si può anche passare senza problemi al passo successivo, e quindi impedire che possano affittare una mia casa, entrare in un mio locale, andare a scuola con i miei figli, oppure chiedere e pretendere che così facciano le autorità pubbliche.

Galli della Loggia, da parecchio tempo, sta conducendo una battaglia in cui richiama tutti – poteri pubblici, mondo della cultura e della religione, cittadini – a un maggior senso di responsabilità, spesso con ragionamenti e riflessioni che vorrebbero riportare indietro le lancette del tempo. Qui mi sembra abbia del tutto dimenticato la responsabilità di un intellettuale, di un docente universitario, di un editorialista di un grande quotidiano italiano che usa quest’ultima tribuna per raccontare a tutti quali sono i suoi reconditi pensieri sul modo di fare dei nigeriani, sull’odore del cibo dei bengalesi e sulla sgradevolezza dei rom. Non accorgendosi, nel sostenerlo, che sembra quasi incitare i suoi lettori a farlo senza preoccuparsi troppo, dal momento che ciò con il razzismo non avrebbe nulla a che fare.