Anni fa, era il 2013, su queste stesse pagine ci domandammo, alla luce di alcuni dati sul lavoro nel comparto dell’e-commerce, se per caso fossimo «un po’ schiavisti anche noi». Nel frattempo, il dubbio sembra essere diventato certezza (si veda a tale proposito il recente Noi schiavisti. Come siamo diventati complici dello sfruttamento di massa, di Valentina Furlanetto, edito da Laterza); le forme contemporanee di sfruttamento sui luoghi di lavoro si sono allargate a macchia d’olio, continuando a segnare sempre di più il settore dello stoccaggio e della logistica delle merci.

Come è stato detto più volte, il settore, già nel pieno di una rivoluzione organizzativa prima della pandemia, nei lunghi mesi del primo e del secondo lockdown è stato sottoposto a un vero e proprio stress test che ha acutizzato la fragilità di alcuni nodi, a cominciare da quello rappresentato dai lavoratori e dalla loro forza contrattuale nei confronti dei diversi datori di lavoro, con il sempre più diffuso ricorso alla pratica del subappalto, che consente alle ditte di usufruire di manodopera a basso costo. Attraverso l’impiego in cooperative di nome ma non di fatto, si ottengono paghe e condizioni in nessun modo paragonabili a quelle di chi è assunto direttamente dalle aziende.

Come ricorda Furlanetto, «La logistica in Italia impiega oltre 800 mila addetti per circa 15 mila imprese e genera 70 miliardi di fatturato. Il mercato è molto frammentato con la prevalenza di microimprese (il 93% con meno di 10 milioni di euro di giro d’affari) e un ristretto numero di realtà industriali di maggiori dimensioni che fanno parte di gruppi nazionali ed esteri». Due sono i principali àmbiti di lavoro, quello della preparazione delle spedizioni ai privati e del recapito della merce ai clienti, inclusa la Gdo, la Grande distribuzione organizzata, da un lato; quello della consegna, con diverse situazioni di vero e proprio sfruttamento, dall'altro.

Se lo stress quotidiano dei piccoli corrieri è sotto i nostri occhi di consumatori, impazienti di ricevere pacchi e pacchetti, lo stress cui è sottoposto chi lavora nei magazzini non è meno rilevante

In uno e nell’altro àmbito si replica il modello del subappalto e le garanzie per i lavoratori risultano assai fragili. Anche a causa della concorrenza, si sono via via resi non eccezionali i casi di contratti che sulla carta sono di 8 ore ma che spingono, nei fatti, a 12 o 13 ore giornaliere, con responsabilità, per quanto indirette, delle diverse committenze (vale a dire dei grandi gruppi di cui tutti noi siamo clienti diretti). Se lo stress quotidiano dei piccoli corrieri è sotto i nostri occhi di consumatori, impazienti di ricevere pacchi e pacchetti (sul punto si legga il capitolo dedicato a Sda nel libro-inchiesta di Günther Walraff tradotto nel 2013 da L’Orma editore, Germania anni 10), lo stress cui è sottoposto chi lavora nei magazzini non è meno rilevante.

Le tensioni sono molto forti, vista la situazione ciò non può sorprendere, e sono ormai diffuse in tutte le province che ospitano i principali centri di stoccaggio e smistamento delle merci. Negli ultimi giorni si sono registrate proteste con il blocco dell’uscita delle merci alla FedEx (la multinazionale con oltre 400 mila dipendenti sparsi nel mondo e un fatturato che supera i 65 miliardi di dollari l’anno) di Piacenza, così come era accaduto a San Giuliano Milanese a fine maggio, dove i lavoratori in presidio sono stati oggetti di cariche violente. Il potere contrattuale delle grandi aziende del settore, che via via inglobano società più piccole, come è accaduto a Bartolini-Brt, ora controllata dalle poste francesi, consente loro di gestire il personale con grande discrezionalità.

Da anni, insomma, si sta registrando uno scontro aperto tra lavoratori poco tutelati e scarsamente qualificati, dunque facilmente sostituibili, e un settore che la crescita esponenziale dell’e-commerce, incluso quello alimentare, ha reso fortissimo. L’aumento di ritmi di lavoro già assai sostenuti, unitamente a condizioni contrattuali poco stabili e difficilmente migliorabili, ha reso per molti intollerabili le condizioni occupazionali in un settore che vede la crescita dell’impiego di stranieri o italiani di origine straniera (cfr. Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia. X Rapporto annuale, a cura del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, 2020).

L’aumento di ritmi di lavoro già assai sostenuti, unitamente a condizioni contrattuali poco stabili e difficilmente migliorabili, ha reso per molti intollerabili le condizioni occupazionali in questo settore

La morte venerdì scorso di Adil Belakhdim, sindacalista dal 2013, italiano, travolto da un camion insieme a un collega rimasto ferito mentre manifestava davanti a un centro di distribuzione della Lidl a Biandrate, in provincia di Novara, si aggiunge ad altre tragedie analoghe. Di cinque anni fa la morte di un facchino di origine egiziana ucciso da un tir all’esterno di un centro Gls, nei giorni in cui era in atto una vertenza con i vertici dell’azienda in seguito al mancato rispetto dell’accordo sottoscritto dalle parti. Accordo che chiedeva la stabilizzazione di alcuni precari, mentre in tutta risposta la Gls aveva «chiamato a lavorare altri precari provenienti da un’altra agenzia interinale» (la Procura allora parlò di «fatalità», così come si è parlato nelle prime ore di «incidente» nel caso della morte di Adil Belakhdim; conviene rileggersi bene questo pezzo su «Internazionale» del compianto Alessandro Leogrande, Cosa non torna sulla morte dell’operaio a Piacenza, 29 settembre 2016).

Possiamo immaginare (ammesso e non concesso che si sia disposti ad auspicarla) una inversione di tendenza dei rapporti di forza nel settore della logistica? Perché le istanze di questi lavoratori appaiono ogni volta rappresentate da alcune sigle di base come i Si Cobas mentre Cgil, Cisl e Uil sembrano defilati? Il ministro del Lavoro Orlando ha annunciato la costituzione di una task force sulla logistica. C’è da augurarsi che possa aiutare a togliere il velo da situazioni di lavoro assimilabili in gran parte allo sfruttamento, sollecitando maggiori controlli da parte degli ispettorati del lavoro per poi ricondurre anche queste forme di contratto entro il quadro normativo generale. Le nostre scelte di consumatori non sono ancora una volta prive di conseguenze; tuttavia, non possiamo certo immaginare di invertire le tendenze in atto. Occorrerebbe dunque intervenire al più presto per regolamentare un settore ancora largamente in mano a grandi gruppi attenti in primo luogo a ridurre il costo del lavoro, quale che sia il prezzo da pagare da parte dei lavoratori.