Il 9 luglio 1980 Altiero Spinelli riunì al ristorante «Crocodile» di Strasburgo otto eurodeputati che avevano accolto il suo appello: la Comunità deve riformarsi o perire. Solo l’Europarlamento, infatti, poteva elaborare un progetto per renderla democratica ed efficace, dal momento che la responsabilità della crisi era dei governi. Che la Comunità stesse attraversando una crisi gravissima era fuor di dubbio: i governi litigavano sulle spoglie di un bilancio largamente dedicato alle spese agricole e non erano previste strategie per garantire dimensione europea a ricerca, ambiente, innovazione e coesione territoriale.

Nasceva così, trent’anni fa, il «Club del Coccodrillo», che ha influenzato l’integrazione europea fin dal progetto dell’Europarlamento del 1984. Esso ha ispirato le riforme che hanno permesso, fra l’altro, l’introduzione della cittadinanza europea, il potere di codecisione fra Parlamento e Consiglio, la politica della società europea e la ripartizione delle competenze fra Unione e Stati membri secondo il principio di sussidiarietà.

Con preveggenza, l’Europarlamento aveva proposto di creare i poteri necessari per realizzare una politica economica europea, a cui avrebbero dovuto essere sottomesse le azioni degli Stati membri. Con saggezza, Spinelli aveva deciso di non porre né la questione della trasformazione della Comunità in una federazione né di battezzare «Costituzione» il progetto del Parlamento. Con lungimiranza, Spinelli aveva anche capito che la sopravvivenza del «suo» progetto era legata alla volontà dell’Europarlamento di considerarsi una «assemblea costituente» ad referendum, e non un ufficio studi, e alla volontà di una maggioranza di governi di andare avanti anche se qualche Paese membro avesse deciso di starne fuori.

L’Unione è oggi in crisi e ancora una volta la responsabilità è dei governi, incapaci di proporre soluzioni europee a problemi europei. Durante questa legislatura, l’Unione deve dotarsi di politiche e strumenti di bilancio per intervenire laddove i governi sono incapaci di farlo, prigionieri di scelte non imposte dall’Unione ma dallo stato disastroso dei conti pubblici nazionali. Per decidere su queste politiche e sulle risorse finanziarie per realizzarle occorre un compromesso fra esecutivo europeo, Europarlamento, parlamenti e governi nazionali e il «luogo» migliore sarebbe una Convenzione simile a quelle che hanno elaborato la Carta dei Diritti e la Costituzione europea.

Per andare «oltre Lisbona» - come ha proposto recentemente Joschka Fischer - occorre un’assemblea dotata di un mandato popolare: il «luogo» migliore sarà il Parlamento europeo eletto nel 2014. Occorre dunque tessere fin d’ora le fila di un accordo politico per raggiungere l’uno dopo l’altro questi obiettivi.