“Garibaldi fu ferito”, l’eroe dei due mondi, Teano, Anita. Pochi, vaghi ricordi scolastici è tutto quello che in molti casi resta impresso di Giuseppe Garibaldi nella memoria di un cittadino dell’Italia di oggi. A dispetto delle targhe, dei busti e dei monumenti equestri di cui Sud, Centro-Nord e Isole sono disseminati. Ci voleva un inglese, seppure di fatto italianizzato, come Tim Parks per riportarci alla metà dell’Ottocento e alla ricostruzione di un periodo specifico della vicenda del Generale che, dopo l’esperienza della Repubblica romana, assediato dall’esercito francese, nel luglio del 1849 lascia Roma insieme ad Anita e a un manipolo di volontari, quattromila a piedi e ottocento a cavallo.

Il libro di Tim Parks, Il cammino dell’eroe. A piedi con Garibaldi da Roma a Ravenna (Rizzoli, 2022) si snoda su due piani paralleli. Quello storico, che basandosi sulla documentazione disponibile tenta di ricostruire passo passo, possiamo ben dirlo, il percorso seguito da Garibaldi e dai suoi sino all’Adriatico; quello della cronaca pedestre contemporanea, che vede impegnati l’autore e la moglie in quasi 650 chilometri percorsi in circa un mese. A distanza di oltre un secolo e mezzo, dunque, un altro tipo di eroismo torna sulle tracce dei garibaldini. Quello di chi, nell’Italia contemporanea, incurante di paesaggi e contesti non di rado ostili, cammina a piedi senza troppo curarsi delle difficoltà, facendo di tutto per tenere le tappe che si è dato alla partenza.

A distanza di oltre un secolo e mezzo, un altro tipo di eroismo torna sulle tracce dei garibaldini. Quello di chi, nell’Italia contemporanea, incurante di paesaggi e contesti non di rado ostili, cammina a piedi senza troppo curarsi delle difficoltà

Chi ama muoversi a piedi gusterebbe il racconto anche se si limitasse a farsi cronaca di viaggio. Ma è proprio grazie alle frequenti incursioni storiche che il libro si apprezza maggiormente. Garibaldi e i suoi non avevano uno smartphone a guidarli nei momenti di incertezza, né le loro uniformi raffazzonate possono in alcun modo paragonarsi all’abbigliamento tecnico di chi oggi se ne va a piedi. Tuttavia, il racconto dell'esperienza fisica, la fatica, le delusioni, i non pochi imprevisti non vanno sottovalutati. Tanto che, alla fine, la scelta di Tim Parks ed Eleonora Gallitelli non risulta certo una stranezza. Anzi: la si può comprendere bene, nel tentativo di cogliere meglio difficoltà, fatica e delusioni patite da quel gruppo di uomini quando, a metà Ottocento, attraversare l’Italia poteva significare dover affrontare eserciti stranieri e nemici in patria.

Il libro, nelle sue quasi cinquecento pagine, ci consente anche di cogliere l’esperienza del cammino oggi, tra commercializzazione delle vie, sacre e non, e scelta di turismo consapevole, in un’Italia pochissimo attenta al paesaggio e alle esigenze di chi lo abita o vorrebbe immergercisi. Siamo, da questo punto di vista, in una fase di disordine poco creativo, in cui la gestione dei cammini e delle vie è affidata spesso alla disponibilità di volontari, entro e fuori i confini del Cai e di altre associazioni, dopo gli anni del fascismo, che tentò di riscrivere l’intero quadro escursionistico italiano attraverso il controllo, e quelli del boom economico, che rischiarono di stravolgere i principi stessi del camminare all’aria aperta incanalandoli nel boom dei consumi, una tendenza accelerata dal turismo di massa in montagna che certo non stenta a rallentare (si veda il cap. 11, La sesta svolta: gli italiani sui sentieri, del recente, ambizioso volume di Lorenzo Bersezio, A piedi sotto il cielo. Storia dell’escursionismo dalle origini ai nostri giorni, Utet, 2022).

Camminare attraversando in diagonale la Penisola alla fine degli anni Dieci del nostro secolo consente di vedere il nostro Paese da punti di vista insoliti. Chi cammina per più giorni lungo le vie, tracciate e non, lo sa bene. Perché alla concentrazione necessaria per non perdersi, non farsi male magari banalmente, seguire il paesaggio e i suoi diversi profili di antropizzazione, deve sempre affiancarsi l’impegno per essere sempre presenti fisicamente, in una modalità offline cui il più delle volte siamo ormai del tutto disabituati. Il tragitto e le tappe studiati a tavolino solo di rado trovano piena conferma sul terreno. Non basta valutare distanze e pendenze, ad esempio, ma occorre considerare le asperità del fondo: un sentiero tranquillo sulla carta può, dopo un forte acquazzone, tradursi in un supplizio per le caviglie. Lo spirito risorgimentale che anima chi rincorre Garibaldi negli anni Duemila non consente di aggirare il rischio di perdersi, di sbagliare strada e trovarsi costretti a tornare sui propri passi, allungando una giornata già impegnativa (v. ad es. p. 191); né evita che, in pieno agosto, ci si possa ritrovare senz’acqua, nonostante la buona scorta della partenza (v. p. 183). Oggi, sempre più spesso, i cartelli di proprietà privata, le recinzioni non autorizzate, gli avvisi di cani da guardia e la loro reale e improvvisa comparsa, rendono il camminare un'esperienza non sempre rilassante.

Camminare per più giorni consente di osservare non solo le bellezze, ma anche le bruttezze che, con impegno, abbiamo realizzato nel corso dei decenni che hanno seguito la Seconda guerra mondiale

Eppure, lo sguardo a un’Italia interna, spesso sconosciuta, assai poco frequentata, aiuta a comprenderne l’essenza e, se si cammina a lungo, le diversità. Camminare per più giorni consente di osservare non solo le bellezze (“che tutto il mondo ci invidia” ecc. ecc.), ma anche le bruttezze che, con impegno, abbiamo realizzato nel corso dei decenni che hanno seguito la Seconda guerra mondiale. Villette di ogni tipo a ogni latitudine (a baita, a pagoda, a villa dell’Arizona, con palme e tutto il resto), prati all’inglese a dispetto delle temperature e dei luoghi, tenuti in gran forma pescando l’acqua con le pompe dai ruscelli, insegne di ogni foggia e colore. Sono tanti i passaggi del libro in cui ci si può riconoscere. E tanti i momenti in cui viene da chiedersi “perché”. Camminare per le strade d’Italia fa sentire un po’ come disertori di un esercito in rotta che vorrebbero sopravvivere pur sapendo che sarà durissima. Sopravvivere alla retorica dei borghi (Tim Parks e la moglie incontrano sul loro cammino non so quante volte “uno dei borghi più belli d’Italia”), sopravvivere all’abbandono dei rifiuti lungo il ciglio delle strade, nei canaloni, sui greti dei fiumi. Sopravvivere a un’Italia irriconoscibile (così ben descritta da Marco Revelli nel suo Non ti riconosco. Un viaggio eretico nell’Italia che cambia, Einaudi, 2016).

Camminare, insomma, per comprendere come siamo e come potremmo ripensarci, in un nuovo Risorgimento, in una nuova unità di pensiero. Proprio mentre chi ci governa sta lavorando per spezzare anche ciò che rimane dell’idea stessa di Italia unita.