Dopo anni di tagli delle risorse destinati agli investimenti e di riduzione del personale negli Enti locali, sembra che finalmente con il Recovery Plan il vento sia cambiato. Grazie a risorse europee senza precedenti, potranno essere finanziati interventi individuati dal governo Draghi per rispondere alle sei missioni fissate dal Piano e ai tre obiettivi di Next Generation Eu: transizione ecologica, innovazione digitale, inclusione sociale.

In teoria tutto bene, ma la sfida che il nostro Paese ha di fronte è enorme in termini organizzativi. Questo problema riguarda in particolare i Comuni, che si stanno trovando in balia di bandi per finanziare interventi su molteplici temi, con tempistiche differenti, ai quali viene chiesto di candidarsi mentre al contempo provano a far partire le assunzioni previste dal Piano proprio per rendere possibile la concretizzazione degli interventi.

Due errori però non vanno commessi nel leggere questa fase indubbiamente complicata per la Pubblica amministrazione. Il primo è porre tutta l’attenzione sul rispetto dei tempi (2026) per non perdere i 248 miliardi di euro a cui può accedere il nostro Paese. Se è comprensibile la preoccupazione, vista l’opportunità di rilancio dell’economia, non può essere l’unica chiave con cui guardare ai processi in corso proprio perché il cambiamento da intraprendere è innanzi tutto qualitativo.

La sfida non si esaurirà con le opere del Pnrr; al contrario, queste rappresentano la leva per un'innovazione trasversale che va accompagnata da riforme

Il secondo errore da scongiurare sta nel pensare che la sfida si esaurisca con le opere del Pnrr, quando al contrario queste rappresentano la leva per un'innovazione trasversale che va accompagnata da riforme, da una revisione di piani e politiche ordinarie, dal supporto nei confronti degli Enti locali. Il tema vale in particolare per superare la distanza cresciuta in questi anni tra centro e periferie, tra politiche dei ministeri e possibilità di trasformarle in azioni virtuose negli oltre ottomila Comuni italiani. È una questione istituzionale che dovrebbe vedere l’Anci protagonista come fino ad oggi non è avvenuto. Anche perché il grande limite del piano italiano, rispetto ad esempio all’esperienza di altri Paesi europei, sta proprio nel non partire da un'analisi dei problemi e dei ritardi su cui vuole intervenire o da strategie condivise.

Il rischio è che gli interventi previsti siano in sé positivi, ma non consentano di creare opportunità laddove sarebbe più urgente e importante. Per questo è fondamentale alimentare l’attenzione rispetto al Pnrr e il confronto pubblico e politico rispetto alla transizione da accelerare, proprio perché dobbiamo imparare da questa esperienza fuori dall’ordinario se vogliamo cambiare le politiche che accompagneranno il Paese al 2030. In questo scenario sono in particolare tre le questioni da approfondire rispetto al ruolo che potranno svolgere i Comuni.

La mobilità urbana potrà diventare sostenibile? Per le infrastrutture le risorse a disposizione sono rilevantissime. La missione 3, “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”, prevede 26 miliardi di euro per il trasporto ferroviario che vanno ad accelerare cantieri già previsti da Rfi e nuovi interventi da realizzare entro il 2026. Complessivamente sono in cantiere o finanziati 797 km di nuove linee ad alta velocità, interventi di potenziamento di collegamenti trasversali, senza dimenticare l’elettrificazione della rete e l’installazione di sistemi di controllo della sicurezza su 1.635 km di rete, che porterà la percentuale di elettrificazione in Italia dal 69,5 al 77,8%. Per lo “Sviluppo di sistemi di trasporto rapido di massa” nelle aree urbane, le risorse sono più limitate, proprio per la paura di non rispettare la scadenza del 2026. La somma delle risorse del Pnrr e di quelle ordinarie porterà a realizzare 116,5 chilometri di metro tra nuove e riconversioni (a Roma, Milano, Torino, Genova, Napoli, Catania), 235,7 di tranvie (a Milano, Bergamo, Brescia, Padova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Palermo, Cagliari e Sassari), 102,9 di filobus e busvie, oltre a interventi di rinnovo del parco circolante. La riflessione da avviare al più presto riguarda le riforme da mettere in atto per fare in modo che il Pnrr sia davvero una svolta irreversibile per la mobilità sostenibile. Può sembrare incredibile, ma non esiste una programmazione nazionale che riguardi le infrastrutture delle città, malgrado qui sia il più grande ritardo rispetto all’Europa (si veda il Rapporto Pendolaria 2022 di Legambiente). 

I progetti proposti dalle città partecipano a una divisione delle risorse tra strade, autostrade e ferrovie che non prevede criteri oggettivi e nella quale da sempre soccombono. Inoltre, la divisione delle risorse per il servizio passa per le Regioni, persino nel caso delle città metropolitane e delle aree più inquinate del Paese, per cui vengono distribuite a scapito dei più grandi centri. È evidente che se vogliamo dare continuità a queste innovazioni dobbiamo garantire un più forte ruolo di programmazione statale, oltre che di coordinamento e controllo anche attraverso interlocuzioni dirette con i Comuni, con un ruolo di supporto – che è mancato fino ad ora nel Pnrr – per aiutare chi è più indietro ad attivare progetti e cantieri. La novità rispetto al passato è che ovunque si realizzano progetti di tram e metropolitane con un servizio efficiente il successo è garantito, ed è a questa nuova disponibilità al cambiamento che dobbiamo guardare per ripensare le nostre città.

La riqualificazione delle periferie oltre il Pnrr. Superano i cinque miliardi di euro le risorse per la rigenerazione urbana stanziate dal Pnrr, divise tra il Programma nazionale per la qualità dell’abitare (PinQua), gestito dal ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, e i Piani integrati per le periferie delle città metropolitane, gestiti dal ministero dell’Interno. Il PinQua è uno dei pochi casi nell’ambito del Recovery Plan in cui si è potuto accelerare una programmazione già esistente, con obiettivi e criteri già definiti per finanziare interventi finalizzati a ridurre il disagio abitativo, aumentando il patrimonio di edilizia residenziale pubblica, a rigenerare il tessuto socio-economico dei centri urbani, a migliorare l’accessibilità, la funzionalità e la sicurezza di spazi e luoghi degradati. Complessivamente sono 2,82 i miliardi di euro a disposizione e sono 159 i progetti che verranno finanziati, con una quota del 40% dei fondi destinata alle regioni del Mezzogiorno.

I Piani integrati per la riqualificazione delle periferie delle città metropolitane dispongono di una dotazione di 2,493 milioni di euro finalizzata a favorire una migliore inclusione sociale riducendo l'emarginazione e le situazioni di degrado sociale, promuovere la rigenerazione urbana attraverso il recupero, la ristrutturazione e la rifunzionalizzazione ecosostenibile delle strutture edilizie e delle aree pubbliche, nonché sostenere progetti legati alle smart cities.

Una volta concluse le opere finanziate dal Pnrr, continueranno a essere assicurate alle periferie attenzioni e risorse su cui i Comuni potranno contare? 

Buone notizie dunque, anche perché si tratta di interventi fortemente finalizzati, ma finito il Pnrr che succederà? Continueranno a essere assicurate attenzioni e risorse per le periferie in modo strutturale? Rispondere a queste domande sarà fondamentale, anche perché diversi progetti sono rimasti fuori dalle due selezioni e i problemi non si esauriscono certamente con gli interventi finanziati. Se vogliamo affrontare i problemi delle tante e diverse periferie del nostro Paese si devono dare certezze ai Comuni, far capire che vale la pena scommettere su progetti ambiziosi di recupero perché gli investimenti continueranno, i programmi verranno migliorati e ci saranno nuove opportunità di riqualificazione per aree pubbliche e private. Se si guarda con attenzione ai progetti presentati per il PinQua, ci si rende conto che molte città hanno compreso la direzione di innovazione dei processi e degli obiettivi verso cui guardare, mentre in altre sarà indispensabile il supporto da parte del Mims.

L’efficientamento energetico del patrimonio edilizio come priorità. Pochi temi sono di attualità come la riduzione dei consumi per il riscaldamento degli edifici, visto che gli usi civili rappresentano oltre il 43% del gas che bruciamo ogni anno in Italia. Eppure, nel Pnrr il tema è posto in termini generici e le risorse sono indirizzate prioritariamente verso il superbonus del 110% per la riqualificazione edilizia – per la fortissima pressione dei partiti –, che beneficerà di 18,5 miliardi di euro, mentre solo 950 milioni di euro per interventi sul patrimonio di edilizia residenziale pubblica.

Se le risorse sono rilevanti, in questo ambito si sconta il ritardo delle politiche nazionali nel fissare chiari obiettivi energetici da raggiungere, ad esempio rispetto ai consumi di gas, e criteri di valutazione. I Comuni rischiano di continuare a fare da spettatori rispetto a processi di intervento sul patrimonio edilizio privato su cui non hanno margini di intervento, mentre le risorse per la riqualificazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica appaiono limitate soprattutto rispetto agli obiettivi europei di miglioramento dell’efficienza al 2030.

Non possiamo aspettare il 2027 per mettere in campo una strategia nazionale di intervento sul patrimonio edilizio pubblico e privato che risponda a obiettivi chiari: accelerare e supportare tutti gli interventi che riducono i consumi di gas e che autoproducono energia da rinnovabili, eliminando gli incentivi per le caldaie a metano. La crisi con la Russia obbliga a un’accelerazione delle riforme per ripensare gli incentivi in vigore per le aziende (certificati bianchi), per l’edilizia privata (superbonus) e per l’edilizia pubblica (conto termico) da ridefinire sulla base degli obiettivi citati, dando un ruolo più forte ai Comuni di coordinamento e supporto agli interventi che oggi sono limitati e inadeguati. Una questione ineludibile riguarda il fatto che attività di questo tipo necessitano di competenze e capacità di progettazione per le quali va organizzata una attività di supporto agli Enti Locali che non è prevista dal Pnrr. Eppure, laddove questo supporto funziona, come in esperienze in varie parti d’Italia seguite dall’Agenzia per lo sviluppo sostenibile di Modena, i risultati sono significativi e andrebbero fatti conoscere e copiati in altri contesti. A dimostrazione che oggi non esistono più gap tecnici o economici ma solo organizzativi da recuperare.