Si è accesa in questi giorni anche in Italia la polemica sulle fake news diffuse in Rete e sui social media, e su quanto sia importante la loro influenza sulla politica e sugli esiti elettorali. La questione ha attraversato e scosso diverse democrazie occidentali negli ultimi tempi. È stata ed è ancora dibattuta negli Stati Uniti dopo le ultime elezioni presidenziali, è stata sollevata in Gran Bretagna nel dopo-Brexit e in occasione dell’ultima tornata elettorale, è emersa di recente in Spagna dopo gli incresciosi fatti catalani. In tutti questi casi la preoccupazione esplicita è che la Rete e i social siano campo di manovra per speculazioni mediatiche che diffondono ad arte, e con tecniche sempre più raffinate, notizie false mirate a influenzare pesantemente l’orientamento e i sentimenti del pubblico democratico, condizionando così l’esito delle consultazioni elettorali e il clima politico e sociale dei Paesi colpiti. L’effetto delle fake news, infatti, non sarebbe solo quello di influenzare il voto, ma anche di fomentare l’odio e il conflitto sociale, portando a una destabilizzazione del sistema politico. Su tutti questi sospetti aleggia l’ombra dei “russi”, e della loro pluridecennale tradizione di disinformatzia come tecnica di sfiancamento delle democrazie occidentali.

In realtà, a ben vedere, per spiegare le fake news non ci sarebbe bisogno di alcun complotto del governo russo, dal momento che a quanto pare si tratta di un’industria decisamente redditizia, nella quale peraltro giocare fuori casa può essere più remunerativo e sicuro che farlo nel proprio Paese. Ma questo, in un certo senso, rende il problema solo più preoccupante e spinoso.

La questione delle fake news, infatti, evidenzia ancora una volta l’esigenza di regolamentare la Rete e il mondo dei social, anche e soprattutto perché sono ormai parte e teatro essenziale di quella sfera pubblica che è una componente così importante delle nostre società democratiche. Non si tratta semplicemente di evitare gli usi diffamatori o di espungere i contenuti offensivi. Il problema fondamentale, come è stato evidenziato da più parti, è che la sfera pubblica libera e plurale è uno strumento di conoscenza, condivisione e scambio discorsivo solo se gli interlocutori non sono anonimi e le fonti sono trasparenti. Infatti, prima ancora di sollevare problemi di sicurezza e di veridicità, l’anonimato e la mancanza di trasparenza minano alla base uno dei presupposti essenziali di una conversazione democratica – veri o falsi che siano i contenuti che si stanno veicolando – ossia che gli interlocutori siano noti e il contesto della conversazione perspicuo. Ben venga dunque una riflessione sulle regole e le prassi della rete, e ben vengano proposte ragionate di una sua regolamentazione. Si tratta di materie difficilissime da trattare, soprattutto se ci si preoccupa di salvaguardare al contempo libertà e privacy; ma è impensabile che possano essere lasciate al caso e agli umori del mercato.

Detto questo, varrebbe anche la pena però di spendere qualche parola sull’idea che le fake news abbiano influenzato, influenzino o possano influenzare, o anzi determinare, l’esito dei processi elettorali, il clima politico delle nostre democrazie, o l’emergere di conflitti sociali. A differenza della giusta preoccupazione per la trasparenza della rete, dietro a questi allarmismi ci sono idee false e pericolose.

Almeno per adesso, non disponiamo di alcuna prova che le fake news siano mai state in grado di determinare decisioni elettorali o fatti politici rilevanti nelle democrazie occidentali. Quello che sappiamo è che le fake news si diffondono più facilmente e velocemente delle notizie vere. Ma questo non significa che siano anche credute in misura maggiore o nella stessa misura. Tuttavia, anche se avessero la stessa probabilità di essere credute di quelle vere, bisognerebbe ancora dimostrare che questo determina uno spostamento di voti o di opinioni, e anche questo non è stato provato; e a ben pensarci non è neppure così plausibile, dato che i meccanismi di diffusione di queste notizie contano su reti preesistenti di interlocutori che già condividono orientamenti politici e sistemi di credenze. Infine, se anche fosse vero che le fake news spostano voti, occorre chiedersi di quanti voti si tratti. Uno studio recente sul caso americano, ad esempio, ha concluso che – anche ammettendo che abbiano avuto un’efficacia paragonabile a quella di campagne ben riuscite – la quantità di voti che sarebbero riuscite a spostare, dato il loro numero e circolazione, sarebbe significativamente inferiore a quella che è servita a determinare le ultime elezioni presidenziali.

L’idea che le fake news siano determinanti per le sorti dei processi democratici non è solo immotivata, ma è anche pericolosa. L’allarmismo che crea, infatti, oltre ad essere ingiustificato, attacca alla radice i meccanismi fondamentali della responsabilità politica e la legittimità stessa dei processi democratici.

In effetti, la conseguenza prima dell’idea che i processi di decisione democratica siano eterodiretti – ad opera di complotti stranieri, o di semplici avventurieri della Rete – è la deresponsabilizzazione di tutti gli attori principali del gioco democratico. I partiti e i loro leader possono servirsi di questa facile scusa per giustificare i propri insuccessi elettorali e l’incapacità di intercettare il voto dei cittadini. Le istituzioni e i decisori politici possono squalificare il conflitto sociale e il dissenso come forme di odio irrazionale fomentate ad arte per dividere la società. E gli elettori vengono autorizzati a sentirsi parte lesa e meritevole di tutela per le decisioni che prendono quando sono chiamati alle urne, anziché protagonisti e attori principali dei processi democratici.

Inoltre, lo spettro delle fake news come elemento dirimente della competizione politica mina la legittimità democratica perché in fin dei conti non è altro che un nuovo capitolo di una lunga tradizione di sospetto e disprezzo nei confronti della democrazia di massa. Dietro a questa idea c’è un’immagine riduttiva, meccanica e derisoria delle credenze e del comportameno di voto dell’elettore medio, oppure dei nostri oppositori politici. Questa immagine non è compatibile né con il rispetto che dobbiamo ai nostri concittadini, né con il riconoscimento dell’autorità e legittimità delle istituzioni democratiche.

È giusto chiedere trasparenza e pluralismo nel sistema dell’informazione; altra cosa, molto pericolosa, è screditare le scelte di milioni di elettori, o rivendicazioni e proteste sociali che mobilitano migliaia di persone, come il semplice esito della manipolazione, dell’ignoranza o di complotti stranieri.

 

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