Dicembre 1967: Elena e il marito partono per l’India nella regione del Gujarat, dove lui ha un contratto per insegnare tecnica dei cartoni animati in una scuola di specializzazione. Tornano dopo quattro mesi, l’Italia è arroventata dal movimento degli studenti ed è decisamente cambiata. Anche Elena è un’altra persona, quel viaggio l’ha messa di fronte a una realtà che non immaginava e che non le è possibile ignorare. Con un reportage in quattro puntate su «Vita dell’infanzia» racconta la sua India, quella che ha vissuto lei da privilegiata in una bella casa con cuoco e autista a disposizione e quella miserevole che ha incontrato nelle strade. Mentre il marito va a insegnare gira, osserva. Parla con le donne, si informa su come partoriscono, scopre che i neonati se sono femmine spesso vengono ammazzati alla nascita. Entra nelle scuole ed entra nelle case, per capire e raccontare. L’India è per lei quello che è stato il Sessantotto per molti, un punto di non ritorno. In quei mesi di lontananza dall’Italia ritrova anche il piacere della pagina bianca infilata nella macchina da scrivere. E non importa se il marito brontola quando la vede china sulla sua Olivetti, Elena sta cominciando a riappropriarsi dei suoi tempi, dei suoi desideri. Quando, qualche tempo dopo, il matrimonio finisce per lei è un grande dolore, «ma dopo pochi mesi sono risorta. Finalmente ero libera».

Germoglia in quegli anni Dalla parte delle bambine. Il Centro nascita Montessori è diventato il punto di riferimento per mamme in attesa e per coppie che vogliono capire come affrontare la «carriera di genitori» in modo diverso. Si organizzano corsi di preparazione al parto, si seguono le mamme a domicilio per alleviarle da dubbi e ansie, si promuovono corsi di formazione per nuovo personale. Elena è il motore di tutto. Con la sua passione per la scrittura e per i libri stimola la ricerca, la produzione di analisi e la raccolta sistematica di saggi e letteratura sull’infanzia. A palazzo Vidoni nasce una biblioteca che negli anni raccoglierà centinaia di volumi messi a disposizione di tutti. Ma l’attività diurna non basta più, la sera il Centro diventa punto d’incontro per dibattiti, conferenze, seminari. Sono gli anni in cui germogliano le idee, quelle che avrebbero movimentato gli anni Settanta. Dall’estero arrivano nuovi stimoli, si comincia a discutere di contraccezione, educazione sessuale, padri in sala parto, e si critica ferocemente la nuova «usanza» dell’allattamento artificiale che prende piede negli Stati Uniti. Elena legge Margaret Mead che per prima, già negli anni Trenta e sulla base di una sua ricerca sulle bambine delle isole Samoa, sosteneva che i ruoli sessuali erano più influenzati dai condizionamenti culturali che da quelli biologici. Ne rimane folgorata, le sue osservazioni sui bambini degli asili e le esperienze al Centro nascita confermano la teoria dell’antropologa americana. «Bastava ascoltare le chiacchiere delle future mamme che frequentavano i nostri corsi, la maggioranza si augurava di partorire un maschio». Il gioco delle aspettative, come scriverà nel primo capitolo del libro, inizia ancora prima che i bambini nascano.

In quel periodo nasce «La via femminile», il mensile di area radicale fondato da Luigi De Marchi, Adele Faccio e Guido Tassinari. Elena li conosce perché il Centro è in contatto con l’Aied e la rivista, alla quale viene invitata a collaborare, è una sua costola. In un suo scritto del luglio 1970, La donna che ride, già si percepisce dove è indirizzata la sua ricerca. Una donna tutt’al più sorride, scrive l’autrice, si accetta che sia spiritosa, che ridacchi, ma una bella risata certo non le si addice e lei non se la concede. Le cause di questo autocontrollo sull’umorismo hanno origine nella primissima infanzia:

“Tra la quantità di messaggi che i bambini raccolgono, e che in gran parte in maniera inconscia fanno propri, quelli che trasmettono il «codice» del comportamento sociale proprio di ciascun sesso sono particolarmente pesanti. Le sollecitazioni diverse cui i bambini sono sottoposti a seconda del sesso cui appartengono, sono destinate a produrre individui psicologicamente ben differenziati. A meno di due anni, maschi e femmine hanno già preciso il senso di appartenenza al proprio sesso. Ho sentito con le mie orecchie un bambino di poco più di due anni dire con tracotanza, a un’allibita vecchietta che aveva azzardato una carezza: «non mi toccare, io sono un maschio!». Il «ruolo» maschile o femminile, come si usa dire oggi, è già bell’e pronto a quell’età, calcificato per tutta la vita”.

È Guido Tassinari, appassionato editore di «La via femminile», a presentarla alla Feltrinelli. Elena ormai ha allargato le sue ricerche sulle origini dei condizionamenti che determinano gli stereotipi sessuali, vuole farne un libro e ha in mente il titolo, Dalla parte delle bambine. In via Andegari, sede della casa editrice milanese, la riceve il direttore editoriale Giampiero Brega: a lui consegna il materiale che ha già scritto. Non passano neanche tre giorni che Brega la chiama entusiasta: il libro sarà pubblicato. Lui stesso leggendo la prima parte ha capito di non essersi mai reso conto fino in fondo di come la società coltivi la «superiorità del maschio» sin da quando i bimbi muovono i primi passi. Ora Gianini Belotti ha delle consegne da rispettare per portare a termine il manoscritto: passa ore e ore negli asili, parla con le maestre, guarda e annota tutte le dinamiche che intercorrono fra loro e i piccoli. Osserva molto il rapporto che i bambini hanno con i giocattoli, registra che quando viene lasciata libertà di scelta ci sono bambine di un anno e mezzo che allineano su una pista le automobiline con la stessa concentrazione dei maschietti. Così come i maschietti possono passare una mattinata a fare il bucato o a lavare tavolini. Scriverà nel libro:

“Alcune madri particolarmente consapevoli dei condizionamenti cui i bambini vengono sottoposti fin dalla nascita in nome dei ruoli maschili e femminili e decise a mutare questa realtà, hanno evitato di offrire bambole alle loro figlie, preferendo invece dare loro animali di pezza. Non è alle bambine che vanno sottratte le bambole, ma dovrebbero, al contrario, essere offerte anche ai bambini; nello stesso tempo i padri dovrebbero occuparsi molto di più e da vicino e fin dai primi giorni dei loro figliolini d’ambo i sessi per dare a questi la visione reale e per niente scandalosa di una effettiva intercambiabilità dei ruoli padre-madre e offrire loro un modello di tenerezza maschile”.

Non fa sconti a nessuno l’autrice. Nel quarto capitolo, che affronta il problema delle istituzioni scolastiche, polemizza sulla scelta di usare il termine scuola «materna» per i bambini in età prescolare invece di scuola «infantile»: «La visione falsa e zuccherosa della maternità si accoppia alla visione altrettanto falsa, sentimentale e sdolcinata dell’infanzia. Si continua a vedere il bambino come un piccolo idiota innocente». Ma va al personale dei nidi e delle scuole materne il suo giudizio più severo, mettendo in dubbio la preparazione e la qualità delle insegnanti:

“L’insegnante non dovrebbe essere una persona che vive ai margini della vita, ma averla vissuta e viverla in pieno. Dovrebbe sentirsi sufficientemente realizzata e non fallita, provare amore per i suoi simili, e non ostilità e rancore. L’insegnante di scuola materna è per la maggior parte dei bambini il primo modello adulto, al di fuori dei genitori, da imitare e nel quale identificarsi; sarebbe quindi necessario che fosse un modello positivo”.

Quando il libro uscì alla Feltrinelli rimasero sorpresi: «Non immaginavano l’immediato successo che è stato», ricorda Gianini Belotti. Dopo una tiratura iniziale di poche migliaia di copie cominciarono subito a raffica le ristampe. Alla prima presentazione, alla libreria Feltrinelli di via del Babuino, relatrice Adele Cambria, non c’era un posto libero. Gli inviati dei settimanali del Nord calarono a Roma a intervistare l’autrice, su tutti i grandi quotidiani uscirono recensioni molto favorevoli. Giulia Borgese sul «Corriere della Sera» racconta il modello educativo proposto da Gianini Belotti nel libro, ma non resiste alla tentazione di tranquillizzare i suoi lettori più conservatori, forse timorosi di quel risveglio femminile che si avvertiva nella società: «Perché lo scopo non è già quello di creare una popolazione di femministe scatenate e pugnaci, bensì donne consapevoli».

 

[Questo testo è tratto da Dalla parte di una bambina. Elena Gianini Belotti, di Cristiana di San Marzano, uno dei contributi di Donne nel Sessantotto (Il Mulino, 2018)]