Elezioni europee: Danimarca. L’esito delle elezioni europee del 2009 in Danimarca modifica in profondità la composizione della compagine danese al Parlamento europeo.

Una delle conseguenze più significative del voto del 7 giugno è il declino dell’euroscetticisimo tradizionalmente dominato da movimenti extraparlamentari di sinistra. Ai tempo del “no” referendario al Trattato di Maastricht del giugno 1992 la principale formazione dichiaratamente anti-europea, era il Movimento di giugno, oggi caduto in disgrazia (dal 9% del 2004 all'attuale 2,3%) e per la prima volta senza seggi nell'Europarlamento (nel 2004 ne aveva uno). Più in salute, a sinistra, con il 7% dei voti e ancora in grado di mandare un rappresentante a Strasburgo, è il Movimento popolare contro l'Unione, unica formazione sulla scena politica danese che aveva come esplicito obiettivo l’abbandono dell’Ue da parte di Copenaghen. Il collasso dei movimenti anti-europei di sinistra è un effetto naturale di ciò che si potrebbe paradossalmente definire la progressiva “europeizzazione dell’euroscetticismo danese”. Quest’ultimo, spostandosi a destra ed essendo ormai rappresentato da formazioni del sistema politico parlamentare ordinario, ha perso la propria eccezionalità e rientra oggi nella norma europea. Tra i 13 rappresentanti danesi all’Europarlamento (uno in meno rispetto alle elezioni del 2004) votati dai 59,5% degli aventi diritto, la voce euroscettica dei danesi è oggi rappresentata in primo luogo dal del partito di estrema destra, il Dansk Folkeparti. Questa formazione, che fa parte della maggioranza parlamentare nazionale, ha riscosso un successo molto significativo radoppiando i consensi ed arrivando a oltre il 15% dei voti.
L’altro vincitore delle europee in Danimarca è il Partito popolare socialista che ha abbandonato la tradizionale euro-perplessità lanciando questa volta una campagna europea convinta focalizzando sulla necessità di un’Europa “più sociale” ma soprattutto sulla battaglia ambientale. Questa formazione politica, che non aveva mai conseguito più di un rappresentante nel Parlamento europeo, ha così conquistato il 15% dei consensi e 3 deputati, che vanno a collocarsi nel gruppo dei verdi europei. Come negli altri paesi Ue, anche i socialdemocratici danesi sono in difficoltà e scontano un calo di consensi pari a circa un terzo dei voti ottenuti nelle elezioni del 2004, arrivando al 21%. Va però sottolineato che per i socialdemocratici le elezioni del 2004 erano assolutamente eccezionali a causa della candidatura dell'ex primo ministro Poul Nyrup Rasmussen – l’attuale presidente del Partito socialista europeo – che aveva attirato un numero eccezionale di consensi sulla sua persona, portando i socialdemocratici al 32% dei voti complessivi. Inoltre, il partito mantiene quattro seggi nell’Europarlamento confermandosi come il partito danese con più rappresentanti.
Oltre al tradizionale bilancio dei vincitori e degli sconfitti è interessante soffermarsi su come la campagna elettorale del 2009 - a 37 anni dall’adesione di Copenaghen all’Ue - sia finalmente riuscita a sfuggire dalla vecchia trappola del dibattito sull’opportunità della stessa membership danese: i candidati hanno piuttosto discusso del futuro dell’Ue, sancendo una significativa euro-maturazione del confronto politico. Dal dibattito e dall’esito delle elezioni si può concludere che in Danimarca l’europeismo è ormai prevalente nonostante sia di natura spesso critica e poco entusiasta. Ciò si riflette anche nel fatto che il partito più europeista in assoluto – il partito radicale di centro – è rimasto per la prima volta fuori dall’Europarlamento. La generale convergenza verso un europeismo di stampo pragmatico ha avuto un impatto particolarmente forte tra i conservatori e i liberali attualmente al governo. Mentre la quota del loro elettorato è rimasta sostanzialmente stabile tra le elezioni del 2004 e quelle del 2009, l’atteggiamento di questi partiti verso l’Europa si è un poco raffreddato. Il candidato capofila dei liberali, Jens Rohde, ha motivato la propria candidatura con lo slogan “perchè l’Europa ascolti la voce della Danimarca”. Interpretato alla luce dell’euroentusiasmo esuberante degli anni Novanta - quando l’allora leader del partito liberale, l’ex ministro degli Esteri Uffe Elleman-Jensen acquistò celebrità per le sue “calze europee”, ovvero le calze blu con le dodici stelle - questa affermazione illustra meglio di ogni altra il tortuoso europeismo intrapreso dai partiti al governo dal 2001.