I danni causati dai gas a effetto serra non si limitano al territorio governato da Trump. Anzi, la caratteristica essenziale del cambiamento climatico è che certi Paesi sono responsabili dei danni e certi altri ne saranno vittime – inondazioni, desertificazione, aumento di eventi climatici estremi colpiranno l'Africa e l'Asia, e forse anche l'Europa meridionale. Una parte del cambiamento climatico è già avvenuta, o è in corso. Per quanto si faccia, non è detto che si possa arrestare il processo: si può però rallentarlo e posticiparlo. Per questo, più si fa – più incisive sono le misure tese a diminuire la produzione di gas serra – meglio è.

Questo è il quadro di cui si deve tenere conto quando si riflette sul significato delle decisioni di Trump di ritirare il suo Paese dal Trattato di Parigi e sulla plausibilità delle dichiarazioni rese dal ministro Galletti al vertice di Parigi del 12 dicembre scorso. Si può fare a meno degli Stati Uniti nella lotta al cambiamento climatico, come sembrerebbe suggerire Galletti? Sì e no. Sì, perché non sono certo solo gli States a essere responsabili dell'emissione di gas serra – la Cina, naturalmente, e l'India sono fra i maggiori responsabili. E non è detto che uno sforzo comune di molti grandi Paesi non possa essere sostanziale, se gli Stati Uniti rimanessero l'unica eccezione. E, naturalmente, la creazione di un mercato di energie alternative può essere un volano formidabile, che farebbe rientrare gli Stati Uniti nella partita – perché laddove non c'è un impegno del governo, ci possono essere imprenditori privati che danno un contributo alla decarbonizzazione del resto del mondo fornendo la tecnologia necessaria. Questo esito è inevitabile, in realtà: se si creerà un mercato effettivo – cioè con margini di profitto reali – per le energie alternative e le tecnologie connesse alla decarbonizzazione, la scienza e l'industria statunitensi, insieme a quelle europee e probabilmente cinesi e indiane, non potranno restarne fuori.

Ma da un'altra prospettiva degli Stati Uniti non si può fare a meno, per ragioni politiche e morali. Il cambiamento climatico produce danni a vittime innocenti, e questi danni derivano da attività che sono di beneficio per alcuni, ma non per altri. C'è un aspetto etico-politico ovvio in tutto questo. Chi danneggia altri e trae vantaggio dall'infliggere danni ha doveri di riparazione. Immaginiamo che un gruppo di persone rompa un vaso e ne lasci i cocci in un giardino pubblico. Dopo un po' di tempo, un passante che si trova ad attraversare il parco si ferisce a un piede. Qual è la reazione moralmente appropriata? È lecito per uno di quelli che hanno rotto il vaso sottrarsi all'indennizzo da pagare? Può darsi che la defezione unilaterale di uno dei colpevoli non abbia troppi effetti – l'indennizzo potrebbe essere pagato dai volenterosi rimanenti. Oppure, ci potrebbe essere un mercato di assicurazioni, o di cure per piedi feriti, da cui trarre un risarcimento e una medicazione per il malcapitato passante. Ma anche se tutto questo fosse vero, sarebbe plausibile sostenere che l'indennizzo e le medicazioni dovrebbero invece essere pagati dai responsabili – da tutti i responsabili, e non solo da alcuni.

Si può obiettare che l'analogia fra questo caso immaginario e il cambiamento climatico è imperfetta. Si potrebbe dire, ad esempio, che quella di sottrarsi agli obblighi previsti dal Trattato di Parigi sia una decisione legittima degli elettori statunitensi, o almeno di una maggioranza di essi. Ma se c'è una parte dell'analogia che regge, quest'appello alla democrazia non può essere decisivo. Se il cambiamento climatico è un danno, gli elettori non hanno il potere di sottrarre il loro Paese alle sue responsabilità.

Ritorniamo al caso immaginario, e assumiamo che ci sia una parte di coloro che hanno rotto il vaso che decidono di sottrarsi al pagamento dell'indennizzo dopo aver votato se farlo o no, e che la loro decisione sia presa a maggioranza o all'unanimità. Questo non renderebbe legittima o scusabile la loro defezione. Se un singolo o un gruppo producono un danno, il dovere di risarcire le vittime non può essere oggetto di decisione autonoma: non si decide sui propri doveri – o almeno non si decide su certi doveri. Il dovere di non ledere gli altri e quello di riparare se li si lede non sono frutto di un accordo, come il dovere di mantenere le promesse. Sono doveri che chiunque ha perché corrispondono a un diritto – il diritto a non subire danni – che tutti hanno. Che la mitigazione del cambiamento climatico sia oggetto di accordi internazionali fra Stati non significa che il dovere di riparare ai danni prodotti dall'industrializzazione sia un dovere che si può decidere se assumersi o meno. L'accordo serve a decidere la ripartizione dei costi, o le procedure per pagarle, non a stabilire se si deve fare qualcosa. A questi accordi, in realtà, da un punto di vista morale, non ci si potrebbe sottrarre. Per queste ragioni, anche se fosse possibile farne a meno, la partecipazione degli Stati Uniti agli sforzi di mitigare il cambiamento climatico è doverosa, e il governo Trump, con la complicità dei suoi elettori, sta venendo meno ai doveri stabiliti dall'etica e dalla politica.

 

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