“Mezz’ora in meno fra Roma e Milano”: così squilla il titolo a cinque colonne del “Corriere della Sera” il 25 febbraio 1977, nelle pagine della cronaca interna. Il giorno precedente è stata inaugurata la prima tratta della linea ferroviaria “direttissima”. Poco meno di centoquaranta chilometri realizzati in quasi sette anni, al costo di circa trecento miliardi dell’epoca, tra le località di Roma Settebagni e Città della Pieve. È il primo tassello della nuova infrastruttura ferroviaria progettata dai primi anni Sessanta dagli uffici tecnici delle Fs per velocizzare il trasporto su ferro di persone e merci lungo l’itinerario Firenze-Roma.

Un progetto che nasce dalla consapevolezza di dover modernizzare le linee e ridurre i tempi di percorrenza dei treni tra le maggiori città del Paese, in particolare sull’asse che collega Milano a Napoli, per contrastare la concorrenza dell’autotrasporto. Negli anni della poderosa spinta industriale al boom economico, i bilanci pubblici premiano le infrastrutture autostradali e incentivano la motorizzazione individuale, mentre l’intero comparto ferroviario risente negativamente della sua situazione di staticità e arretratezza, perdendo inesorabilmente quote del traffico passeggeri e merci. Nello stesso periodo, tuttavia, l’esempio giapponese del “treno proiettile” Shinkansen apre la strada a nuovi scenari. Il bolide, capace di percorrere nell’ottobre 1964 la linea veloce Osaka-Tokyo a oltre 200 km/h di media, oltre ad affascinare l’opinione pubblica mondiale, dimostra che la mobilità collettiva su ferro, se riconfigurata su nuovi standard tecnologici, può continuare a rappresentare un’indiscutibile chiave di sviluppo e può soprattutto alimentare una concorrenza virtuosa con auto e aerei sulle distanze medio-lunghe.

A leggere le specifiche tecniche, gli attributi del progetto “direttissima” qualificano tale tracciato come “linea ad alta velocità”, la prima in Europa a poter vantare simili caratteristiche e idonea a far correre treni, su alcune tratte, fino a 250 km/h. Peccato che il primato resti scritto, a lungo, sulle carte dei capitolati d’appalto. Tra programmi integrativi, revisioni dei progetti esecutivi e varianti in corso d’opera la “direttissima” Roma-Firenze trova il suo completamento solo nel maggio 1992, più di vent’anni dopo l’apertura dei primi cantieri.

Tra programmi integrativi, revisioni dei progetti esecutivi e varianti in corso d’opera la “direttissima” Roma-Firenze trova il suo completamento solo nel maggio 1992, più di vent’anni dopo l’apertura dei primi cantieri

Nel frattempo, il Tgv francese è operativo da oltre un decennio con linee e veicoli che rivoluzionano il concetto di trasporto ferroviario nel vecchio continente. Mentre i treni italiani ad alta velocità restano al palo. Fino alla metà degli anni Ottanta non si ha sostantiva evoluzione nei progetti e nei prototipi di elettrotreni con velocità superiori ai 200 Km/h messi a punto dagli uffici tecnici e dalle officine delle Fs. La ripresa dell’interesse denota incertezze strategiche. Fs incentiva, contestualmente, due differenti programmi di sviluppo tecnologico: uno “conservativo”, basato sulla utilizzazione delle linee convenzionali esistenti e la commercializzazione di un treno a cassa oscillante (l’Etr 450 “Pendolino”), capace di percorrere a velocità elevate, su quelle stesse linee, raggi di curvatura stretti; l’altro programma è invece innovativo e si impernia sulla progettazione e messa in opera di un treno di nuova concezione (Etr 500), dotato di apparati tecnologici in grado di sostenere velocità prossime o superiori ai 250 km/h su linee appositamente dedicate.

Nel 1986 è costituito, al fine di eseguire la progettazione tecnica e dar luogo alle procedure sperimentali dell’Etr 500, il Consorzio Trevi (Treno veloce italiano), formato dai maggiori gruppi domestici dell’industria elettromeccanica (Breda, Abb-Tecnomasio, Ansaldo, Fiat, Firema). Dieci anni dopo, la prima generazione di Etr 500 entra in servizio nella flotta Fs, dove opera congiuntamente ai consolidati Etr 450, i cui progetti e la cui messa in opera sono affidati agli stabilimenti Fiat di Savigliano. Il nuovo tracciato ad alta velocità in sede riservata apre al traffico commerciale solo nel dicembre 2008, lungo la linea Milano-Bologna. L’anno successivo è la volta delle tratte Bologna-Firenze e Roma-Napoli-Salerno. Tra il capoluogo toscano e la capitale il collegamento è garantito dalla “direttissima”, in grado di ospitare treni veloci sin dal 1992.

L’evoluzione tecnologica dei treni ad alta velocità nel nostro Paese racconta una “storia italiana”. E non a caso, si potrebbe aggiungere, visto che la logica di sviluppo degli apparati tecnologici di trazione ferroviaria ha sempre visto in primo piano, sin dai tempi della nazionalizzazione, il Dipartimento materiale rotabile delle Fs, quantomeno nella fase di formulazione e progettazione delle specifiche funzionali. Accanto a (e in dipendenza di) quello, con legami che hanno via via assunto carattere simbiotico, si è dispiegata la placida crescita dell’industria ferroviaria domestica, protetta dalla garanzia che la produzione industriale sarebbe stata assorbita dall’ente ferroviario pubblico attraverso il perpetuarsi del modello delle “quote storiche”, ossia di ordinativi cadenzati, assegnati a pioggia alle aziende nazionali mediante lo strumento della trattativa privata.

L’avvento dell’alta velocità genera cambiamenti epocali nell’ambiente tecnologico ferroviario italiano, determinando una riconfigurazione del rapporto tra esercente nazionale e costruttori ferroviari secondo un modello più adatto all’innovazione e alla ricerca. Il tutto con un sensibile ritardo rispetto alle maggiori imprese straniere, in particolare francesi e tedesche, le quali cominciano a operare alacremente sui mercati dell’alta velocità dai primi anni Ottanta, imponendo, di fatto, gli standard tecnologici del prodotto.

L’avvento dell’alta velocità genera cambiamenti epocali nell’ambiente tecnologico ferroviario italiano, determinando una riconfigurazione del rapporto tra esercente nazionale e costruttori ferroviari

A innescare il cambiamento è la normativa europea. Innanzitutto la regolazione della concorrenza ferroviaria, la quale obbliga, dai primi anni Novanta, l’indipendenza degli enti di esercizio, ricondotti entro un regime di competizione sul libero mercato; la separazione societaria della gestione delle infrastrutture da quella di produzione e vendita dei servizi di trasporto; il diritto di accesso alle reti nazionali da parte di singole imprese o di raggruppamenti internazionali di imprese ferroviarie; la creazione di un’autorità di regolazione, vigilanza e garanzia del mercato ferroviario. Accanto a ciò, l’Ue vara un poderoso programma di sviluppo integrato delle reti di trasporto trans-europee (progetto Ten-T) che contempla, tra i suoi obiettivi, il finanziamento dell’alta velocità europea in direzione Nord-Sud ed Est-Ovest lungo diversi corridoi internazionali che interessano anche le linee italiane ad alta velocità. Insomma, una rivoluzione gestionale e una montagna di risorse che, insieme, mettono il turbo all’alta velocità italiana.

Fra intrecci politico-affaristici, crisi finanziarie, ripensamenti e ritardi progettuali, problemi di sostenibilità ambientale e conflitti territoriali, la rete italiana dell’alta velocità ammonta oggi a più di 1.400 km su cui corrono circa 220 collegamenti giornalieri di treni Frecciarossa (l’evoluzione dell’Etr 500) esercitati dal gestore pubblico Trenitalia e oltre 110 corse quotidiane di treni Italo, appartenenti all’azienda privata Nuovo trasporto viaggiatori ed equipaggiati dall’industria francese Alstom.

Grazie a questa offerta di trasporto, il viaggiatore impiega meno di tre ore per percorrere la tratta Roma-Milano, circa la metà del tempo necessario nel 1977, quando si inaugurò il primo tronco della “direttissima”. La concorrenza tra i vettori ha inoltre incrementato notevolmente la domanda degli utenti. Considerati gli altri aspetti innovativi “a caduta” legati a tale percorso di sviluppo – dall’ammodernamento dei principali nodi infrastrutturali all’introduzione dei treni “ad alta frequentazione” sulle linee suburbane – si può dire che l’alta velocità, al netto dei suoi ritardi e dei suoi costi astronomici, abbia guidato il sistema ferroviario nazionale a una svolta che ne segnerà per sempre il futuro. Per dirla con le chiare parole di Stefano Maggi (Le ferrovie, Il Mulino, 2003, p. 238) “un mutamento così repentino e profondo da non essersi mai registrato prima in un secolo e mezzo di presenza del treno nella società italiana”.