Anche in televisione, molte cose (ri)cominciano a settembre. Ogni anno parte la nuova stagione dopo la pausa estiva, con i volti più noti e i titoli di punta; e a volte si aggiungono reti e offerte. Il primo giorno di settembre del 1997 è stata così la data prescelta per il lancio di Mtv Italia, edizione locale e localizzata della prima e più conosciuta rete musicale del mondo. L’inizio delle trasmissioni italiane, invece che a un videoclip, è stato affidato a un concerto: quello registrato qualche anno prima, nel 1993, dai Nirvana a New York, davanti alle telecamere del programma Mtv Unplugged, e già «storico» per molteplici ragioni sia musicali sia extra-musicali. E più delle canzoni del gruppo, è forse The Man Who Sold the World di David Bowie cantata da Kurt Cobain ad alludere (inconsapevolmente?) ad alcuni tratti che avevano già caratterizzato l’emittente altrove, e lo faranno anche in Italia: il rapporto sfacciato (e rivoluzionario) con la popular music, l’attenzione al brand, lo sguardo commerciale, le ambizioni globali.

La storia, anche italiana, di questa rete era in realtà già piuttosto ampia e articolata. Mtv era nata negli Stati Uniti il primo agosto 1981 – primo videoclip, profetico, Video Killed the Radio Star dei Buggles – come canale via cavo, inserito nei bouquet di reti a pagamento e dedicato interamente alla musica (music television, appunto): prima con un flusso continuo di video, pubblicità e altri contenuti brevi, una specie di radio visuale; poi inserendo in palinsesto programmi veri e propri, musicali e non solo, sempre rivolti però a un preciso target adolescenziale e giovanile e con una forte attenzione alla sperimentazione di forme, linguaggi e contenuti che non c’erano altrove; e dopo ancora, alla fine del decennio, uscendo dai confini statunitensi per coprire altri Paesi, dall’Australia al Brasile, al Giappone. Il primo agosto 1987 è stata lanciata Mtv Europe, con sede ad Amsterdam, poi a Londra – primo video, Money for Nothing dei Dire Straits, che nel testo cita esplicitamente Mtv –, in una localizzazione flebile che resta centrata su musica e popular culture anglosassoni, americane e britanniche, e sulla lingua inglese, e in questo trova sia il principale elemento di novità sia il suo limite più evidente, ipotizzando una gioventù paneuropea e un linguaggio universale ideali che nella realtà sono però più complessi e sfuggenti; il segnale che arriva via satellite è unico per tutta Europa, ma ogni luogo risponde in modo diverso. Del resto già dall’aprile 1984 in molte regioni italiane si poteva vedere, in chiaro, un’altra localizzazione di Mtv, con la ripresa dell’identico modello di videoclip, programmi musicali e linguaggio giovane da parte di VideoMusic, fondata da Pier Luigi Stefani e Marialina Marcucci, ricalcata se non clonata nel logo e nel concept dalla rete americana, inevitabilmente più attenta al panorama musicale locale. La vera Mtv arriva in Italia dal 1991, con la messa in onda del segnale europeo per alcune ore al giorno da parte di varie reti locali, e in modi più strutturati nella primavera 1995, occupando per tutto il pomeriggio (dalle 13 alle 19) e la notte (dalle 24 alle 7 del mattino) il palinsesto del terzo canale della prima pay tv italiana Telepiù, che passava per l’occasione da criptato a visibile, dando spazio a rotazioni di videoclip, classifiche, contenitori.

La vera Mtv arriva in Italia dal 1991 e in modi più strutturati nella primavera 1995, ma è nell'autunno 1997 che cambia tutto: dal segnale internazionale standard si passa a una programmazione confezionata appositamente per gli spettatori italiani

Nell’autunno 1997 cambia tutto. Dal segnale internazionale standard si passa a una programmazione confezionata appositamente per gli spettatori italiani, miscelando contenuti stranieri e prodotti originali, aprendo la selezione musicale al pop e al rock nostrani, sottotitolando e doppiando tutto. Un accordo con l’editore Alberto Peruzzo porta Mtv Italia a trasmettere sulle frequenze di Rete A per 22 ore e mezza al giorno, lasciando il resto a televendite e notiziari. A Milano si stabilisce una struttura produttiva locale, che dà origine a nuovi programmi o alle versioni italiane di programmi storici (come Select e Total Request Live). Diretta da un giovane professionista, Antonio Campo Dall’Orto, e animata da veejay che uniscono competenza musicale a uno sguardo più fresco (Enrico Silvestrin, Camila Raznovich, Andrea Pezzi, Victoria Cabello, Daniele Bossari, Kris&Kris, tanti altri), Mtv nella versione italiana diventa più indipendente, organizzando eventi sul territorio, dando visibilità a gruppi e artisti emergenti, ospitando in concerti e speciali le grandi star, realizzando programmi non strettamente musicali. Dal primo maggio 2001, con la cosiddetta Mtv Regeneration, questo processo si consolida, occupando le più pregiate frequenze di Tmc2, allora proprietà di Telecom Italia, e sostituendo quello che restava di VideoMusic: Mtv Italia diventa parte appieno del panorama televisivo nazionale, integrata con il territorio, in dialogo con un pubblico giovane, pronta ad allargarsi in chiave più trasversale.

La fine degli anni Novanta e il primo decennio dei Duemila sono gli anni d’oro della rete, che si presenta come fortemente innovativa, che anticipa il successivo fiorire di proposte tematiche, che contamina coi suoi volti e linguaggi anche le più paludate Rai e Mediaset, che segna l’immaginario di alcune generazioni. Solo in seguito i profondi cambiamenti dello scenario televisivo e mediale italiano, con Sky, il digitale e ora le piattaforme, «normalizzeranno» Mtv, portandola via dalla musica e moltiplicandola in più testate specializzate su singoli generi, svelando dati d’ascolto inferiori alle attese, fino alla vendita a Sky dell’ottavo canale nel 2015 e poi all’approdo in esclusiva sul satellite. Dopo almeno un decennio di fuochi d’artificio, Mtv diventa una rete tra le tante.

Se la vicenda complessiva dell’emittente descrive una specie di parabola, è però innegabile che lungo il tragitto Mtv Italia abbia indicato con chiarezza, e in parte indichi tuttora, alcune traiettorie generali della tv e della comunicazione contemporanea

Se la vicenda complessiva dell’emittente descrive una specie di parabola – dalla semplice riproposizione di modelli e segnali dall’estero alla solida presa sul panorama musicale e giovanile italiano, dal centro di sperimentazione permanente e «apertura al mondo» dello scenario mediale nazionale al posizionamento più defilato –, è però innegabile che lungo il tragitto Mtv Italia abbia indicato con chiarezza, e in parte indichi tuttora, alcune traiettorie generali della tv e della comunicazione contemporanea. Quello che era avanguardia è spesso diventato la regola. Mtv per prima, nel mondo e qui da noi, ha portato avanti con forza un’estetica del frammento, con flussi ampi di contenuti molto brevi: i videoclip, per forza lunghi quanto una canzone, ma anche rapide news, sketch comici, lanci veloci, programmi sempre in qualche misura «spacchettabili», a catturare i lampi di un’attenzione mutevole già prima dei social e di YouTube, che del resto ne ha preso il posto nella circolazione contemporanea delle canzoni. Mtv, poi, ha messo in evidenza l’importanza del brand, della costruzione di un marchio riconoscibile e di una proposta capace di distinguersi tra le altre e, ancora, di catturare l’attenzione: poche altre reti prima di allora avevano curato altrettanto il loro look-and-feel, dal disegno del logo ai testi interstiziali che separano e allo stesso tempo cuciono insieme i frammenti della programmazione.

Fin dai primi passi gli ident sono opere di (video)arte, in cui il marchio della rete si imprime ovunque, dalle ali di una farfalla allo sbarco dell’uomo sulla luna, e così gli slogan, i promo martellanti, i suoni e i colori, l’esondazione negli spazi reali per concerti ed eventi; e tanti altri media prenderanno appunti. Mtv, ancora, ha saputo ritagliare con grande precisione una fetta di pubblico e a questo target orientare i suoi linguaggi e la sua offerta, sviluppando una tematicità legata prima a un oggetto, la musica, e poi a una fascia d’età adolescenziale e giovanile, presentandosi come un fenomeno generazionale; dall’ampio bacino della generalista, universale per definizione, la televisione tematica seleziona solo qualcuno, si distingue dal mucchio, personalizza.

La partenza e l’evoluzione di Mtv Italia, infine, hanno mostrato quanto sia sempre necessario, e insieme difficile da raggiungere, un giusto compromesso tra globale e locale, un equilibrio tra cosmopolitismo e territorio, seguendo il motto dell’azienda: «think globally, act locally». Gli spettatori sono colpiti e attirati dal nuovo, dal diverso, da ciò che li connette a una platea internazionale di simili, ma allo stesso tempo poi restano se questo si aggancia alla loro realtà quotidiana, al posto e alla cultura che abitano. I tentativi di un unico canale globale, o anche soltanto europeo, si sono infranti contro la molteplicità di lingue e immaginari, contro le differenze di sistemi mediali sempre nazionali, contro la necessità di coinvolgere artisti, notizie, volti, sapori italiani.

Per funzionare nei suoi moduli, per consolidare il suo marchio, per raggiungere il suo target, la rete globale per eccellenza ha dovuto scendere a patti con il pubblico di più lingue e più nazioni, costruire edizioni e centri di produzione locali, operare mediazioni costanti che han fatto sì che un solo brand racchiudesse offerte uguali e sempre diverse. Quello che oggi fanno Netflix e le piattaforme digitali, personalizzando i cataloghi e proponendo titoli originali italiani, è sulla scia piena dei tentativi, degli errori e delle soluzioni sperimentate, venticinque anni fa, dalle tante Mtv.