Il processo democratico di formazione della nuova amministrazione ha mosso i suoi primi passi già alla vigilia dell’inaugurazione presidenziale del 20 gennaio, che verrà ricordata per le duecentomila bandiere sistemate al posto del pubblico e per il messaggio di forte unità rivolto da Joe Biden al popolo americano e al mondo intero, dopo il drammatico assedio di Capitol Hill istigato dal presidente uscente.

Il giorno precedente il giuramento, i primi cinque membri del nuovo esecutivo scelti da Biden erano stati inviati in Senato per le audizioni che preludono alla conferma della nomina in Senato, come previsto dalla Costituzione: Janet Yellen (segretaria del Tesoro) Antony Blinken (Dipartimento di Stato), Avril Haines (direttrice della National Intelligence), Alejandro Mayorkas (Homeland Security) e Lloyd Austin (segretario alla Difesa).

Donald Trump aveva ottenuto già due conferme prima del giuramento, Barack Obama addirittura sei.

Joe Biden ha preferito ritardare l’inizio delle procedure anche per attendere la certificazione ufficiale della vittoria dei due senatori eletti in Georgia nei runoff di inizio gennaio, Jon Ossoff, il più giovane senatore mai eletto, e Raphael Warnock, primo senatore afroamericano a prevalere in uno Stato del Sud.

Nel frattempo è stata formalizzata la nomina di Alex Padilla, segretario di Stato della California figlio di immigrati messicani e primo ispanico a rappresentare lo Stato in Senato, come rappresentante democratico subentrante a Kamala Harris.

Con l’elezione a vicepresidente Harris è diventata, come da Costituzione, presidente del Senato, con diritto di voto in caso di parità, una prerogativa decisiva in un equilibrio che fino alle elezioni di midterm del novembre 2022 vedrà fronteggiarsi 50 democratici e 50 repubblicani.

Con l’elezione a vicepresidente Harris è diventata, come da Costituzione, presidente del Senato, con diritto di voto in caso di parità, una prerogativa decisivaLa precaria maggioranza democratica in Senato che dovrà ottenere la conferma delle nomine ai dipartimenti nelle prossime settimane sarà ulteriormente messa alla prova con il voto sul secondo impeachment al presidente uscente dove sarà necessaria una maggioranza qualificata di 2/3 e con l’approvazione del gigantesco piano di stimoli economici da 1.900 miliardi.

Il piano è stato presentato in Senato sempre nel giorno delle prime audizioni dei nuovi nominati proprio dalla segretaria al Tesoro in pectore, Janet Yellen, già al vertice della Federal Reserve dal 2014 al 2018 e del White House Council of Economics Advisers per l’amministrazione Clinton, che diventerebbe la prima donna alla guida del Dipartimento del Tesoro dopo esser passata alla storia come prima presidente della banca centrale americana.

Antony Blinken, prossimo Segretario di Stato, è considerato uno dei fedelissimi del neopresidente, avendo lavorato fianco a fianco con Biden nella Commissione Esteri del Senato dal 2002 al 2008 prima delle nomine a sottosegretario di Stato e vice Consigliere alla Sicurezza Nazionale per l’amministrazione Obama. Quella di Antony Blinken che è stato anche Consigliere alla Sicurezza Nazionale dell’allora vicepresidente Biden è una nomina che manifesta la volontà della nuova amministrazione di rimettere al centro della strategia americana la diplomazia e i rapporti con gli alleati dopo quattro anni di America First e di ostentato unilateralismo. Preannunciano un ritorno al passato anche le nomine di Jake Sullivan, già National Security Adviser di Joe Biden e vice capo di Gabinetto dell’ex segretaria di Stato Hillary Clinton, che dovrebbe giurare come Consigliere alla Sicurezza Nazionale, di William Burns, presidente del think tank Carnegie Endowment for International Peace, con una carriera da funzionario del Dipartimento di Stato e ambasciatore, in Russia e Giordania, nominato come direttore della Cia, e di Linda Thomas-Greenfield, diplomatica con decenni di esperienza e sottosegretaria al Bureau of African Affairs designata come ambasciatrice alle Nazioni Unite, una carica già ricoperta da un’afroamericana, Susan Rice, che nella prossima amministrazione sarà a capo del Domestic Policy Council.

Un’altra navigata esperta con alle spalle prestigiosi incarichi nelle amministrazioni Obama e al fianco di Joe Biden nella Commissione Esteri del Senato, Avril Haines sarà invece la prima donna a guidare la National Intelligence.

Un’altra navigata esperta con alle spalle prestigiosi incarichi nelle amministrazioni Obama e al fianco di Biden, Avril Haines sarà la prima donna a guidare la National IntelligenceAltre due nomine storiche e dalla portata fortemente simbolica sono quelle degli altri due futuri segretari-chiave convocati in Senato per le prime audizioni.

Alejandro Mayorkas, nominato a capo della Homeland Security che include le deleghe al controllo dei confini in materia di immigrazione e all’anti-terrorismo, diventerebbe il primo segretario del dipartimento di origini ispaniche, dopo aver diretto durante l’amministrazione Obama una delle agenzie dello stesso dicastero, la U.S. Citizenship and Immigration Services.

Lloyd Austin, ex generale con quattro stelle al valore, dopo essere stato nominato da Barack Obama come vertice del comando centrale americano dal 2013 al 2016, potrebbe diventare il primo afroamericano alla guida del Pentagono, una scelta dalla portata storica che per qualche settimana sembrava toccare anche al Dipartimento di Giustizia, prima della nomina di Merrick Garland. Tra gli altri afroamericani scelti da Biden figurano Marcia Fudge, all’Housing and Urban Development, Cecilia Rouse, per il Consiglio degli Affari Economici e Michael Ragan, primo amministratore afroamericano dell’Agenzia per la Protezione Ambientale, un incarico chiave nella svolta ambientale preannunciata dal ticket Biden-Harris, come testimonia la nomina di uno dei personaggi più in vista del partito democratico, già candidato presidenziale, John Kerry, inviato speciale della Casa Bianca per il clima. Non è un caso che tra i primi ordini esecutivi preannunciati dal nuovo presidente compare quello sul ritorno degli Stati Uniti nell’accordo di Parigi.

Le scelte di Biden sembrano dunque cercare la mediazione e la coesione interna dopo quattro anni di continui cambi e avvicendamenti nell’amministrazione Trump, ma guardano come mai in passato all’inclusività (Rachel Levine sarà la prima sottosegretaria alla Sanità transgender) e al coinvolgimento di rappresentanti delle minoranze, come dimostra invece la nomina della prima segretaria di origini native americane, Deb Haaland, designata a capo degli Interni, di altri tre esponenti di origine ispanica, Xavier Becerra (Health and Human Services), Miguel Cardona (Istruzione) e Isabel Guzman (Small Business Administrator) e delle prime due donne di origini asiatiche, a capo dell’Office of Management and Budget (Neera Tanden) e come Rappresentante per il commercio internazionale americano (Katherine Tai).

L’amministrazione della prima vicepresidente donna della storia avrà, se tutte le nomine saranno confermate dal Senato, il 50% di esponenti non-white, una percentuale davvero eclatante se consideriamo come la stessa percentuale nei quattro anni di Trump fosse appena del 16% e negli otto anni di Obama del 42%.