Sì o no? Difficile dare in questo referendum una risposta sicura in grado di cogliere, al di là dello scontro politico contingente, la sostanza costituzionale della scelta. Scelta che si collega a un problema istituzionale antico qual è quello del rapporto tra rappresentanza ed efficienza, cui le assemblee parlamentari, in ragione della loro struttura e delle loro funzioni, son tenute a provvedere. Questo problema era già emerso all’Assemblea Costituente, dove Terracini (sostenuto da Togliatti) sottolineava che “quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitare il numero dei componenti”. Rilievo cui Einaudi (sostenuto da Nitti) replicava con forza che “non occorre che i legislatori siano tanti”, dal momento che “più si aumentano le Assemblee di numero più si rendono inefficaci”.

Il problema di fondo che il prossimo referendum mette in campo risulta, quindi, nella sostanza lo stesso e non è tale, in assenza di parametri ideali, da offrire risposta alla domanda se la riduzione nel numero dei parlamentari rappresenti nelle condizioni date un “taglio della democrazia”, ovvero un mezzo per incrementare l’efficienza e il peso politico del nostro Parlamento.

Ciò detto, resta d’altro canto il fatto che questa riforma è ormai giunta al suo traguardo finale e tutto lascia pensare che la partita risulti ormai giocata a favore del “sì”. Per questo oggi anziché indugiare intorno alle astratte ragioni della scelta risulta sicuramente più realistico portare l’attenzione sui possibili effetti che questa riforma, una volta approvata, sarà in grado di determinare. Effetti che, come è agevole prevedere per la stessa natura della riforma, si verranno a manifestare tanto nel breve periodo (per gli adattamenti indispensabili e immediati che la riforma viene a imporre) quanto sulle lunghe distanze (per le trasformazioni lente che il nuovo funzionamento delle Camere verrà nel corso del tempo a determinare negli equilibri della forma di governo).

Un effetto immediato – di cui oggi già molto si parla – sarà quello connesso al necessario adeguamento dei regolamenti parlamentari al fine di adattare le strutture interne (gruppi parlamentari, Commissioni, Giunte ecc.) e i quorum di funzionamento (nel procedimento legislativo e nelle attività di controllo) alla composizione ridotta (di oltre un terzo) di ciascuna Camera. È evidente che le Camere dovranno affrontare questo problema immediatamente anche se l'entrata in vigore dei nuovi regolamenti decorrerà dall'inizio della nuova legislatura. Altro effetto diretto e immediato sarà poi quello (già al centro del dibattito politico) della revisione dell'attuale legislazione elettorale tanto al fine di rivedere il disegno dei collegi elettorali quanto al fine di garantire alle minoranze uno spazio di rappresentanza che la riduzione dei parlamentari verrà inevitabilmente a comprimere.

Ma al di là degli effetti immediati, molto più rilevanti si presentano, a mio avviso, gli effetti di lunga durata che, con un alto margine di probabilità, questa riforma sarà in grado di determinare. Effetti intorno a cui si verrà in definitiva a giocare il bilancio, positivo o negativo, della stessa riforma ove si venga ad assumere come suo obiettivo il miglioramento della funzionalità e l’accrescimento del peso politico del Parlamento nella nostra forma di governo. Questi effetti di lunga durata si collegano naturalmente al varo di quelle ulteriori riforme costituzionali il cui esame è già iniziato nel corso di questa legislatura (equiparazione dell’elettorato attivo e passivo delle due Camere e superamento del limite regionale per i collegi senatoriali) o di cui oggi si comincia a parlare con riferimento alla possibile valorizzazione di un’azione congiunta o coordinata tra le due Camere fondata sull’unità dell’organo parlamentare e realizzata attraverso l’ampliamento delle competenze del Parlamento in seduta comune, il maggior impiego delle Commissioni bicamerali, l’unificazione di alcune strutture serventi ecc.

Il percorso per l’attuazione di queste riforme risulterà favorito e molto facilitato proprio dalla riduzione dell’impianto strutturale di ciascuna Camera oggetto della riforma in corso di approvazione e verrà anche inevitabilmente ad aprire la strada verso la prospettiva del superamento del bicameralismo paritario, la cui inutilità risulterà sempre più evidente a mano a mano che progredirà il processo in atto di avvicinamento strutturale tra le due Camere. Prospettiva che sulle lunghe distanze potrebbe anche trovare il suo approdo ultimo nel modello monocamerale.

La difficoltà della scelta che il referendum pone nasce, dunque, dal fatto che lo stesso sorregge una riforma che è sì “puntuale”, ma non “piccola” per la carica di potenzialità che presenta sia sulle brevi sia sulle lunghe distanze.