E tu, che referendario sei? Un conservatore duro e puro della Costituzione-più-bella-del-mondo oppure un accecato riformatore che non vede l’ora di abbattere il mito dell’intangibilità della Carta costituzionale nata dalla Resistenza? Sei un pentito, rimasto scottato dall’esito dell’ultimo referendum del 2016, o un devoto cultore del riformismo costituzionale, disposto a sacrificare un po’ di etica della convinzione per tirare a campare?

Mentre, com’è giusto che sia, ci si divide tra fautori del "sì" e del "no" (anche con curiosi passaggi di campo), può essere utile sfruttare questa occasione per fare, tutti assieme, un piccolo esame di coscienza, per guardarci allo specchio e capire che riformatori siamo o siamo diventati. Soprattutto, per smascherare sacche più o meno ampie di opportunismo istituzionale oppure rendite di (op)posizione da parte di chi cambia opinione a governi alterni.

Per farlo, ho preparato un quiz estivo che si può fare – con mascherina e rigoroso social distancing – anche sotto l’ombrellone. Chiamiamolo, per intenderci, il “gioco dell’estate costituzionale”. Il quiz è semplice e richiede di rispondere a due domande: 1) come hai votato al referendum Renzi-Boschi del 2016?; 2) come voterai al prossimo referendum Grillo-Di Maio sulla riduzione dei parlamentari? Dalla risposta a queste due domande, si ottiene la prima mappa dei tipi da referendum che trovate nella Fig. 1.


 

Il primo tipo referendario che incontriamo è una vecchia conoscenza della politica italiana, caratterizzato da pulsioni qualunquistiche e anti-parlamentari. Insomma, non vede l’ora di sbarazzarsi della politica o dei politici fannulloni. Lo abbiamo chiamato “anti-casta” e si riconosce a occhio nudo: ha votato contro la riforma del 2016 e si sta già sfregando le mani per poter tagliare qualche poltrona alla “casta più pletorica d’Europa” (copyright: Marco Travaglio).

Il secondo tipo da referendum è il “difensore”: nel bel paese dove il sì suona, a lui piace fare il salmone (e, scoperta recente, anche la sardina), rigettando ogni proposta di revisione costituzionale a difesa della “Bibbia laica” (copyright: Carlo Azeglio Ciampi) del popolo italiano. Quindi: no alla “deforma” del 2016 e no alla “controriforma” del 2020. E poco importa quel che pensava un anti-casta ante litteram come Prezzolini della coerenza (“la virtù degli imbecilli”). È la pazienza – direbbe Gramsci – la vera virtù rivoluzionaria.

Proseguendo nella scoperta dei tipi da referendum, troviamo il “demolitore”, nemico mortale del difensore costituzionale. Per il demolitore provetto, non c’è ragione che tenga: il dogma dell’infallibilità costituzionale deve essere abbattuto con ogni mezzo, sia quello berlusconiano, quello renziano o quello grillino. Senza scomodare Machiavelli (che sul punto avrebbe certamente qualcosa da ridire/ridere), la fine della Costituzione del ’48 giustifica qualunque mezzo. Quindi, doppio sì (talvolta, anche triplo o quadruplo).

Infine, in questa mappa a maglie larghe troviamo l’ultimo tipo da referendum, quello più sfumato e cangiante, un camaleonte costituzionale. È il “pentito”, e non sappiamo se per convenienza o per convinzione. Probabilmente, già obtorto collo aveva dovuto ingoiare la riforma renziana e con fatica aveva sopportato la retorica demagogica del “basta un Sì” per “ridurre poltrone e stipendi dei politici” (copyright: sen. Matteo Renzi). Oggi ha l’occasione per la redenzione: basta un no.

Fin qui, il gioco di ruolo delle riforme costituzionali è abbastanza semplice, ma ha il difetto di raccogliere all’interno di ogni categoria una varietà troppo eterogenea di potenziali riformatori. Per rendere la mappa un po’ più dinamica, bisogna uscire della logica binaria tipica del referendum (sì-no) e accettare una visione più sfumata che tenga conto dell’intensità delle opinioni favorevoli o contrarie alle due revisioni costituzionali. In questo modo, otteniamo la mappa più dettagliata raffigurata nella Fig. 2, dove i tipi da referendum si sdoppiano: da quattro diventano otto, con sfumature decisamente interessanti.

Tra i demolitori costituzionali – una variante aggressiva dei riformatori istituzionali – troviamo due diversi sottotipi:

1a) Distruttori: non bisogna farsi spaventare dall’etichetta. Il distruttore non è un “cattivo” riformista; è soltanto un riformista stanco e sfiduciato. Per lui (o lei), l’importante è cambiare la Costituzione, fare un passo avanti purché ci si muova, non importa dove e come. Il rappresentante più autorevole della categoria è il costituzionalista Carlo Fusaro: dopo il doppio sì alle revisioni targate Berlusconi (2005) e Renzi (2016), è pronto a far risuonare il sì anche il prossimo settembre.

1b) Devoti: si tratta in molti casi di convertiti sulla via del governo giallorosso, che hanno ormai sposato completamente la nuova causa e si sforzano in una quotidiana operazione di autoconvincimento, credendo ciecamente in future riforme correttive/difensive. In questo caso, gli esempi abbondano: Stefano Ceccanti, Pietro Ichino, Maurizio Martina ecc. ai quali si sono aggiunti, con qualche acrobazia narrativa, i foglianti Claudio Cerasa e Giuliano Ferrara. Si tratta di distruttori un po’ più consapevoli, dal palato leggermente più fino, dove il discrimine tra convenienza e convinzione è quasi impercettibile.

Arriviamo così al girone dei “pentiti” che, dopo il voto positivo alla riforma renziana, ora oppongono il loro “gran rifiuto” alla riforma a cinquestelle.

2a) Elitisti: questa categoria include prevalentemente il gruppo dei renziani, piddini dell’ultim’ora, azionisti calendiani, italiavivaisti e alcuni reduci ulivisti. Tutti pronti a riscoprire ex post factum la centralità del parlamento contro le sirene dell’antipolitica che, fino a qualche anno fa, avevano più o meno consapevolmente alimentato. Tra i nomi da segnalare: Tommaso Nannicini, Carlo Calenda, Matteo Richetti, Matteo Orfini, Luciano Violante (già in lizza per scivolare tra i “devoti”), Gianni Cuperlo, Arturo Parisi e buona parte di ex/post-radicali.

2b) Opportunisti: detti anche “situazionisti” perché cambiano il loro giudizio in base alle circostanze e ai tornaconti della dinamica politica. Qui troviamo alcuni esponenti del Pd transitati gattopardescamente nel Comitato nazionale Democratici per il no, ma anche alcuni rappresentanti del centrodestra moderato (tranquilli, ancora, seppur ristretto, esiste) contrari al taglio secco e lineare dei parlamentari.

Abbandonato il gruppo crescente, giorno dopo giorno, dei “pentiti”, ci si imbatte nell’esercito sempre attivo h24 dei “difensori” costituzionali, i quali si presentano sempre in due varianti.

3a) Conservatori: è una categoria dalle fattezze ambigue, spesso mutanti, ma che, scavando sotto la superficie, mostra sempre orgogliosa il nocciolo del non possumus, dell’intangibilità della Costituzione. È un gruppo molto attivo nel circuito esclusivo di Libertà e Giustizia, nel “ceto medio riflessivo” in costante girotondo e, più in generale, tra chi ritiene ogni revisione di per sé incostituzionale. Il capostipite della brigata conservatrice è l’ormai leggendario avv. Felice Besostri, terrore di ogni (contro)riformatore.

3b) Perfezionisti: è il gruppo degli “apoti”, di chi non gliela si dà a bere, perché stanno al merito delle modifiche proposte e, trattandosi della Costituzione, giudicano ogni riforma sulla base di standard elevatissimi, spesso irraggiungibili. Talvolta vengono scambiati per conservatori ma, grattando al di sotto dell’apparenza, si scoprono fior fior di (potenziali) riformatori. Soffrono – va detto – di un po’ di narcisismo (della serie: “la mia riforma è più bella della tua”), ma con l’aria che tira attorno alla democrazia sembra un peccato veniale.

Infine, ma non certo in ordine di importanza visti i consensi di cui godono nei sondaggi pre-elettorali, troviamo gli “anti-casta”, i veri sponsor del “taglio alle poltrone” in corso di approvazione, autentici fustigatori degli stravizi parlamentari. Si presentano all’appuntamento referendario sotto due vesti.

4a) Anti-renziani: il loro voto al referendum costituzionale del 2016, trasformato dall’allora Presidente del Consiglio in un giudizio/plebiscito su se stesso, era mosso da logiche personali, anti-renziane. Caduto e dimenticato Renzi, è tornata a prevalere la voglia matta di metter mano alla Costituzione. Qui troviamo molti esponenti del centrodestra, berlusconiani inclusi (con le rumorose eccezioni di Andrea Cangini, Renato Brunetta, Simone Baldelli e Lucio Malan: a rischio, comunque, di cadere nella categoria degli opportunisti di destra), ma anche diversi elettori della sinistra movimentista-sovranista (Stefano Fassina in testa), anche se dentro quel che resta di Leu oggi fa più rumore il silenzio.

4b) Populisti: al di là delle recenti capovolte registrate su Rousseau, il M5S resta l’espressione più autentica dello spirito anti-politico e anti-parlamentare circolante a buon mercato in Italia. È il megafono della lotta alla Casta e ha in Marco Travaglio il suo miglior alleato “quotidiano”. I “populisti” si avviano verso una vittoria meno scontata di quel che credevano. Ma che sia una vittoria per la democrazia italiana è tutto da dimostrare.