Nei prossimi mesi l’Italia si gioca tantissimo del proprio futuro sociale ed economico. È a una svolta improvvisa e drammatica della propria storia. L’esplosione della pandemia, le misure di segregazione e distanziamento sociale e le loro ricadute sociali ed economiche hanno messo di colpo il Paese di fronte a rischi davvero enormi: per evitarli saranno indispensabili scelte di grande momento; la capacità di prenderle o meno, la loro qualità, peseranno a lungo sul nostro futuro. Una sorte inattesa, beffarda: un Paese assopito, incapace di reagire ad un lungo declino, avvitato su se stesso, viene improvvisamente scosso da un evento tragico; posto davanti alla sua realtà, alle sue responsabilità.

Il ragionamento che segue si snoda su tre passaggi. Il primo, nel quale si illustrano i grandi rischi a cui, dall’estate 2020, andremo incontro; e l’unica possibile implicazione che se ne può trarre: la necessità di rilanciare il Paese a una velocità molto maggiore rispetto agli ultimi vent’anni, attraverso un nuovo «modello di sviluppo». Il secondo, nel quale si elencano tanti degli ostacoli che si frappongono e si frapporranno alla capacità di disegnarlo e di realizzarlo. Il terzo, per chiudere con una nota più positiva, sulle potenzialità e le condizioni per farcela. Una ovvia avvertenza: scrivere all’inizio di giugno 2020 significa buttare il cuore oltre l’ostacolo. L’incertezza della situazione in cui ci troviamo è grande, tanto dal punto di vista sanitario, quanto da quelli economico-sociale e politico. Tutto quello che è in questa nota potrebbe essere smentito dai fatti nei prossimi mesi: per il meglio, ma purtroppo anche per il peggio. Si tratta quindi di un ragionamento a caldo: spinto dalla preoccupazione e dalla speranza.

Comincio dai rischi. Per quanto si può capire, sono molti. E seri. Bene ribadire, a scanso di equivoci, catastrofismi e depressioni: sono rischi, in uno scenario ad altissima incertezza. Ma, al momento, non si possono ignorare. Partiamo da quelli sanitari: mentre scrivo le cifre dei contagi stanno progressivamente migliorando, tanto da aver suggerito la rimozione di molti vincoli. Ma la scienza non può ancora fornire certezze. C’è il pericolo di una ripresa dei contagi a causa della mobilità interregionale, improvvidamente consentita fra tutte le aree del Paese nonostante i numeri della pandemia completamente differenti. Si parla del rischio di una «seconda ondata» autunnale; gli esperti ci dicono che saremmo meglio attrezzati sul piano sanitario; ma certamente non saremmo in grado di sopportare, socialmente ed economicamente, ulteriori decisioni di segregazione. Le scelte prudenziali che sono state prese da marzo in poi sono giudicate positivamente dalla maggioranza degli osservatori. Stando alla Banca d’Italia (la cui relazione di fine maggio sarà utilizzata più volte in questo scritto, e a cui vanno attribuiti i virgolettati): «in assenza di misure di contenimento si sarebbe potuto raggiungere un numero di infezioni giornaliere tra le 15 e le 40 volte superiore a quello osservato nei giorni di picco». Di questo va dato merito al governo.

Ma è chiaro a tutti che l’impatto economico di queste opportune misure prudenziali sarà enorme: ogni settimana di blocco ci è costata lo 0,5% del Pil su base annua; il Pil italiano del 2020 potrebbe ridursi di un decimo rispetto all’anno prima. Gli effetti sono e saranno molto diversificati fra settori: alla farmaceutica, ai servizi sanitari, ai servizi digitali e all’e-commerce che incrementano dimensione e attività, all’alimentare (produzione e distribuzione) e ai prodotti di largo consumo che tengono bene, si contrappongono scenari estremamente preoccupanti per il turismo, i trasporti, le attività ricreative; grandi dubbi per le vendite di auto. L’incertezza è forte sulla dinamica dei consumi. Al momento gli italiani sono spaventati e preoccupati, prevedono «una riduzione particolarmente marcata degli acquisti considerati comprimibili, come viaggi, vacanze, ristoranti, cinema e teatro».

Hanno ragione a essere preoccupati perché questa caduta del Pil potrebbe produrre effetti molto forti sul mondo del lavoro: certamente un blocco delle assunzioni, che continuerà a lasciare senza occupazione e reddito i disoccupati e i giovani. Poi, la mancata riconferma dei contratti a termine, assai diffusi nel nostro sistema economico: nei soli settori maggiormente in difficoltà per chiusure e distanziamento, parliamo di mezzo milione di lavoratori. I primi dati, purtroppo, confermano questa tendenza. Al momento, fino alla fine di agosto è previsto il blocco dei licenziamenti dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, largamente protetti dalla cassa integrazione. Ma dopo? E i tantissimi autonomi e lavoratori in proprio?

 

[L'articolo completo è pubblicato sul "Mulino" n. 3/20, pp. 385-395. Il fascicolo è acquistabile qui]