I gilet gialli sono al centro della cronaca politica francese dal 17 novembre scorso e sono già stati oggetto di numerose analisi, che via via li hanno etichettati come "rivolta anti-fiscale", "democrazia reale", "rivoluzione in corso". Alcuni giorni dopo la prima mobilitazione, è stato lanciato a Bordeaux un appello alla comunità di politologi e sociologi francesi per avviare un'indagine collettiva sul movimento. Grazie al lavoro di una trentina di ricercatori in varie regioni della Francia, è stato possibile sottoporre un questionario ai manifestanti sia nelle rotatorie sia nel corso di riunioni o eventi cittadini.

Grazie a questa “sonda” sono stati raccolti i primi elementi in situ sul profilo dei gilet gialli e sulle ragioni della loro mobilitazione. Il questionario includeva domande aperte sulle motivazioni che avevano spinto alla mobilitazione e sulle misure desiderate, e domande chiuse sulle modalità della mobilitazione collettiva, sulla relazione con le organizzazioni politiche e le istituzioni (partiti, sindacati), sull’orientamento ideologico o sul profilo socio-demografico. L’analisi poggia sui questionari compilati tra il 24 novembre 2018 e il 5 gennaio 2019 da 686 intervistati (304 in manifestazioni e 382 in mobilitazioni in rotatorie), raccolti in una quindicina di dipartimenti e una trentina di comuni di varie dimensioni (da 200 abitanti all'agglomerato parigino).

Il 57% degli intervistati è costituito da uomini e l'età media è di 47 anni. Alcune categorie socio-professionali appaiono particolarmente presenti: è il caso degli inattivi e dei pensionati, che rappresentano un terzo degli intervistati, ma anche di artigiani, commercianti e imprenditori (circa il 14% dei lavoratori presenti). Le professioni intellettuali rappresentano il 12% degli intervistati attivi, le occupazioni intermedie il 18%, mentre le classi lavoratrici (operai e impiegati) rappresentano oltre il 55% degli attivi. Una percentuale non trascurabile di intervistati ha un diploma di istruzione superiore (37%). A titolo di confronto, durante la Marcia per il clima tenutasi a Parigi lo scorso 13 ottobre, quasi il 40% dei partecipanti intervistati apparteneva alle professioni intellettuali e il 60% di essi aveva almeno un diploma.

I gilet gialli sono quindi un movimento che riunisce categorie molto più popolari e meno qualificate. Gli intervistati appartengono spesso a fasce sociali professionalmente precarie: tra i lavoratori, solo due terzi ha un contratto a tempo indeterminato e il 15% è disoccupato. Infine, il 25% degli intervistati vive in una famiglia con un reddito inferiore a 1.200 euro e il 50% in famiglie con un reddito inferiore a 1.800 euro.

Le differenze più significative compaiono tra i partecipanti alle manifestazioni e gli occupanti delle rotatorie. Gli inattivi sono più numerosi tra questi ultimi, mentre i dirigenti e le professioni intermedie sono molto più presenti nelle proteste. Infine, ci sono molti laureati in più tra i manifestanti (quasi la metà) rispetto alle persone mobilitate nelle rotatorie (meno di un terzo). Il profilo degli intervistati e il loro livello di qualificazione, tuttavia, è cambiato nel tempo: l’8 dicembre quasi la metà degli intervistati aveva un titolo di istruzione superiore, una cifra che a poco a poco è diminuita. Parlare di un profilo standard tra i militanti dei gilet gialli è dunque pericoloso: la raccolta di consensi tra le classi popolari e tra i meno scolarizzati e agiati rispetto ad altri movimenti sociali recenti è indice di linee di frattura importanti, che traspaiono secondo luoghi e tempi delle mobilitazioni.

Un elemento comune tra gli intervistati è il rifiuto delle organizzazioni politiche istituzionalizzate, come i partiti politici e i sindacati: più del 60% di loro pensa che i sindacati non debbano avere alcun posto nel movimento. Questa presa di distanza dagli organi rappresentativi è ancora più marcata per le persone mobilitate sulle rotatorie, di cui la metà è alla prima esperienza in un movimento sociale. Tuttavia, non tutti i gilet gialli mancano di convinzioni politiche, tutt'altro: circa uno su otto appartiene o è appartenuto a un partito politico e poco meno di un terzo a un sindacato o a un'associazione. Per fare un confronto, solo il 3% degli intervistati in un’indagine del 2016 sui manifestanti politici ha partecipato alle attività di un partito nei 12 mesi precedenti, e il 15% alle attività di un'associazione o altra organizzazione. Le organizzazioni sindacali e partitiche citate nel questionario vanno da organizzazioni chiaramente di sinistra (Lutte Ouvrière, France insoumise, Verdi, Partito comunista francese, Fo, Cgt) a organizzazioni sovraniste (Upr), conservatrici (Manif pour tous) o di estrema destra (Rassemblement national).

Un altro elemento eclatante riguarda il numero molto elevato di intervistati che si rifiuta di collocarsi nello spettro sinistra-destra (40%). Tra coloro che accettano di posizionarsi, una percentuale molto più alta si trova a sinistra, specialmente nelle manifestazioni. Tuttavia, questo prevalere della sinistra è probabilmente influenzato dall’intervista faccia a faccia, come dimostrano le differenze registrate con sondaggi condotti online, dunque è necessaria una grande cautela nell’interpretazione.

A proposito delle modalità di mobilitazione già utilizzate, gli intervistati incontrati in manifestazione sono molto più avvezzi alle azioni di protesta (scrivere slogan sui muri, partecipare a manifestazioni a Parigi, scioperare, firmare petizioni) e ai boicottaggi. E, nonostante le violenze riscontrate, solo una piccola minoranza ha già causato danni materiali nell'ambito di una manifestazione (6%). Ma il numero di intervistati che hanno partecipato a uno sciopero (46%) mostra ancora una volta che una parte significativa del popolo dei gilet gialli arriva nel movimento con una certa esperienza di mobilitazione collettiva.

Questi pochi elementi mostrano la grande diversità ideologica e le grandi differenze in termini di esperienza dell'azione collettiva che possono incontrarsi in questo movimento. I gilet gialli riuniscono i neofiti così come i militanti incalliti di tutto lo spettro ideologico che ha già partecipato ad azioni di protesta.

Come può un movimento così eterogeneo e che riunisce tradizioni militanti e ideologiche così diverse non solo nascere, ma soprattutto durare nel tempo? L'analisi dei risultati dell’indagine fornisce alcuni elementi su cui riflettere. Più di 400 dei 686 intervistati menzionano il potere d'acquisto come la ragione della loro presenza nel movimento, confermando il fatto che sia prima di tutto una sommossa per le condizioni di vita e di esistenza. Altre motivazioni ricorrenti sono la volontà di una politica più ridistributiva e la forte opposizione al governo, a differenza, ad esempio, di questioni come l'Europa, l'immigrazione o il prezzo del carburante, che sono menzionati solo da una minoranza.

Quando guardiamo alle misure auspicate, si tratta ancora una volta di rivendicazioni legate al potere di acquisto, seguite dalle riforme istituzionali (referendum di iniziativa popolare, privilegi dei leader politici, assemblea dei cittadini): si rinforza così l'idea sostenuta da Loïc Blondiaux di una certa "avversione alla rappresentanza" nel movimento dei gilet gialli. Si delinea allora la mancanza di un fronte ideologico ben identificato: la critica dei modi di produzione e del capitalismo esiste, certamente, ma non è centrale nei discorsi dei nostri intervistati, così come le affermazioni vicine alla destra e le critiche all'immigrazione non sono assenti, ma relativamente marginali.

Questi risultati mostrano come i gilet gialli scelgano, per giustificare la loro presenza e le loro richieste, di concentrarsi sul minimo comune denominatore per federare individui con background e ideologie diversi, denunciando "quelli che stanno in alto" ("i politici") piuttosto che "quelli che stanno in basso" ("gli immigrati" o "gli assistiti"). È lo Stato che dovrebbe rispondere ai problemi del potere d'acquisto, mentre le richieste istituzionali sono un mezzo per sanzionare i politici e i loro privilegi, restituendo il potere decisionale al popolo.

Il movimento è riuscito per il momento a superare divergenze ideologiche e tradizioni politiche diverse, portando avanti richieste relative in particolare alle condizioni di vita e alla rifondazione delle istituzioni. Rimangono da chiarire ancora molti elementi, però, come il rapporto con la rappresentanza, i compromessi quotidiani nei bilanci delle famiglie, le varietà di mobilitazione da un luogo all'altro, la solidarietà nata dal movimento e la sua influenza sull'impegno a lungo termine degli individui, la sua strutturazione politica, la violenza della polizia e il coinvolgimento di gruppi organizzati all'interno del movimento, che cercano di definirlo e ridefinirlo.