Il voto spagnolo del 24 maggio. Domenica scorsa oltre 22 milioni di elettori sono andati alle urne in Spagna per rinnovare i Parlamenti di tredici su diciassette Comunità Autonome (Cc.Aa) ed eleggere i sindaci di tutti i comuni. I votanti sono stati il 64,6% degli aventi diritto, percentuale leggermente inferiore a quella dell’analogo appuntamento del 2011.

Cadendo a pochi mesi dalle elezioni politiche generali di novembre – la data non è ancora stata fissata –, il voto ha avuto un evidente significato politico.Da esso si attendevano conferme o smentite sugli orientamenti degli spagnoli, sia rispetto al governo di Madrid, sia rispetto alla tenuta del sistema politico nel suo complesso. In particolare si trattava di capire se la timida ripresa economica avrebbe pesato più sul piatto della bilancia dei dati ancora drammatici sull’occupazione e degli scandali nei confronti del Partito popolare di Rajoy. Poi se il gradimento dell’elettorato socialista verso il nuovo segretario Pedro Sánchez sarebbe stato in condizione di invertire la tendenza al declino del Psoe, ridotto ai minimi termini dopo il secondo governo Zapatero. Più di tutto, però, si attendeva il risultato di Podemos e dello speculare (ma collocato sul versante moderato) movimento di Ciudadanos, soprattutto perché il primo, in calo negli ultimi sondaggi, era stato dato più volte come in grado di soppiantare i socialisti come seconda forza e alternativa ai popolari. Tutti gli interrogativi confluivano su uno: gli effetti della crisi economica e la nascita dei nuovi movimenti e partiti porteranno alla crisi del bipartitismo che ha contraddistinto la vita politica spagnola dal ritorno della democrazia, dopo la morte di Franco, e con esso il sistema dei partiti?

I risultati del voto del 24 maggio parlano chiaro anche se non danno certezze su come andrà a finire in novembre. Il Pp è stato il partito più votato (27%), ma ha perso oltre 10 punti percentuali  e circa 2,5 milioni di voti rispetto al 2011. I socialisti si sono confermati secondo partito con il 25% dei voti, perdendo anch’essi in percentuale e in voti. Podemos, Ciudadanos e altre liste delle stesse caratteristiche, come Compromis nella Comunità Valenziana, si sono attestate quasi sempre, ora l’uno ora l’altro a seconda dei casi, al terzo posto. Il Pp ha perso la maggioranza assoluta nella Comunità Valenziana, in Estremadura, Aragona e in Castiglia-La Mancha. Delle dieci Cc.Aa. in cui governava, sette hanno ora una maggioranza di sinistra (Aragona, Baleari, Asturie, Comunità Valenziana, Estremadura, Castiglia-La Mancha e Cantabria); in quattro potrà governare solo con l’appoggio di Ciudadanos (Castiglia e Leone, Comunità di Madrid, Mursia e La Rioja), mentre in due (Canarie e Navarra) la situazione è così frastagliata da rendere, al momento, problematica ogni ipotesi sul futuro governo. Nelle nove Cc.Aa dove si è presentato Podemos ha ottenuto percentuali variabili dall’11 al 20%, mentre Ciudadanos ha raggiunto il tetto a Mursia con il 12,5%. Acuta è stata la crisi della coalizione di verdi e post-comunisti (Iu) che ha perso seggi quasi dappertutto, resistendo praticamente solo nella roccaforte delle Asturie. Ma ancora niente in comparazione alla pressoché totale evaporazione di Upyd di Rosa Diez, che non ha eletto nessun rappresentante nei parlamenti regionali.

Per quanto riguarda le comunali, dove Podemos non si presentava con il proprio simbolo, clamorosi sono stati i risultati di Barcellona e Madrid, per altro con un astensionismo significativamente in calo. Nel primo caso la vittoria è andata all’animatrice e leader del movimento degli sfrattati, Ada Colau, alla testa di una lista civica (Barcelona en comú) sostenuta da Podemos e da altre liste di sinistra. Nel secondo, la magistrata in pensione Manuela Carmena con Ahora Madrid si è fermata a un’incollatura da Esperanza Aguirre, il pezzo da novanta che il Pp aveva fatto scendere in lizza, ma che ha conosciuto un tracollo di voti e non dispone della maggioranza per governare. Con Barcellona e Madrid, altre cinque importanti città (Santiago, La Coruña, Oviedo, Cadice e Saragozza) dispongono oggi di una maggioranza di sinistra.

Se si considera che, assieme, Pp e Psoe avevano ottenuto nel 2011 circa il 65% dei voti e che ora raggiungono appena il 52%, si avverte subito il vento del cambiamento che soffia nel cielo di Spagna. I due principali partiti, per governare sul piano regionale, avranno bisogno o della benevola astensione o del voto dei nuovi movimenti e forze politiche. Si avranno probabilmente coalizioni che non si erano quasi mai avute in precedenza e, se il voto del 24 maggio dovesse essere confermato in novembre, si aprirebbe una nuova stagione della vita politica spagnola. Probabilmente una nuova transizione, forse una fase d’instabilità. Su come andrà a finire influiranno anche le elezioni catalane convocate da Artur Mas per il 27 settembre, con il proposito di ottenere quella conferma che, nei piani suoi e dell’alleato Esquerra Republicana de Catalunya, dovrebbe aprire la strada al referendum secessionista.

Impossibile chiudere questa nota senza un cenno al ricorrente accostamento, da parte della stampa italiana (ultima "la Repubblica" di ieri), di Podemos al Movimento 5 Stelle sotto le insegne del populismo, dell’antipolitica e dell’euroscetticismo.

Certo, entrambi sono fenomeni politici nuovi, hanno seguito tra i giovani e si battono contro la corruzione e la casta. Ma le analogie finiscono qui. Il movimento di Grillo è scaturito dalla crisi del sistema politico italiano, si dichiara post-ideologico, è stato plasmato dall’alto e ha una conduzione verticista, resta un movimento, ha tentato di costituire un gruppo all’Europarlamento con Nigel Farage e ha proposto un referendum per uscire dall’euro. Podemos nasce dalla crisi economica e dalla disoccupazione giovanile, è un movimento che ha cercato e trovato un leader, è di sinistra, funziona con una democrazia assembleare, si è trasformato in partito, è critico delle politiche di austerity, ma non del progetto europeo e mai si è sognato di ventilare l’uscita della Spagna dall’euro. Si possono confondere le carte, ma denunciare allo stesso tempo la disaffezione verso la politica e prendersela con i movimenti di partecipazione democratica appare davvero troppo. Così come dare dell’euroscettico a Podemos. Non fosse altro perché è popolato di ex studenti Erasmus.